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Libri a(ni)mati / 43: “Nouveaux Souvenirs Entomologiques” di Jean-Henri Fabre (1882) – “Un Harmas, un Fazzoletto di Terra: Hoc Erat In Votis”.
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Libri a(ni)mati / 43: “Nouveaux Souvenirs Entomologiques” di Jean-Henri Fabre (1882) – “Un Harmas, un Fazzoletto di Terra: Hoc Erat In Votis”.

“L’Omero degli insetti.” - Victor Hugo
“Un osservatore inimitabile.” - Charles Darwin
“Jean-Henri Fabre è un grande uomo di cultura che pensa come un filosofo, vive da artista e si esprime con la poesia.” - Jean Rostand

Per dirla obbiettivamente con Giorgio Celli, da un brano della sua prefazione al volume Einaudi degli anni ‘70 (situato fra la prima edizione integrale italiana della Sonzogno degli anni ‘20 e quest’attuale della Adelphi, attualmente in fase di pubblicazione, e che si spera potrà essere, di nuovo dopo quasi un secolo, completa) riportata da Marco Belpoliti su DoppioZero, quella osservata, descritta e interpretata da Jean-Henri Fabre è “una teoria del comportamento istintivo che, senza essere particolarmente originale, viene sviluppata organicamente e per qualche aspetto conserva ancora oggi un certo grado di attendibilità.”

Colophon.
Jean-Henri Fabre - “(Nouveaux) Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Première et Deuxième Série” - 1879 e 1882.
Edizione italiana: Adelphi, 2020 - collana: Biblioteca, n. 713 - traduzione di Laura Frausin Guarino - supervisione scientifica di Lara Maistrello - prefazione di Gerald Durrell - copertina flessibile, rilegato filo refe - 680 pagg., 38.00 €.

Qui di seguito, ché del libro in sé ho già trattato nella playlist precedente, riporterò, con luculliana parsimonia, alcuni frammenti entomologici di Fabre: uno spassionato - appassionatissimo - invito alla lettura di questo volume che raccoglie le prime due serie di questi Ricordi Entomologici, ma prima, ecco ancora qualche altra parola nuova (le definizioni sono prese dal Dizionario/Vocabolario e dall’Enciclopedia Treccani):
- “Alcarraza”, s. f., spagn. [dall’arabo "al-karrāz", specie di boccale a bocca stretta]. – Vaso di argilla porosa adoperato in Spagna per conservare fresca l’acqua: questa, trasudando attraverso le pareti del vaso, evapora rapidamente a spese del calore dell’acqua medesima, che si mantiene così relativamente fresca.
- “Baudruche” ‹bodrü′š›, s. f., fr. [etimo ignoto]. – 1. Membrana sottile e traslucida ricavata dall’intestino tenue disseccato del bue e del montone; leggerissima e impermeabile anche all’idrogeno (ma non resistente all’umidità e facilmente decomponibile), fu usata per gli involucri degli aerostati e dei pallonetti dei dirigibili. 2. Guttaperca laminata in foglio sottilissimo, usata in chirurgia per rendere impermeabili le fasciature.
- “Calatide”, s. f. [dal greco, diminutivo di paniere]. – In botanica. Infiorescenza a capolino (ne è sinonimo, non più in uso) delle Composite, detta anche antodio, formata da molti fiori sessili; è circondata da brattee che costituiscono nel complesso l’involucro della calatide.
- “Flòsculo”, s. m. [dal latino "floscŭlus", «fiorellino», diminutivo di "flos", «fiore»]. – In botanica, ognuno dei fiori con corolla simpetala, tubulosa e attinomorfa che, nel capolino delle composite tubuliflore, sono localizzati nella parte centrale, detta disco.
- “Peritrema”. Piccolo cercine (anello, orlo) chitinoso e sclerificato che circonda gli stigmi (che a loro volta sono aperture mediante le quali il sistema respiratorio tracheale degli insetti e di alcuni artropodi terrestri comunica con l'esterno). [Definizione mia creata accorpando varie fonti.]

Ultime playlist pubblicate della serie “Libri A(ni)mati”:
- #42: “Souvenirs Entomologiques” (Ricordi Entomologici - Volume I - Prima Serie) di Jean-Henri Fabre (1879)
- #41: "the Queen's Gambit" (la Regina degli Scacchi) di Walter Tevis (1983)
- #40: "A Darkling Sea" (Abisso Profondo) di James L. Cambias (2014)
- #39: “Olive, Again” (Olive, Ancora Lei) di Elizabeth Strout (2019)
- #38: the Flame Alphabet” (l’Alfabeto di Fuoco) di Ben Marcus (2012)
- #37: I’m Thinking of Ending Things” (Sto Pensando di Finirla Qui) di Iain Reid (2016)
- #36: If It Bleeds” (Se Scorre il Sangue) di Stephen King (2020) 

Playlist film

Il segreto del bosco vecchio

  • Fantasy
  • Italia
  • durata 134'

Regia di Ermanno Olmi

Con Paolo Villaggio, Giulio Brogi, Riccardo Zannantonio, Lino Pais Marden

Il segreto del bosco vecchio

In streaming su CineAutore Amazon Channel

 

