Al suo quinto giorno, il Festival di Venezia mostra in concorso due opere attesissime e tra loro molto differenti: Hungry Hearts di Saverio Costanzo e The Cut di Fatih Akin.
Girato con una camera a mano e ambientato a New York (stravolgendo l'ambientazione origine del romanzo da cui il film è tratto, Il bambino indaco, le cui vicende si dipanano a Venezia) Hungry Hearts è una storia sulla forza dell'amore. Seguendo le orme di Blue Valentine e Rosemary's Baby, l'opera copre l'intero evolversi di una relazione amorosa, dal primo incontro tra il gregario Jude e la timida Mina quando entrambi rimangono bloccati nel bagno di un ristorante, scena che lascia presagire ciò che verrà dopo, fino a un epilogo scioccante. Le lievi eccentricità di Mina sono aggravate dalla nascita prematura del loro bambino, la cui crescita diventa motivo di scontro tra i genitori e di crollo emotivo, fisico e mentale, di lei. La performance di Alba Rohrwacher è una delle migliori tra quelle viste al momento in un festival che non sta regalando, almeno nella sezione principale, figure femminili degne di nota. Un capolavoro a detta di chi lo ha visto (recensione di Spaggy, recensione di EightAndHalf) e 13 minuti di applausi in sala stampa. Immancabile il desiderio di correre in libreria ad acquistare il libro di Marco Franzoso.
Fatih Akin, invece, rischia e ci riporta indietro nella Storia, raccontando l'epopea del viaggio di un padre alla ricerca delle due figlie sullo sfondo del genocidio armeno. Opera dura nella prima parte ma che tende ad addolcirsi con lo scorrere dei minuti e con l'ausilio di Charlie Chaplin e del suo Il monello, The Cut trova forse il suo più grande limite nella retorica che accompagna diversi momenti e nella troppa presenza di incontri fortuiti e salvifici. Rimangono alcune perplessità: qualche minuto in meno e un taglio di peregrinazioni mondiali avrebbero di sicuro giovato all'intero lavoro. Tanto meticolosa la ricostruzione storica quanto deprecabili certe presenze alla prima proiezione stampa, le cui risate da Bagaglino cozzavano con la drammaticità di quanto stava in quel momento passando sullo schermo. Qui, l'intervista al regista e la recensione del film.
Recuperato EightAndHalf persosi dietro alla proiezione di Ritorno a L'Avana, ultimo non proprio imperdibile lavoro di Laurent Cantet (recensione), ci avviamo verso l'area ristoro quando, in fila per la solita caprese, scorgiamo un pezzo di storia del cinema italiano, seduto a un tavolo con la moglie. Con un po' di faccia tosta e la giusta dose di spavalderia, aspettiamo che beva l'ultimo sorso di acqua e ci avviciniamo: del resto, quando si ha davanti Ninetto Davoli, è difficile resistere. Affabile, disponibile e dal sorriso contagioso, approfittiamo della circostanza per porgli qualche domanda e per l'immancabile foto da postare sui social per l'invidia degli amici cinefili. Presente al Lido per Senza nessuna pietà e per il Pasolini di Abel Ferrara, si lascia andare a una malinconia riflessione: «Dopo 40 anni dagli eventi raccontati da Ferrara, nessuno sembra ricordare più la figura di Pier Paolo. Entusiasma sapere che, giovani come voi, ne mantengano viva la memoria e facciano in modo che il suo nome non passi nel dimenticatoio. Ne sarebbe stato contento». Ecco me e Eight insieme a lui.
Nel pomeriggio, EightAndHalf e Alan Smithee, reduce da Goodnight Mommy di Severin Fiala e Veronika Franz (recensione), si sono riversati alla proiezione di The Smell of Us di Larry Clark. Contrariamente per quanto accade con gli altri film della sezione, l'autore non è presente al Lido e non ha potuto constatare il disappunto creato dalla sua opera che tratta di un gruppo di giovanissimi skateboardisti. Un piccolo esempio di ciò è anche il microcosmo di FilmTv.it: provate a leggere le antitetiche recensioni di Eight e Alan.
Approfittando di una serata di proiezioni piuttosto fiacche torniamo relativamente presto alla nostra abitazione, a metà strada tra Piazzale Roma e le Zattere. Passeggiando per i canali, ci imbattiamo in una curiosità cine-teatrale: nel campo che vedete in foto, davanti alla chiesa di San Trovaso, nel 1934 durante la Biennale il regista Max Reinhardt mise in scena una rappresentazione di Il mercante di Venezia di Shakespeare con i commenti musicali di Victor de Sabata.
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