Regia di Ferenc Török vedi scheda film
Notte e Nebbia in pieno, acciaio livido nel profondo ma terso di facciata, giorno inondato dal solleone.
Agosto (le stoppie secche di grano nei campi mietuti) 1945 (il rumore di fondo dei radiogiornali che irradiano da Hiroshima e Nagasaki), un paesello nella vasta pianura (Alföld) ungherese (la campagna coltivata, non la steppica puszta).
Prima della Deportazione, in anticipo sull'Obbligo: la Delazione: un volenteroso Dovere, un autonomo Piacere.
Dopo la Tregua: il Ritorno, il Nostos: Bad Day at Gandino (unroll).
[Meanwhile, in Falkenau.]
Un film di Béla Tarr (la Sempiterna Zona delle Armonie di Werckmeister calpestata dalle eco degli zoccoli al trotto del Cavallo di Torino) senza piani sequenza coincidenti con la vita e girato da un Pupi Avati non compromesso dal/col compromesso. La profonda indagine sull'ottuso disumanesimo (dalla vigilia della Grande Guerra al post-Shoah) messa in atto da Michael Haneke in "il Nastro Bianco - una Storia per Bambini Tedesca" c'entra ben poco.
Noi facciamo schifo, e che paura ci fanno i tedeschi e i russi! Per fortuna che ci sono gli ebrei da poter bastonare giù pesantemente di manfanile e calocchia, raccogliendone la pula di spiccioli cascati dalle tasche strappate.
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I. Giugno. BudaPest.
Per chi arriva da fuori, Budapest è un luogo straniante. Ogni incontro offre una versione nuova e contrastante della realtà. Nessuno ha la stessa storia da raccontare. L'esistenza è esplosa.
Alcuni vivono in uno stato di paura nei confronti della polizia segreta, che in qualsiasi momento può arrivare e portarli via con la forza. Amici e vicini sono scomparsi. Nessuno fa mai ritorno, dicono. Altri sostengono che il panico sia esagerato, che i comunisti sono come i russi, buoni e gentili, e che chiunque affermi qualcosa di diverso è un “reazionario”.
[…]
I mendicanti sono più numerosi che mai, ex soldati feriti in guerra che non ricevono alcuna pensione riempiono le strade di Budapest, zoppicando e mormorando richieste d'aiuto. Camionette russe fanno risuonare marce sovietiche dagli altoparlanti. Fumi di motori diesel, sporcizia e paura scorrono davanti agli occhi della gente. Sui viali marciano i prigionieri politici, anche donne e bambini, diretti ai lavori forzati.
Tutti gli abitanti di Budapest hanno l'obbligo di dedicare dieci giorni all'anno a ripulire la città dal ciarpame e dalle macerie, ma chi ha i soldi paga per non farlo. I negozi sono ben forniti, i lampioni di notte brillano, la gente va a teatro e nei caffè, compra cappelli nuovi e mangia torte con la marmellata di albicocche e la panna – e tutti ripetono la stessa cosa, come un mantra, una formula magica: Oh, se solo potessimo permetterci di vivere come viviamo!
Un carretto avanza per le assolate e riarse campagne magiare. Un mezzo tiro pesante, un cocchiere, un facchino, due bauli e due ebrei ortodossi, barba e cappello, a seguire a piedi il feretro delle spoglie dei giorni passati.
II. Maggio. Varsavia.
Il caldo penetra fin dentro gli scantinati della città che giacciono aperti, scoperchiati ed esposti per via delle bombe e dei crolli degli edifici. Durante la guerra nessuno aveva il tempo di seppellire i corpi come si deve, erano troppi, un quarto di milione di morti in un'unica città. Ora quelle fosse poco profonde non bastano più. Questa primavera Varsavia puzza di cadavere.
Lungo l'orlo della semplicità, in affaccio sul bordo della voragine della storia: l'inghiottitoio di tutti i nomi: i bambini che calzarono quelle scarpe, lessero quei libri, giocarono con quei balocchi. Gli eredi - depredati del futuro - prendono possesso del cimitero.