Era proprio questo ciò che desideravo, hoc erat in votis: un pezzetto di terra, oh!, non molto grande, ma recintato e sottratto agl’inconvenienti di uno spazio pubblico; un pezzetto di terra abbandonato, sterile, bruciato dal sole, terreno ideale per i cardi e gli imenotteri. Qui, senza timore di venire disturbato da persone di passaggio, potrò interrogare l’ammofila e lo sfecide e dedicarmi a questo difficile colloquio in cui le domande e le risposte vengono condotte nel linguaggio della sperimentazione; qui, senza dover affrontare lontane spedizioni in cui si perde tanto tempo prezioso, senza quelle corse faticose che ottundono l'attenzione, io potrò studiare i miei piani d'attacco, tendere le mie imboscate e seguirne i risultati ogni giorno, a qualsiasi ora. Hoc erat in votis, sì, era proprio questo il mio desiderio, il mio sogno, sempre accarezzato e che sempre mi sfuggiva perdendosi nelle nebbie dell'avvenire.
Non è certo facile procurarsi un laboratorio in aperta campagna quando si è presi nella morsa terribile dell'angoscia del bisogno del pane quotidiano. Per quarant'anni ho lottato con un coraggio indefettibile contro le meschine miserie della vita, e finalmente il tanto agognato laboratorio è arrivato. Non cercherò neppure di dire quanta perseveranza e quanto lavoro accanito esso mi è costato. Finalmente è arrivato, e con esso, ma a condizioni più difficili, forse anche un po' di tempo libero. Dico "forse", giacché trascino tuttora attaccato alla gamba qualche anello della catena del forzato. Ma il mio voto si è realizzato. È un po' tardi, o miei begl’insetti! Ho una gran paura che il frutto della pesca mi venga presentato soltanto ora, quando comincio a non avere più i denti per gustarlo. Sì, è un po' tardi; gli ampi orizzonti dei miei inizi sono diventati una volta opprimente, schiacciata in basso e di giorno in giorno più ristretta. Pur senza rimpiangere nulla del passato, eccetto ciò che ho ormai perduto, senza rimpiangere nulla, neppure i miei vent'anni, senza neppure sperare più nulla, tuttavia sono arrivato a un punto in cui, stroncati dall'esperienza della vita, ci si chiede se vale davvero la pena di vivere.
In mezzo alle rovine che mi circondano un mozzicone di muro resta in piedi, incrollabile sulla sua base fatta di calce e sabbia: è il mio amore per la verità scientifica. Ma questo sarà abbastanza, miei industriosi imenotteri, per accingermi ad aggiungere degnamente ancora qualche pagina alla vostra storia? Le mie deboli forze non tradiranno la mia buona volontà? Perché vi ho abbandonato per così lungo tempo? Degli amici me l'hanno rimproverato. Ah!, ditelo voi a questi amici, che sono non soltanto miei ma anche vostri amici, dite loro che la colpa non era da attribuirsi a dimenticanza o a stanchezza da parte mia! Io pensavo sempre a voi, ero convinto che il nido delle cerceridi aveva ancora dei magnifici segreti da rivelarci e che la caccia allo sfecide ci riservava ancora nuove sorprese. Ma il tempo mancava, e io ero solo, abbandonato da tutti, in lotta contro la cattiva sorte. Prima di filosofare bisognava vivere. Ditelo voi a questi amici e loro mi perdoneranno.
Ci sono stati altri che mi hanno rimproverato per il mio linguaggio che non ha la solennità o, per meglio dire, la pedantesca austerità di un testo accademico. Questi temono che una pagina che si legga senza fatica non possa sempre essere l'espressione della verità. A starli a sentire non si potrebbe essere profondi che a condizione di essere oscuri. Venite qui, tutti quanti siete, voi armati di pungiglioni e corazzati di elitre, venite a prendere le mie difese e a testimoniare in mio favore. Dite loro in quale intimità io vivo con voi, con quanta pazienza io vi osservo e con quale scrupolo registro tutti i vostri comportamenti. La vostra testimonianza è unanime: sì, le mie pagine non sono gremite di vuote formule o di sapienti elucubrazioni, bensì contengono l'esatta narrazione dei fatti osservati, niente di più e niente di meno, e chiunque vorrà a sua volta interrogarvi otterrà da voi le medesime risposte.
Nel caso che voi, miei cari insetti, non riusciate a convincere queste brave persone perché non avete il peso e l'autorità dei pedanti, ebbene sarò io a dir loro: voi sventrate l'animale e invece io lo studio vivente; voi ne fate un oggetto d'orrore e di pietà e io invece lo faccio amare; voi lavorate in un laboratorio di torture e di smembramenti e io l'osservo sotto l'azzurro del cielo e al canto delle cicale; voi sottomettete ai reagenti chimici la cellula e il protoplasma, io studio l'istinto nelle sue manifestazioni più elevate; voi scrutate la morte e io la vita. E perché non dovrei esprimere fino in fondo il mio pensiero? I cinghiali hanno intorbidato l'acqua limpida delle fontane; la storia naturale, questo magnifico studio dell'età giovanile, a forza di perfezionamenti cellulari, è divenuta qualcosa di odioso e di disgustoso. Ora, se io scrivo per i sapienti, per i filosofi che tenteranno un giorno di fare un po' di luce sull'arduo problema dell'istinto, io scrivo anche e soprattutto per i giovani, ai quali desidero far amare questa storia naturale che voi fate tanto odiare. Ed ecco perché, pur mantenendomi scrupolosamente nell'ambito della verità, io evito la vostra prosa scientifica che troppo spesso, ahimè!, sembra redatta nell'idioma di qualche tribù degli Uroni.
Ma per il momento non sono queste le mie preoccupazioni; ora voglio parlare di questo fazzoletto di terra così agognato, destinato nei miei progetti a divenire un laboratorio di entomologia vivente, che sono finalmente riuscito a procurarmi nella solitudine di un piccolo villaggio. È un harmas. Con questo termine da queste parti viene chiamato un pezzo di terra incolto, sassoso, abbandonato alla vegetazione spontanea del timo. È un terreno troppo povero per compensare il lavoro dell'aratro. In primavera, quando per caso capita che abbia piovuto e che vi cresca un po' d'erba, le pecore vi vengono a pascolare. Tuttavia il mio harmas, grazie alla presenza di un po' di terra rossa annegata in una quantità sterminata di sassi, ha ricevuto un inizio di coltivazione; un tempo, a quanto si dice, vi erano piantate delle vigne. Ed effettivamente degli scavi eseguiti per piantare qualche albero hanno messo qua e là allo scoperto dei resti delle preziose radici mezzo carbonizzate dal tempo. Il vomere a tre punte, l'unico strumento di coltivazione che possa penetrare in un suolo simile, è dunque passato qui sopra e me ne dispiace molto perché la vegetazione primitiva è scomparsa. Non c'è più il timo, non c'è più la lavanda, non ci sono cespugli di quercia spinosa, la quercia nana le cui foreste si possono scavalcare alzando un po' la gamba. Siccome questi vegetali – soprattutto i primi due – potrebbero essermi utili per offrire agli imenotteri materiale da raccogliere, mi trovo obbligato a ripiantarli sul terreno da cui il vomere li ha scacciati.
