Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Che Nettuno ti strafulmini!
“the LightHouse”, ovvero: il prologo fine ottocento ad “Annihilation” (una considerazione andrebbe posta in essere anche verso "the Phantom Light" di Michael Powell del 1935 e "Sh! the Octopus" di William McGann del 1937): un primo tentativo d'invasione (non xenica, ma endemico-autofaga).
Robert Eggers si conferma grande vivificatore di quadri, e con la sua icasticamente iconografica opera seconda (scritta col fratello Max e co-prodotta con A24, che distribuisce: costata 4 mln di $, ad oggi, [edit] metà febbraio, ne ha incassati 4 volte tanto) crea al contempo tanto una copia quasi conforme al lavoro d'esordio, “the Vvitch: a New England FolkTale”, finendo per inserirvi pure ulteriori quasi-semi letterali citazioni da “the Shining” [dove più che il veloce incedere azzoppato armato d'ascia, qui, come nell'altra pellicola, incentrata sul New England dell'enroterra e non costiero, si tratta del momento “Woman in the (non Red ma Green) Room 237”, col Guardiano del Faro a prendere il posto della Sirena], quanto un passo avanti [ancora più scarno di nuovo significato, ancora più insensato, e ancora più saturo e gremito di pura bellezza - l'omaggio al recuperato (non che si fosse perso) cinema degli albori -, stratificata come guano: a fin di bene (il nostro) fine a sé stessa, e, in piccole dosi, nutriente].
Quel che Nicolas Winding Refn stroppia, Robert Eggers è: in attesa di “the NorthMan” - compagno di viaggio del miglior film di NWR ad oggi, “Valhalla Rising” (One-Eye) e, chissà (ri/as-sonanze), del primo dei Seven Dreams di William T. Vollmann, "la Camicia di Ghiaccio" -, che vedrà il ritorno da una parte di Anya Taylor-Joy e dall'altra di Willem Dafoe.
Una frase è paradigmatica dell'intera operazione, e per una piccola forzatura tecnico-storica (il film si svolge nel luglio del 1881, e la fortuna pubblica e critica di Herman Melville - ben diverso è il discorso per S.T.Coleridge - era al suo punto più basso dopo i successi dei primi romanzi e la riscoperta nel primo quarto del secolo successivo), e per un valore di auto-disamina/critica: “I'm tired of your damned-fool yarns and your captain Achab horseshit! You sound like a goddamned parody!” (“Sono stufo del tuo stupido blaterare e delle tue stronzate da capitano Achab! Sembri una stramaledetta caricatura!”).
Willem Dafoe (flatulente omoerotico lovecraftiano tritone zoppo sedicente ex-marinaio) e Robert Pattinson (eiaculante ex-boscaiolo auto-masturbatore col suo bel topos albino a guisa di doppelgänger à la Don Draper) licenziano - considerando il fatto che il primo ha un carnet ricolmo [no, non stilerò una lista di interpretazioni per uno degli attori più importanti degli ultimi quarant’anni - Scorsese, Schrader, Friedkin, Trier, Ferrara, Lynch, Cronenberg, Herzog, Hill, Stone, Parker, Raimi... -, mi limito a una delle ultime (splendida), “Dog Eat Dog” e, giusto per sottolineare il magnifico lavoro sull’accento e l’inflessione che si può apprezzare in “the LightHouse”, “Vox Lux”], e il secondo lo avrà (Cosmopolis, the Rover, Maps to the Stars, Queen of the Desert, Life, the ChildHood of a Leader, the Lost City of Z, Good Time, High Life, Waiting for the Barbarians, Tenet) - due delle migliori interpretazioni della loro carriera.
Esordio per la moldava modella anfibia Valeriia Karaman.
Torna la crew di “the Witch”, con i sodali Jarin Blaschke alla splendida* fotografia in bianco e nero (pellicola 35mm, ISO 120, EastMan Double-X, formato 1.19:1; lenti Baltar anni '30; audio mono), Louise Ford (“WildLife”) al montaggio e Matt Korven (“Cube”, “the Great Martian War”, “the Terror: Infamy”, “In the Tall Grass”) alle ottime musiche.
*Bianco e nero (e formato / aspect ratio) con intenzioni tanto filologiche (ma lo spettro all'apparenza non è ortocromatico) quanto politiche (degli autori) vicine a quelle (all'incirca post-2000), meravigliose, di Béla Tarr [“Kárhozat”, “Sátántangó”, “Werckmeister Harmóniák”, “A Londoni Férfi”, “A Torinói Ló”), di Edgar Reitz (“Heimat”, 1981-2013 ↔ XIX, XX e XXI secolo), dei Coen (“The Man Who Wasn't There”, 2001↔1949) e di Haneke (“il Nastro Bianco”, 2009↔1913-'14), e ai Soderbergh di “the Good German” (2006↔1945) e de Heer di “Dr. Plonk” (2007↔1907), ed in parte a quelle di Philippe Garrel, e di “Good Night, and Good Luck”, 2005↔1953), “Tetro” (2009↔seconda metà XX secolo), “Polytechnique” (2009↔1989), “A Field in England (2013↔metà XVII secolo), “Nebraska” (2013↔oggi), “Risttuules - In the CrossWind” (2014↔metà XX secolo), “1945” (2017↔1945), “November” (2017↔fine XIX secolo) e “Roma” (2018↔1970-'71), piuttosto che a quelle di “the Artist” (2011↔1927), “BlancaNieves” (2012↔anni '20), “Tabù” (2012↔oggi e metà XX secolo), “Ida” (2013↔1962), “Frantz” (2016↔1919) e “Cold War” (2018↔1949).
↑ Sascha Schneider (1870-1927) - “Hypnosis” - 1904 ↔ Robert Eggers (1983) - “the LightHouse” - 2019 ↑
↑ Winslow Homer (1836-1910) - "the Artist's Studio in an AfterNoon Fog" - 1894 ↑
Rimane ben poco da dire, e come per altre occasioni (“the Limits of Control”, “Under the Skin” e lo stesso "the Witch"), non altro da fare che lasciar parlare ancora le immagini. E ascoltare il rumore di fondo scandente (↑) la salvezza e/o l'oblio della bradburyana Sirena da Nebbia [sua è la Shanty-Ballata monoton(ic)a].
Troppa luce, nessun significato...
E l'ottocento lascerà ben presto il passo al novecento, e il Romanticismo si frantumerà nelle trincee assediate dai gas della Prima Guerra Mondiale e nelle Fornaci Umane e Atomiche della Seconda...
E dopo Copernico/Galileo/Keplero che ci hanno detronizzati dal centro dell'Universo e del Sistema Solare, dopo Darwin che ci ha scagliato giù dalla sommità della scala evolutiva, dal vertice del Regno Animale e dall'apice della catena alimentare, mentre Freud ci sta scindendo persino dal centro, dal cuore e dal nucleo di noi stessi, ecco che presto si presenterà Einstein sulla scena a rivelarci l'essenza illusoria di Spazio e Tempo...
Non ci rimane altro che brindare alla Bellezza...
* * * ¾ (****)
Che Nettuno ti strafulmini!
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