III. Gennaio. Roma.
Solo qualche giorno prima che il 1946 diventi il 1947, cinque uomini si riuniscono in viale Regina Elena a Roma. Un giornalista, un archeologo, un ragioniere, un sindacalista e un uomo che sostiene di essere il figlio illegittimo di Benito Mussolini. Insieme fondano il Movimento Sociale Italiano, basato sulle stesse idee e sugli stessi ideali del partito fascista di Mussolini. In breve tempo l'MSI raccoglie un gran numero di adesioni e cospicui contributi in denaro sotto forma di donazioni private. Già dopo un mese o due vengono aperte sedi locali in tutta Italia e il movimento può dare inizio alla sua opera di attacco alla democrazia e opposizione al comunismo. E non solo in Italia. L'obiettivo è anche quello di una nuova Europa.
Falangisti in Spagna, peronisti in Argentina, fascisti britannici guidati da Oswald Mosley, neonazisti che si radunano illegalmente a Wiesbaden sotto la guida di Karl-Heinz Priester. E poi, in Svezia, Per Engdahl. Sotto la superficie ci sono loro, e mentre il mondo guarda da un'altra parte loro si muovono. […] Presto questi uomini si avvicineranno gli uni agli altri, fino a coalizzarsi. L'immobilità accumulata da un pendolo che si prepara a un contraccolpo.
Lungo il dolce declivio in salita verso il piccolo cimitero ebraico del villaggio arrivano i (com)paesani (dei cadaveri) - bottegai, operai, contadini - che hanno seguito il feretro del loro cadavere ideale (lingotti d'oro? Profumi e balocchi? Cianfrusaglie? Valigie, scarpe, cappelli, orologi, capelli, denti).
Armati di forconi.
IV. Aprile. Berlino.
Esiste un posto situato tra ieri e domani. Facile smarrirsi lì. Un luogo deserto senza angoli sicuri, pieno di giovani tedeschi sotto i venticinque anni. Non conoscono altro che il sistema nazista. Adesso ha cessato di esistere. Cosa resta? Un vuoto. Dove loro sembrano raccogliersi, indugiare, voler rimanere.
Si trovano tra uno ieri sotto Hitler, durante il quale “se l'erano passata meglio che mai”, e un domani che forse potrà essere diverso e magari migliore. Di garanzie, però, non ne ricevono.
Questo luogo non è su nessuna carta geografica. Malgrado ciò, si colloca tra est e ovest. I punti cardinali sono chiaramente distinguibili, ma da che parte debbano andare i giovani nessuno sa dirlo. Un pensiero corre da l'uno all'altro e si trasforma nell'opinione generale: fintanto che non scelgono nulla, non possono sbagliare.
E il figlio del notaio/podestà se ne va.
V. Giugno. Torino.
Amore e rabbia. Primo Levi ha ventotto anni e lavora al suo libro passando da uno stato d'animo all'altro, altalenando tra due estremi che si possono anche considerare gemelli. Da gennaio cerca di far pubblicare il suo manoscritto, da gennaio sei diverse case editrici lo hanno respinto.
È inizio estate adesso a Torino. Una specie di quotidianità. Una sorta di silenzio. Chi vuole guardare indietro quando ogni ricordo provoca dolore, ciò che è stato è stato, e parlarne in continuazione non serve ad alleviare le atrocità già commesse? Questa sembra essere l'opinione tacita ma diffusa della maggioranza. Lascia perdere, va' avanti.
[…] [- ...il campo... -] […]
Come mai gli venga in mente proprio il canto di Ulisse, non se lo spiega bene neanche lui. Ma in quel momento il poeta Dante incontra il campo di sterminio di Auschwitz – una delle opere in versi più sofisticate dell'umanità e uno degli orrori più elaborati dell'umanità si uniscono nel giovane Primo Levi. Lui è il punto di rottura, la civiltà un fuggitivo che incrocia le proprie tracce.
La dirottata sposa ripromessa incendia la dote lasciatale in eredità da un pezzo di carta bugiardo.
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“1945” è il tredicesimo lungometraggio (più quasi altrettanti documentari, episodi di serie tv e cortometraggi di finzione e non) di Ferenc Török, autore ungherese nato a Budapest nel 1971, scritto dal regista assieme a Gábor T. Szántó (connazionale e concittadino del regista, classe 1966), l'autore del racconto di partenza da cui il film è tratto, “Ritorno a Casa”.