Ciò che invece abbonda, e senza il mio intervento, sono le piante che invadono ogni terreno che sia stato lavorato e in seguito sia stato per lungo tempo abbandonato a se stesso. Ciò che vi si trova, anzitutto, è la gramigna, quell'erba detestabile di cui tre anni di lotta accanita non hanno potuto ottenere la definitiva estirpazione. In secondo luogo, per il loro numero, vengono le centauree, tutte di aspetto arcigno, irte di aculei o di alabarde stellate. C'è la centaurea solstiziale, la centaurea delle colline, la centaurea calcitrapa e la centaurea aspra. Ma è la prima a dominare. Qua e là, in mezzo all'inestricabile groviglio delle centauree, si leva in alto, simile a un candelabro le cui fiamme sono dei grandi fiori color arancione, il feroce scolimo di Spagna dagli aculei forti come chiodi. Ma lo scolimo è dominato in altezza dall'onopordo d'Illiria il cui stelo, diritto e isolato, arriva a un metro o due di altezza culminando con dei grossi pompon rosa. La sua armatura non ha nulla da invidiare a quella dello scolimo. E non dimentichiamo la tribù dei cardi, anzitutto il feroce cirsio, così bene armato che il raccoglitore di piante non sa come afferrarlo; quindi il cirsio lanceolato, dal ricco fogliame le cui nervature terminano in punte di lancia; e infine il cardo bruno che somiglia a una piccola rosa irta di aculei. Negli intervalli tra i cardi, strisciando per terra simili a cordicelle armate di uncini, si allungano i rami del rovo dai frutti bluastri. Per esplorare l'intrico spinoso quando l'imenottero va a farvi la sua raccolta di polline, bisogna calzare degli stivali alti fino a metà gamba oppure rassegnarsi a sanguinose punzecchiature sui polpacci. Finché il terreno conserva ancora qualche resto delle piogge primaverili, questa rude vegetazione non manca di un certo fascino quando, al di sopra del compatto tappeto formato dai capolini gialli della centaurea solstiziale, si elevano le piramidi dello scolimo e gli slanciati zampilli dell'onopordo. Ma poi sopraggiunge la siccità estiva e allora non resta nient'altro che una distesa desolata dove basterebbe la fiammella di un fiammifero a propagare l'incendio da un capo all'altro. Tale è – o, piuttosto, era quando io ne ho preso possesso – il delizioso Eden dove ormai conto di vivere a stretto contatto con l'insetto. Me lo sono guadagnato al prezzo di quarant'anni di lotta ostinata.
L'ho chiamato Eden e, almeno dal punto di vista che m'interessa, l'espressione non è fuori luogo. Questo terreno maledetto, a cui nessuno avrebbe voluto affidare neppure un pizzico di semi di rapa, è in realtà un paradiso terrestre per gli imenotteri. La sua possente vegetazione di cardi e di centauree li attira qui da ogni parte. Mai, in tutte le mie battute di caccia entomologiche, mi era capitato di trovare riunita in un punto solo una tale popolazione: tutte le corporazioni d'insetti vi si danno appuntamento. Vi si trovano cacciatori di ogni specie di selvaggina, muratori che lavorano la terra battuta, tessitori di cotonato, insetti dediti all'assemblaggio di frammenti ritagliati in foglie o in petali di fiori, costruttori in cartone, stuccatori che impastano l'argilla, carpentieri che forano il legno, minatori che scavano gallerie sotterranee, conciatori che lavorano le membrane intestinali dei bovini, e chissà quanti altri.
E questo chi è?
[…]
Ecco dunque – e l'enumerazione è ben lungi dall'essere completa – una comunità tanto numerosa quanto scelta, la cui conversazione ha senz'altro la capacità di affascinare la mia solitudine se mi dimostrerò in grado di provocare le loro risposte. I miei cari animaletti, sia i compagni e gli amici di lunga data, sia quelli di più recente conoscenza, si ritrovano tutti qui, intenti a cacciare, a raccogliere o a costruire, nella più stretta vicinanza tra loro e con me. D'altronde, se si rende necessario variare i punti di osservazione, a qualche centinaio di passi di distanza c'è la montagna con le sue macchie di corbezzolo, di cisto e di erica arborea, con le sue distese sabbiose così care al bembice, con le sue scarpate marnose sfruttate da vari imenotteri. Ed ecco perché, prevedendo queste ricchezze, sono fuggito dalla città per stabilirmi in un villaggio e sono venuto a Sérignan a sarchiare le mie rape e annaffiare le mie lattughe.
Sulle nostre coste oceaniche e mediterranee vengono installati, con forti spese, dei laboratori dove vengono sezionati i piccoli animaletti marini di ben scarso interesse per noi. Si fa sperpero di potenti microscopi, di delicati apparecchi per la dissezione, di ordigni per la cattura, di imbarcazioni, di personale addetto alla pesca, di acquari, e tutto ciò per sapere come si segmenta l'uovo di un anellide, cosa di cui non sono ancora riuscito ad afferrare l'importanza, mentre si disdegna lo studio dei piccoli animali terrestri che vivono perpetuamente in rapporto con noi, che potrebbero fornire dei documenti d'inestimabile valore alla psicologia generale e che troppo spesso distruggono i nostri raccolti compromettendo la ricchezza nazionale. Quando dunque verrà costruito un laboratorio di entomologia dove si studi, non l'insetto morto, macerato nell'alcool puro, bensì quello vivente, un laboratorio dove si studi l'istinto, le abitudini, il modo di vita, i lavori, le lotte e il modo di propagarsi di questo piccolo mondo che sia l'agricoltura che la filosofia dovrebbero tenere in seria considerazione? Conoscere a fondo la storia del flagello delle nostre vigne sarebbe forse più importante che sapere il punto di arrivo delle terminazioni nervose di un cirripede; stabilire in via sperimentale la linea di demarcazione che separa l'intelligenza dall'istinto e dimostrare, ponendo a confronto i fatti concreti riscontrabili nella serie zoologica, che la ragione umana è, o non è, una facoltà irriducibilmente a noi propria, ebbene tutto questo dovrebbe ben avere la precedenza sullo stabilire il numero esatto degli anelli presenti sull'antenna di un crostaceo. Per risolvere questi problemi di enorme importanza sarebbe indispensabile un esercito di ricercatori, e invece non c'è proprio niente. La moda attuale s'interessa ai molluschi e agli zoofiti. Le profondità dei mari vengono esplorate con uno spropositato uso di draghe, mentre il suolo che calpestiamo con i nostri piedi ci resta sconosciuto. Nell'attesa che la moda cambi, io apro un laboratorio di entomologia vivente nel mio harmas, un laboratorio che non costerà neppure un centesimo alla borsa del contribuente.

