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Papillon

Regia di Michael Noer vedi scheda film

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La recensione su Papillon

di alan smithee
6 stelle

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Mai desistere o darsi per vinti. Anche quando una legge di stato, inflessibile, suprema, definitiva e senza scampo, finisce per annullare ed annientare personalità e caratteri, togliendo, oltre che la capacità ci agire, anche la dignità di essere umano, ogni desiderio di vita che non sia il puro sussistere vegetativo.

Così è successo tante volte nel passato. Così capita alle soglie degli anni ’30, quando la Francia era solita allontanare i delinquenti giudicati rei di delitti gravi, confinandoli nella colonia penale della Guyana, sottoposti ad una detenzione in luoghi isolati con difficile possibilità di evasione e sopravvivenza. Costoro, quando non condannati all’ergastolo, venivano costretti a scontare una permanenza pari a quella della detenzione presso la colonia, prima di poter eventualmente essere rimessi in condizione di tornare presso quella patria che tende in tutti i modi ad annientarli, nel corpo e nello spirito.

Tra questi, incontriamo il dinamico ed atletico ladro Charrière, detto Papillon, incastrato da terzi ed accusato ingiustamente di un omicidio non commesso, impossibilitato ad essere scagionato dalla amata sua donna, in quanto prostituta e, come tale, non ritenuta soggetto affidabile.

Sulla sua strada verso la prigionia oltremare, “Papi” incontra il mite e vulnerabile falsario Louis, circondato da un vociare di informazioni circa il tesoro che l’ometto porta con sé, celato in luoghi così intimi da generare imbarazzo o ilarità, a seconda dei casi.

Lo scaltro ed atletico papi intuisce che quell’uomo indifeso, ma anche facoltoso, potrà giungergli utile nella fuga che egli medita già prima di essere giunto a destinazione.

Nonostante la minaccia che grava anche solo su chi premedita una simile circostanza, le occasioni di fuga per Papillon ed in suo compare, diverranno una costante, e ogni volta l'inquieto prigioniero arriverà a scontare punizioni sempre più destabilizzanti, pronte ad annullare la dignità di essere umano che, a quei tempi a livello ufficiale, non veniva considerata un valore inalienabile per ogni essere umano.

Remake del celeberrimo, famosissimo, e forse anche un po’ sopravvalutato, ma comunque ottimo film di Franklin J, Schaffner (solido cineasta di blockbuster d’autore come Il pianeta delle scimmie, Patton, I ragazzi venuti dal Brasile), questa nuova impresa dedicata alle gesta del personaggio realmente esistito di Papillon, ad opera di un apprezzato regista danese di nome Michael Noer (suo Northwest, storie di esperienze di vita e maturazione tra i quartieri popolari danesi), sconta innanzi tutto l’impossibilità di confrontare i pur bravi e volenterosi protagonisti di questa ripresa, con gli illustri originali.

In particolare Charlie Hunnam – Civiltà perduta, Crimson Peak, Pacific Rim, dimostra un’altra volta di saper coniugare molto bene prestanza fisica, avvenenza come dono di madre natura, con un buon livello espressivo che lo rende adatto ad essere scritturato in produzioni anche commerciali, ma di autori mai banali. Speriamo non finisca troppo presto alla mercé della Marvel o della Dc, imprigionato in qualche lautamente pagato ruolo da supereroe.

Charlie Hunnam

Papillon (2017): Charlie Hunnam

Roland Møller, Rami Malek, Charlie Hunnam

Papillon (2017): Roland Møller, Rami Malek, Charlie Hunnam

Paragonare Hunnan e Rami Malek rispettivamente a Steve McQueen e Dustin Hoffman, significa inesorabilmente far loro del male (ai primi, of course). Quindi nemmeno ci azzardiamo.

La storia convince, pur senza avvincere, il ritmo non manca, l’accumulo di situazioni rocambolesche garantisce una salda attenzione ad una vicenda che non decolla mai veramente, senza tuttavia nemmeno deluderci, e momenti intensi e dolorosi come il calvario dell'isolamento sono vissuti qui, rispetto all'originale, con troppa superficialità e troppo poca enfasi sulla sofferenza personale.

Pure molti personaggi secondari anche di mero contorno, ma importanti per l'economia drammatica di un percorso di passione laica del detenuto con la farfalla tatuata, sono qui sin troppo tralasciati o addirittura omessi.

Il ruolo del ragazzo omosessuale addetto al taglio delle barbe ed oggetto di desideri e rivalità tra i detenuti è qui completamente trascurato in cambio di una certa ostentazione della fisicità assai svuluppata di Charlie Hunnan, di certo assai più possente ma inevitabilmente meno carismatico di McQueen.

Siamo qui di fronte ad un prodotto – curiosa co-produzione tra Usa, Montenegro e Malta - diretto, recitato, montato e prodotto con estrema professionalità, solido mestiere ed impeccabile messa in scena, che utilizza splendide e coerenti ambientazioni caraibiche per trovare la appropriata cornice ad una storia di fughe e punizioni esemplari, di desiderio di riscatto e voglia di vivere, di fatto esemplari, se non a suo modo eroiche per la potenza della forza d’animo che sostiene il nostro uomo tutt’altro che senza macchia, ladro impenitente ma di fatto alla fine unico eroe anche di fronte ai biechi e crudeli garanti di una legge inflessibile ed incapace di provare un minimo di umana compassione nei confronti di chi ha sbagliato e merita una giusta e coerente pena.

Tagliato e strutturato in modo meno avvincente e più realista dell'originale, il film intende forse adattarsi più alla biografia del vero Papillon, senza tuttavia dimenticarsi di mantenere certi particolari ed episodi secondari peculiari che già si intravexevano nel primo, irraggiungibile, adattamento.

 

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