Fotografia: Elemér Ragályi; montaggio: Béla Barsi; musiche: Tibor Szemzö.
Formidabile cast bruegeliano, caravaggesco. Un volto per tutti, quello dell'invalido reduce veterano di due guerre, János Derzsi (1954), corpo tarriteo per eccellenza.
Per metaforica sinestesia, simbolica similitudine, allegorica antonomasia, altro fumo s'alza al cielo a ricordare quel fumo, altre locomotive, le stesse, trascinano carrozze passeggeri invece di vagoni merci e bestiame.
I due visitatori, compiuto il loro compito, così come sono arrivati, se ne vanno.
Non si voltano indietro nemmeno una volta: non c'è più nulla da vedere. Niente.
Solo il mondo che ripete il suo corso.
* * * * ¼ - 8 ½
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MeanWhile, In the CrossWind…
VI. Luglio. Haifa.
Mr Rand (Canada): Ha visitato i campi in Europa?
Mr Grauel [U.S.A., e Haganah; NdR]: Mentre la Exodus era trattenuta in Europa, ne ho approfittato per andare ai campi.
Mr Rand: Come descriverebbe l'atteggiamento nei confronti della Palestina tra gli ebrei nei campi?
Mr Grauel: Quelli con cui ho parlato prendono in considerazione due alternative – gli Stati Uniti o la Palestina. (…) Per come la vedo io queste persone non si sono lasciate nulla alle spalle se non l'orrore, e non hanno alcuna aspettativa per il futuro. Sopportano di trovarsi nei campi a Cipro o da qualche altra parte perché sanno che tra uno o due anni arriveranno nella terra d'Israele, e quando in duecento partono per andarci, in altri mille si accende una nuova speranza.
Mr Rand: Ci può dire se c'erano armi a bordo?
Mr Grauel: A mio giudizio queste persone non avevano altro con cui battersi che patate e conserve. (…) Vorrei fare una dichiarazione. Dopo aver seguito l'intera faccenda, so per certo che non desisteranno dal voler raggiungere la Palestina e che niente se non guerra e distruzione li fermerà mai.
VII. Novembre. Al-Husseiniyya.
Meriam Othman ha dieci anni e abita con la madre, il padre e i fratelli più piccoli in una casa nel villaggio di Al-Husseiniyya, nel distretto di Safad in Palestina. In aprile pioverà, una bomba verrà fatta brillare in mezzo alla strada, una mina destinata ai sionisti. Alcune persone – non sa chi – noteranno delle impronte nella terra bagnata che dalla bomba portano dritte al suo villaggio. I soldati sionisti capiranno che il responsabile è di al-Husseiniyya.
Dopo cinque giorni di pioggia arrivano tre giorni di silenzio. Gli abitanti aspettano, i soldati aspettano. Poi attaccano da tre lati: sud, est e ovest, mentre il nord lo lasciano aperto. Come mai Meriam si ricorderà di questo?
I soldati entrano nella stalla della famiglia e sparano alle mucche. Che fare adesso? Il padre di Meriam tira fuori una piccola pistola e dice a moglie e figli che devono prepararsi a morire.
Meriam Othman, il suo fratellino, la sua sorellina e la più piccola di tutti, che ha otto mesi, vengono fatti sdraiare per terra. I genitori li coprono con dei materassi. Sentono i soldati che scavano proprio davanti alla loro porta, che spalano la terra per aprirsi un varco proprio sotto la casa e piazzarci una bomba. I genitori di Meriam si sdraiano sui materassi per proteggere i figli col proprio corpo. Poi la casa salta in aria.
Il giorno dopo arriva gente dal villaggio vicino per estrarli dalle macerie. Meriam è gravemente ferita. Il suo fratellino è morto. Quando sua sorella viene tirata fuori dalle rovine, nota che ha delle ossa esposte. La neonata è a terra senza vita con una pietra in bocca.
[Tutti i corsivi di questa pagina sono tratti da “1947” di Elisabeth Åsbrink (2016; ediz. ital. IperBorea, 2018, traduz. di A.Borini)]
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