Questo lungo brano riproposto qui quasi integralmente, ch’è il principio del primo capitolo della seconda serie dei “Ricordi/Souvenir Entomologici”, per questioni di praticità e per non esagerare con le trascrizioni prese dal singolo volume della Adelphi, è tratto dall’edizione Armando del 2007, con la traduzione di Gianlorenzo Pacini, della raccolta di brani scelti “Merveille de l'Instinct chez les Insectes” (Delagrave, 1913) che pescava da opere precedentemente edite di Fabre.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

First Cow

  • Drammatico
  • USA
  • durata 121'

Titolo originale First Cow

Regia di Kelly Reichardt

Con John Magaro, Orion Lee, Toby Jones, René Auberjonois, Scott Shepherd, Ewen Bremner

First Cow

In streaming su MUBI

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Il problema della vita e quello, lugubre e spaventoso, della morte mi attraversavano di quando in quando la mente. Era un’ossessione fuggevole, presto spazzata via dalla giovanile esuberanza. Eppure la terribile questione si ripresentava, emergendo dall’oblio a causa di qualche piccolo evento fortuito.
Un giorno, passando davanti a un mattatoio, vidi arrivare un bue portato dal macellaio. Il sangue mi ha sempre fatto orrore; quand’ero ragazzino, la vista di una ferita sanguinante mi impressionava al punto che cadevo privo di sensi, cosa che più di una volta ha rischiato di costarmi la vita. Da dove mi venne il coraggio di varcare la soglia di quell’orribile scannatoio? Dev’essere stato l’oscuro pensiero della morte. Entrai al seguito del bue.
Con una solida corda legata alle corna, il muso umido, lo sguardo pacifico, l’animale avanza come se si dirigesse alla mangiatoia della stalla. L'uomo lo precede, tenendo la corda. Entriamo nella sala della morte, immersa in un vapore nauseabondo che sale dai visceri sparsi sul pavimento e dalle pozze di sangue. Il bue capisce che non è la stalla; il terrore gli arrossa gli occhi; resiste, vuole fuggire. Ma sul pavimento c'è un anello saldamente fissato a una pietra. L'uomo vi infila la corda e tira verso di sé. Il bue abbassa la fronte, tocca terra con il muso. Mentre un aiutante lo tiene fermo in quella posizione servendosi della corda, il macellaio prende un coltello dalla lama appuntita, un coltello che non sembra affatto minaccioso, non molto più grande di quello che porto io stesso nella tasca dei pantaloni. Tasta brevemente con il dito la nuca dell'animale, e affonda la lama nel punto scelto. Il colosso trema un attimo, poi cadde come folgorato; procumbit humi bos, come recitavamo allora.
Uscii sconvolto. Più tardi mi chiesi come fosse possibile uccidere un bue, e in modo così fulmineo, con una lama insignificante, con un coltello quasi uguale a quello che usavo per aprire le noci e sbucciare le castagne. Nessuna ferita aperta, nessuno spargimento di sangue, nessun ruggito di dolore. L’uomo testa con il dito, colpisce ed è fatta: il bue crolla sui garretti.
Quella morte istantanea, quella folgorazione resto per me è un terrificante mistero. Indovinai il segreto del mattatoio soltanto tempo dopo, molto tempo dopo, quando nel corso delle mie letture disordinate mi imbattei in alcuni rudimenti di anatomia. L’uomo aveva troncato il midollo spinale in uscita dal cranio, aveva reciso quello che i fisiologi hanno chiamato nodo vitale. Oggi potrei dire che aveva agito come gli imenotteri, che affondano l'aculeo nei centri nervosi.
[...]
Com’è venuto in mente al macellaio dei nostri paesi, o al desnucador della pampa, di conficcare uno stiletto alla base del midollo per ottenere la morte istantanea di un colosso che altrimenti non si lascerebbe sgozzare senza opporre una minacciosa resistenza? Al di fuori della gente del mestiere e degli scienziati, nessuno conosce, o immagina, l’effetto folgorante di una simile ferita; in materia, siamo quasi tutti nello stato di ignoranza in cui mi trovavo anch’io quando la curiosità infantile mi spinse a entrare nel mattatoio. Sono stati la tradizione e l’esempio a insegnare la loro arte al desnucador o al macellaio; hanno avuto dei maestri, i quali sono a loro volta cresciuti alla scuola di altri maestri, e così via, risalendo una catena di tradizioni fino al primo cacciatore, che probabilmente, per qualche circostanza nel corso della caccia, si è accorto di quali terribili effetti provocasse una ferita alla nuca. Come possiamo sapere se non sia stata una puntura di selce conficcata per caso nel midollo cervicale della renna o del mammut a destare l’attenzione dell’antenato del desnucador? Un evento fortuito ha fornito l’idea originaria, l’osservazione l’ha confermata, la riflessione l’ha sviluppata, la tradizione l’ha conservata e l’esempio propagata. E in futuro il sistema di trasmissione non muterà. Se i discendenti del desnucador restassero senza maestri, ripiomberebbero nella primitiva ignoranza e le generazioni si succederebbero invano. L’ereditarietà non trasmette l’arte di uccidere mediante recisione del midollo spinale; non si nasce macellatori di manzi secondo il metodo del desnucador.
Ecco ora l’ammofila, carnefice di bruchi secondo un metodo ben più sapiente. Dove sono, nel suo caso, i maestri nell’arte dello stiletto? Non ci sono. Quando l’imenottero squarcia il bozzolo ed esce da sottoterra, da molto tempo ormai i suoi predecessori non esistono più, e anche lui sparirà senza aver visto i suoi successori. Rifornita la dispensa e deposto l’uovo, non ha più nessun rapporto con la prole; l’insetto perfetto dell’anno in corso muore , mentre quello dell’anno successivo, ancora allo stadio larvale, sonnecchia sottoterra nella sua culla di seta. Dunque assolutamente nulla viene trasmesso mediante l’educazione basata sull’esempio. L’ammofila nasce già desnucador come noi nasciamo già pronti a succhiare il seno materno. Il poppante succhia con la pompa aspirante, l’ammofila punge con il suo aculeo, senza che nessuno glielo abbia insegnato; e da subito sono entrambi maestri in quella difficile arte. È questo l’istinto, una spinta inconsapevole che è parte essenziale della condizione vitale e si trasmette per via ereditaria come il ritmo del cuore e dei polmoni.
Cerchiamo di risalire, se possibile, alle origini dell’istinto dell’ammofila. Oggi, più che mai, ci tormenta un bisogno, quello di spiegare ciò che potrebbe essere inesplicabile. Alcuni, con superba audacia, forniscono una soluzione drastica a questo enorme problema, e il loro numero sembra aumentare di giorno in giorno. Procurate loro un pugno di cellule, un po’ di protoplasma e uno schema interpretativo e troveranno spiegazione a ogni cosa. Il mondo organico, il mondo intellettuale e morale, tutto deriva dalla cellula originaria, che si sviluppa con le proprie energie. Niente di più. Nato da un’azione fortuita che si è rivelata utile per l’animale, l’istinto è dunque un’abitudine acquisita. Su questa base si argomenta a favore della selezione, dell’atavismo, della lotta per la vita (struggle for life). A questi paroloni, io preferisco alcuni piccoli fatti. Piccoli fatti che raccolgo e indago da quasi quarant’anni e che non depongono propriamente a favore delle teorie in voga.
Mi dite che l’istinto è un’abitudine acquisita. Il suo primo stimolo è stato un fatto fortuito, utile per la discendenza dell’animale. Consideriamo attentamente la cosa. Se ho ben compreso, in un passato molto remoto qualche ammofila* avrebbe colpito per caso i centri nervosi del bruco; ed essendosi l’operazione rivelata proficua, sia per l’ammofila, dispensata da un combattimento non esente da rischi, sia per la sua larva, rifornita di prede fresche, vive eppure inoffensive, l’insetto avrebbe lasciato in eredità alla sua razza l’inclinazione a ripetere quella tattica vantaggiosa. Ma il dono materno non aveva favorito tutti i discendenti allo stesso modo; alcuni erano provetti nella nascente arte della stilettata, altri erano impacciati. È intervenuta allora la lotta per la vita, l’odioso vae victis. I deboli soccombono, i forti** si impongono; e, una generazione, dopo l’altra, la selezione trasforma a poco a poco la fugace impronta iniziale in una impronta profonda, indelebile, assimilata in quell’istinto sapiente che oggi ammiriamo nell’imenottero.
Ebbene, in tutta onestà, mi sembra che qui si pretenda un po’ troppo dal caso. […] Se l’evento favorevole all’ammofila è dovuto al caso, quante combinazioni occorrono per produrlo, quanto tempo per esaurire tutte*** le possibilità? Incalzati dalle difficoltà, vi rifugiate dietro la nebbia dei secoli, vi ritirate nelle tenebre del più lontano passato cui possa arrivare l’immaginazione****, vi appellate al tempo, elemento che si sottrae al nostro controllo, e proprio per questo così adatto a dissimulare le nostre illusioni. Allora date libero corso alla fantasia e non lesinate i secoli. […] A chiamare in causa un tempo infinito*****, temo davvero che si sconfini nell’assurdo.
[…]
Per questo e per molti altri motivi respingo la teoria moderna dell’istinto. Vi vedo solo una trovata brillante, in cui si crogiola il naturalista da laboratorio che foggia il mondo a suo piacimento, ma in cui l’osservatore alle prese con la realtà delle cose non trova alcuna seria spiegazione a ciò che vede. Noto che, nel mio ambiente, i più categorici in queste complesse questioni sono quelli che hanno visto di meno. Se poi non hanno visto proprio niente, si spingono a sostenere i concetti più temerari. Gli altri, i timorosi, sanno un po’ di che cosa parlano. Non vanno forse così le cose al di fuori del mio piccolo mondo?

Non è ingeneroso riproporre qui questi passaggi col senno di poi “ottusi” di Fabre perché, come già detto nella playlist precedente, anche quando sbaglia, il nostro autore è ammirevole, quasi à la Karl Kraus. E con l’ultima frase dimostra di avere ragione: non su Darwin, certo, ma su tutto il resto.

* In realtà si tratta di un'antenata dell’ammofila, vale a dire una specie "del tutto" diversa, così come l’antenato del ghepardo, l'Acinonyx pardinensis, colpiva alla gola l’antenata della gazzella: in questo caso le specie mutano (perché l'ambiente attorno a loro muta - vulcani, meteoriti, glaciazioni, tropicalizzazioni, etc... - oppure per casuali errori di trascrizione del codice genetico) le modalità di caccia e le nicchie ecologiche no, così come molte volte, indipendentemente le une dalle altre, l’apparato oculare è comparso a distanza di tempo e di spazio in molte forme distinte di vita sulla Terra (o all'interno di uno stesso individuo durante i vari passaggi dell'ipermetamorfosi olometabolica).
** Non per forza i più forti, ma i più adatti (col senno del poi di un oggi che una virgola del caso poteva rendere incommensurabilmente diverso da quello che conosciamo come presente).
*** Non serve esaurirle tutte, ne basta una giusta: date tempo al tempo, e le innumerevoli possibilità si enumerano da sé, inverandosi. Poi, semplicemente, pare strano, all’osservatore ignaro, che X attraverso Y abbia prodotto Z, proprio perché l’osservatore ha, oggi, di fronte a sé Z, ma la verità è che R attraverso S avrebbe potuto produrre T, ed oggi l’osservatore, con di fronte a sé T, troverebbe assurdo Z.
**** In questo caso l’immaginazione di Fabre è stata offuscata dalla Bibbia. Ma la poetica - anche se declinata in vena polemica - è intatta.
***** Ovviamente non infinito, ma vasto, immenso, incommensurabile su scala umana.

 

(In appendice alla playlist: "Dell'ammazzare i bovini/suini/ovini/caprini/equini".)

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Under the Skin

  • Fantascienza
  • Gran Bretagna
  • durata 104'

Titolo originale Under the Skin

Regia di Jonathan Glazer

Con Scarlett Johansson, Krystof Hádek, Robert J. Goodwin, Paul Brannigan, Michael Moreland

Under the Skin

In streaming su Amazon Video

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L’uovo non è deposto sui viveri; è sospeso alla sommità della cupola mediante un filamento sottile quasi quanto quello di una ragnatela. Al minimo soffio, il delicato cilindro trema, oscilla; mi ricorda il famoso pendolo appeso alla cupola del Pantheon per dimostrare la rotazione terrestre. Le cibarie sono ammassate sotto.

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Piper

  • Animazione
  • USA
  • durata 6'

Titolo originale Piper

Regia di Alan Barillaro

Piper

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Nel vicino bosco di pini una coppia di upupe si insegue emettendo i primaverili richiami amorosi. “Upupu!”. Gli antichi romani chiamavano questo uccello "upupa", mentre i greci lo chiamavano "épops". Plinio dunque doveva pronunciare “upupa”, come insegna il grido che quel nome imita. Raramente ho ricevuto una lezione di pronuncia latina più autorevole della tua, incantevole uccello che mi distogli da interminabili preoccupazioni. Fedele al tuo idioma, dici “upupu” come lo dicevi ai tempi di Aristotele e di Plinio, come lo dicevi quando il tuo canto echeggiò per la prima volta. Ma dei nostri idiomi, degli idiomi delle origini, che cosa ne è stato? L’erudito non è neppure in grado di ritrovarne la traccia. L’uomo cambia, l’animale è immutabile.

 

E ancora, evidentemente (già allora, anche senza senno di poi), no, non è così.

 

 

E l'indimenticato Mago Gabriel, di cui, possibilmente.

 

Recensione.

 

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Enola Holmes

  • Giallo
  • USA, Gran Bretagna
  • durata 123'

Titolo originale Enola Holmes

Regia di Harry Bradbeer

Con Millie Bobby Brown, Henry Cavill, Sam Claflin, Helena Bonham Carter, Fiona Shaw

Enola Holmes

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Il primo di questi traslochi avvenne nel 1870. Poco prima, un ministro che ha lasciato un profondo rimpianto nell’università, l’ottimo Victor Duruy, aveva istituito i corsi per l’insegnamento medio alle fanciulle. Faceva così il suo esordio, nei limiti imposti dall’epoca, la grande questione su cui si dibatte oggi. Di buon grado diedi il mio modesto contributo a quell’iniziativa illuminata. Fui incaricato dell’insegnamento delle scienze fisiche e naturali. Ci credevo e non mi risparmiavo; e raramente mi sono trovato davanti a un uditorio più attento e più affascinato. I giorni di lezione erano una festa, quelli di botanica soprattutto, quando il tavolo da lavoro scompariva sotto l’abbondanza di prodotti delle serre vicine.
Era troppo! E pensate a quanto era grave la mia colpa: insegnavo a quelle giovani che cosa sono l’aria, da dove nascono i lampi, i tuoni, la folgore; per quale magia il pensiero si trasmette attraverso mari e continenti grazie a un filo di metallo; perché il fuoco brucia e perché respiriamo; come germoglia un seme e come sboccia un fiore, tutte cose sommamente esecrabili agli occhi di certuni, che davanti alla luce strizzano le palpebre cascanti.
Bisognava spegnere al più presto quel piccolo lume, sbarazzarsi dell’importuno che si sforzava di mantenerlo acceso. Viene subdolamente ordito il colpo con le mie padrone di casa, zitelle che in quelle novità didattiche vedevano solo abominio e squallore. Non avevo stipulato con loro un regolare contratto scritto che potesse tutelarmi. Arrivò l’ufficiale giudiziario con una carta bollata: dovevo sloggiare entro quattro settimane, altrimenti, secondo la legge, mi avrebbero messo i mobili per strada. Dovetti procurarmi in tutta fretta un altro alloggio. Il primo che trovai mi portò a Orange. Così si è compiuto il mio esodo da Avignone.

 

Recensione.

 

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Darwin

  • Biografico
  • Francia
  • durata 52'

Titolo originale Darwin

Regia di Peter Greenaway

Con Bert Svenhujsen, Jacques Bonnaffé, Barbara M. Messner, Germain Pengel, Yannick Pengel

Darwin

 

Il laudator temporis acti non è ben visto: il mondo procede. Certo, ma qualche volta all’indietro. Quando ero giovane, libri da quattro soldi ci insegnavano che l’uomo è un animale razionale; oggi, dotti volumi ci dimostrano che la ragione umana non è che un gradino più alto di una scala la cui base risiede al più basso livello dell’animalità. Vi è il più e il meno, vi sono tutti i livelli intermedi, ma non c’è mai una brusca soluzione di continuità. Si comincia da zero nella materia vischiosa di una cellula, e si sale fino al possente cervello di un Newton. La nobile facoltà di cui andavamo tanto fieri è una prerogativa zoologica. Tutti ne hanno una parte, grande o piccola, dall’atomo animato all’antropoide, l’orrenda caricatura dell’uomo.
Mi è sempre sembrato che questa teoria egualitaria facesse dire ai fatti quello che i fatti non dicevano; mi è sembrato che, per ottenere una superficie pianeggiante, si abbassasse la vetta, l’uomo, e si innalzasse la valle, l’animale. Desidererei qualche prova a sostegno di un simile livellamento; e poiché nei libri non la trovo, o ne trovo solo di dubbie, molto discutibili, ho voluto formarmi un’opinione osservando, cercando e sperimentando io stesso.
Per potersi esprimere con certezza, è opportuno non allontanarsi da ciò che si conosce bene. Dopo una quarantina d’anni passati a occuparmi dell’insetto comincio ad averne una discreta conoscenza. Interroghiamo dunque l’insetto…

 

E la psicoanalisi era ancora di là da venire...! Perché dopo Galileo, Keplero e Copernico, che ci tolsero dal centro dell'Universo e del Sistema Solare, e dopo per l'appunto Charles Darwin, che ci detronizzò dalla cima della scala evolutiva, scagliandoci al suolo al fianco delle altre bestie, ecco, giusto qualche anno dopo queste righe scritte da Fabre, giungere Sigmund Freud, che ci leverà persino dall'essere al centro del controllo di noi stessi, scindendoci in un prisma di sub-identità.

 

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Infine, Fabre inserisce in uno dei capitoli tre brevi estratti da alcune lettere del carteggio con Darwin i cui passaggi contengono dei suggerimenti presentatigli dallo scienziato evoluzionista inglese per degli esperimenti da realizzare sull'orientamento spazio-geografico degli insetti messi in pratica dal naturalista autodidatta francese.

Non manca, ad un certo punto, una nota di scuse a piè di pagina rivolta alla memoria di Erasmus Darwin, il nonno paterno di Charles: "Se la precisazione rendeva onore alla mia perspicacia, non dissipava il mio rammarico per aver dubitato della lucidità dello scienziato a causa dell'infedeltà del traduttore."

 

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Altiplano

  • Drammatico
  • Belgio, Germania, Paesi Bassi
  • durata 109'

Titolo originale Altiplano

Regia di Peter Brosens, Jessica Woodworth

Con Magaly Solier, Jasmin Tabatabai, Olivier Gourmet, Norma Martínez, Behi Djanati Atai

Altiplano

 

Se voglio trovare una maggiore quantità di licose, devo solo allontanarmi da casa di qualche centinaio di passi e recarmi sull’altopiano vicino, un tempo ombrosa foresta, oggi tetro deserto dove va alla ricerca di cibo la cavalletta e vola da una pietra all’altra il culbianco. La brama di profitto ha devastato il paese. Poiché il vino rendeva molto, gli alberi della foresta sono stati sradicati per piantare la vite. Poi è arrivata la fillossera, i ceppi sono morti e quello che un tempo era un verde altopiano ora non è più che una desolata distesa dove, tra i sassi, spunta qualche ciuffo di robusta graminacea. E questa Arabia Petrea è il paradiso della licosa; se ne avessi bisogno, in un fazzoletto di terra scoprirei un centinaio di tane nel giro di un’ora.

 

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Primate

  • Documentario
  • USA
  • durata 105'

Titolo originale Primate

Regia di Frederick Wiseman

Primate

 

Faccio mordere la zampa di un passerotto giovane ma che ha già messo le piume ed è pronto a lasciare il nido. Cola una goccia di sangue; intorno al punto colpito si forma un’areola rossastra, poi violacea. Ben presto l’uccello non riesce più a muovere la zampa, che trascina, con le dita raggrinzite, e saltella sull’altra. Il paziente, del resto, non sembra molto preoccupato del guaio; mangia con appetito. Le mie figlie lo nutrono con mosche, briciole di pane, polpa di albicocca. Si riprenderà, si rimetterà in forze. La povere vittima della ricerca scientifica riacquisterà la libertà. È l’auspicio, e l’intento, di tutti noi. Dopo dodici ore, le speranze di guarigione si fanno concrete; il malato accetta il cibo con piacere, addirittura lo richiede se tardiamo a offrirglielo. Ma continua a trascinare la zampa. Penso a una paralisi provvisoria, che si risolverà presto. Due giorni dopo, il passerotto rifiuta il cibo. Chiuso nel suo stoicismo e nelle sue piume arruffate, sta tutto raggomitolato, ora immobile, ora in preda a sussulti. Le mie figlie lo riscaldano con il fiato nel cavo della mano. Gli spasmi si fanno più frequenti. Un profondo respiro annuncia la fine. L’uccellino è morto.
La sera, a tavola, l’atmosfera tra noi era fredda. Negli occhi dei miei leggevo muti rimproveri per l’esperimento, sentivo che mi accusavano di essere crudele. La fine del povero passerotto aveva rattristato tutta la famiglia. Io stesso provavo qualche rimorso; mi sembrava che fosse stato pagato un prezzo troppo alto per un risultato modesto. Sono fatti di un’altra pasta quelli che senza batter ciglio aprono il ventre a dei cani vivi, per arrivare a modesti risultati.
Tuttavia trovai la forza di ricominciare, e questa volta con una talpa, catturata mentre stava devastando un terreno piantato a lattuga.

 

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Lo squalo

  • Thriller
  • USA
  • durata 125'

Titolo originale Jaws

Regia di Steven Spielberg

Con Robert Shaw, Roy Scheider, Richard Dreyfuss, Lorraine Gary

Lo squalo

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Errata:
Se l’istinto di questi sapienti assassini non è, negli uni come negli altri, una predisposizione innata, inseparabile dall’animale, ma un’abitudine acquisita, mi tormenterei invano per cercar di capire come si sia potuta formare tale abitudine. Per quanto avvolgiate tali fatti in nebulose teorie, non riuscirete mai a nascondere che sono una straordinaria affermazione dell’esistenza di un ordine prestabilito.

Corrige:
No.

 

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The Tree of Life

  • Drammatico
  • USA
  • durata 138'

Titolo originale The Tree of Life

Regia di Terrence Malick

Con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Tye Sheridan, Fiona Shaw, Pell James

The Tree of Life

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Un errore eliminato equivale a una verità acquisita; tuttavia, se il risultato dei miei esperimenti dovesse limitarsi a questo sarebbe ben poca cosa. Dopo aver distrutto, cerchiamo di ricostruire, e forse saremo ricompensati dell’illusione perduta. Osserviamo anzitutto l’uscita dal tubo.
[…]
Se la famosa legge della selezione naturale che, dicono, governa e trasforma il mondo, avesse qualche fondamento; se realmente l’individuo più dotato eliminasse dalla scena quello che lo è di meno; se il futuro appartenesse al più forte, al più ricco d’ingegno, non è forse vero che da quando apre un foro in un gambo di rovo la razza delle osmie avrebbe dovuto lasciare estinguersi gli individui più deboli, che si ostinano a uscire per la solita via, e sostituirli fino all’ultimo esemplare con i vigorosi perforatori di aperture laterali? Sarebbe stato un progresso immenso per la prosperità della specie; l’insetto lo sfiora, ma non può superare la sottile linea che lo separa da esso. La selezione ha certamente avuto il tempo di scegliere, eppure, malgrado qualche successo, predominano, e di gran lunga, gli insuccessi. La stirpe dei forti non ha fatto sparire la stirpe degli indifesi; resta numericamente inferiore, come lo è sempre stata. La legge della selezione mi colpisce per la vastità dei suoi orizzonti; ma tutte le volte che voglio applicarla ai fatti osservati, mi trovo a girare a vuoto senza un punto fermo per poter interpretare la realtà. È una teoria grandiosa, ma in concreto una bolla di sapone. È imponente, ma sterile. Dove sta dunque la risposta all’enigma del mondo? Chi lo sa? Chi lo saprà mai?
Non indugiamo oltre in questa tenebra, che le nostre vane teorie non disperderanno; torniamo ai fatti, ai semplici fatti, il solo terreno che non venga a mancare sotto i piedi.

 

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Parasite

  • Drammatico
  • Corea del Sud
  • durata 132'

Titolo originale Gisaengchung

Regia di Joon-ho Bong

Con Kang-ho Song, Sun-kyun Lee, Hyae Jin Chang, Yeo-Jeong Cho, Woo-sik Choi, So-dam Park

Parasite

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Il risultato di questa promiscuità è sorprendente. Le osmie, più precoci, escono; e i bozzoli di solenius, così come i loro abitanti, giunti a quel punto allo stadio perfetto, vengono ridotti a brandelli, in briciole, in cui è impossibile riconoscere alcunché, se non qua e là un capo delle disgraziate vittime dello sterminio. Dunque l’osmia non ha rispettato i bozzoli vivi di un’altra specie; per uscire, è passata sui corpi dei solenius che si è trovata davanti. Ma che dico, passata sul corpo? Lo ha perforato, ha stritolato i ritardatari sotto le mascelle, li ha trattati con lo stesso disinteresse riservato ai miei diaframmi di saggina. Solo che queste barriere erano vive! Non importa: giunta l’ora, l’osmia è andata oltre, distruggendo tutto al suo passaggio. Ecco almeno una legge di cui si può essere certi: la sovrana indifferenza dell’animale verso ciò che non è sé stesso e la sua razza.
E l’odorato, che distingueva il morto dal vivo? Qui tutto è vivo, e l’imenottero si apre il varco come attraverso una fila di morti. A chi sostiene che l’odore dei solenius può essere diverso da quello delle osmie, rispondo che tanta sottigliezza nell’olfatto dell’insetto va oltre ogni ragionevole aspettativa.

L'esistenza e la funzione dei ferormoni (prodotti da ghiandole apposite e i cui organi recettori variano dalle antenne negli insetti agli organi vomero-nasali nei mammiferi) vennero scoperte solo dopo la seconda guerra mondiale.

 

Quel'odore di... poraccitudine. Recensione.

 

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Fata Morgana

  • Documentario
  • Germania
  • durata 78'

Titolo originale Fata Morgana

Regia di Werner Herzog

Fata Morgana

 

E chissà se la meloe non verrà a sua volta derubata da un altro ladro; o se, quando si trova nello stadio di larva sonnolenta, molle e grassoccia, non diventerà preda di qualche saccheggiatore che le roderà i visceri mentre è ancora viva? Riflettendo sulla lotta fatale, implacabile, cui la natura costringe, per conservare la specie, queste diverse creature, alternativamente possessori e spossessati, divoratori e divorati, ci sentiamo invadere da un sentimento di pena misto ad ammirazione per la maniera in cui ogni parassita cerca di raggiungere il suo scopo; e dimenticando per un attimo l’infimo mondo in cui tutto ciò avviene, rabbrividiamo di spavento davanti a questa serie di rapine, astuzie e misfatti che appartengono, ahimè, al disegno dell'alma parens rerum.

 

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2001. Odissea nello spazio

  • Fantascienza
  • Gran Bretagna
  • durata 141'

Titolo originale 2001: A Space Odyssey

Regia di Stanley Kubrick

Con Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter, Leonard Rossiter

2001. Odissea nello spazio

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Domanda:
In poche parole, l’osmia e le sue rivali hanno il senso dello spazio aperto. Un’altra inclinazione sensoriale che l’evoluzionismo avrebbe dovuto lasciarci* data la sua utilità. Se non lo ha fatto, siamo proprio sicuri di essere, come molti** sostengono, la più alta espressione del progresso compiutosi attraverso le epoche a partire dal primo atomo di albume che si è trasformato in cellula?

Risposta:
Per l’appunto: no!

* Non l’abbiamo, mai, avuto.
** Non certo gli evoluzionisti.

 

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"Animal Non Agit, Agitur." - Cartesio (René Descartes).

 

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Mektoub, My Love: Canto Uno

  • Drammatico
  • Francia, Italia
  • durata 180'

Titolo originale Mektoub, My Love: Canto Uno

Regia di Abdellatif Kechiche

Con Shain Boumedine, Ophélie Baufle, Salim Kechiouche, Lou Luttiau, Alexia Chardard

Mektoub, My Love: Canto Uno

IN TV Sky Cinema Drama

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 Ovis aries.

 

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(Nascita.)

 

Recensione.

 

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The Witch

  • Horror
  • USA, Canada
  • durata 87'

Titolo originale The Witch

Regia di Robert Eggers

Con Anya Taylor Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Lucas Dawson

The Witch

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Recensione.

 

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Apocalypse Now: Redux

  • Guerra
  • USA
  • durata 200'

Titolo originale Apocalypse Now: Redux

Regia di Francis Ford Coppola

Con Marlon Brando, Martin Sheen, Robert Duvall, Frederic Forrest, Sam Bottoms

Apocalypse Now: Redux

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Mucche alla riscossa

  • Animazione
  • USA
  • durata 76'

Titolo originale Home on the Range

Regia di Will Finn, John Sanford

Mucche alla riscossa

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Petit Paysan - Un eroe singolare

  • Drammatico
  • Francia
  • durata 90'

Titolo originale Petit Paysan

Regia di Hubert Charuel

Con Swann Arlaud, Sara Giraudeau, Bouli Lanners, Isabelle Candelier, Valentin Lespinasse

Petit Paysan - Un eroe singolare

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Babe. Maialino coraggioso

  • Commedia
  • Australia, USA
  • durata 90'

Titolo originale Babe

Regia di Chris Noonan

Con James Cromwell, Magda Szubanski

Babe. Maialino coraggioso

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Profumo di donna

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 100'

Regia di Dino Risi

Con Vittorio Gassman, Agostina Belli, Alessandro Momo, Moira Orfei

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 Ferormoni.

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Profumo. Storia di un assassino

  • Drammatico
  • Francia, Spagna, Germania
  • durata 147'

Titolo originale Perfume. The Story of a Murder

Regia di Tom Tykwer

Con Ben Whishaw, Dustin Hoffman, Rachel Hurd-Wood, Alan Rickman

Profumo. Storia di un assassino

In streaming su Infinity Selection Amazon Channel

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