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Il castello errante di Howl

Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film

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La recensione su Il castello errante di Howl

di ilcausticocinefilo
10 stelle

 

 

 

Dopo capolavori intramontabili quali Principessa Mononoke e La città incantata era, obiettivamente, difficile far di meglio. Alcuni sostengono che con questo Castello errante di Howl si registri un lieve passo indietro: sarà vero, in parte, per la sceneggiatura, ma non di certo, a parere di chi scrive, per quanto attiene all’invenzione, all’immaginazione, all’arte visiva qui ai suoi massimi esattamente come nei due film precedenti del maestro nipponico.

 

Il castello errante di Howl offre ulteriore riprova – non che ve ne fosse molto bisogno – dell’eccezionalità di un autore e dello studio da lui fondato con l’altro grande, Takahata. E’ un’opera dal grande fascino di palese ascendenza europea: Miyazaki – dopo il “ritorno in patria” dei due precedenti capi d’opera – si lascia nuovamente ammaliare da atmosfere simili a quelle di Kiki – Consegne a domicilio e inserisce le vicende nel quadro di una fastosa versione fantasy della Mitteleuropa di fine ‘800, ispirandosi in particolare ai paesaggi dell’Alsazia, e la scelta si riverbera anche nella colonna sonora “valzeriana” di Hisaishi.

 

 

 

Le trovate sono inesauribili e talvolta geniali e i personaggi memorabili (a parte l’indimenticabile invenzione del castello semovente – una vero prodigio animato, un mastodonte dalla topografia complessissima, costituito da una moltitudine di piani e rilievi – come non menzionare perlomeno “Testa di rapa” e “Calcifer” il demone del fuoco).

La qualità dell’animazione, va da sé, è elevatissima. La formidabile resa pittorica degli sfondi e il perfetto amalgamarsi (in almeno 200 diverse inquadrature [ 1 ]) del metodo tradizionale col digitale ad accentuarne le potenzialità, vanno a creare un universo dettagliatissimo e una serie di panorami mozzafiato.

 

Il tutto calato in una cornice steampunk come l’altro film d’animazione giapponese del 2004 dalle incredibili animazioni, Steamboy. E influenzato anche, indubbiamente, da un maestro del fumetto quale il compianto Moebius che, proprio tra 2004 e 2005, incontra Miyazaki in occasione di una mostra congiunta a Parigi [ 2 ].

 

 

L’opus n. 10 del regista (contando anche l’imprescindibile Conan il ragazzo del futuro) spazia con disinvoltura dal fantastico all’avventura, dal dramma alla commedia, mentre ad intorbidire l’apparente serenità di molte sequenze v’è lo spettro sempre più incombente della guerra (persino nella placida scena nella quale Sophie si assopisce in riva al lago all’orizzonte si possono notare nubi scure solo tenuemente rischiarate dai raggi del sole).

 

Una tempesta sta per abbattersi. La conflagrazione che già miete vittime in luoghi lontani è in procinto di giungere sull’uscio di casa di Howl e Sophie, con il primo che oltre a tentare di evitare in ogni modo la precettazione dei maghi, cerca pure di sabotare le macchine infernali che sono i bombardieri, che portano morte dall’alto.

 

 

La vena pacifista di Miyazaki qui prende il centro della scena (si tratta peraltro di una sua aggiunta, assente nel romanzo della Jones) e l'autore – per il tramite di alcune sequenze terribili, che squarciano appunto l’apparente tranquillità della messinscena – si dedica a raffigurare senza mezzi termini l’orrore della devastazione bellica.

La condanna (pare influenzata anche dalla stretta contingenza della criminale guerra americana in Iraq) non potrebbe essere più netta. E, in certo modo, influenza l’andamento della trama che non ha un “cattivo” chiaramente identificabile, non vuole tanto – in maniera simile a Mononoke – operare una banale distinzione buoni vs. cattivi (lo stesso Howl ha un lato inquietante e vanitoso, mentre la tremenda “Strega delle Lande” alla fine è ridotta a quasi innocua vecchietta) quanto – senza comunque mai sprofondare nel didascalismo – presentare anche ai più piccoli, con l’ausilio della magia dell’animazione, un fermo atto d’accusa contro i mali del mondo e in particolare contro l’assurdità d’ogni conflitto, e al contempo offrire il barlume di una speranza in un futuro migliore, con un’umanità liberata tanto dalla brutalità quanto dalla fame e dalla miseria.

 

Si riesce a non scadere nella melensaggine e nel patetismo, grazie all’inconfondibile tocco miyazakiano che non dimentica mai di stupire gli occhi e la mente, inanellando, come detto, una serie di sequenze una più bella, complessa e ricercata dell’altra. Non saremmo ai livelli de La città incantata ma di sicuro una spanna sopra alla stragrande maggioranza dei film d’animazione hollywoodiani odierni.

 

 

Si merita dunque l’appellativo di capolavoro, questo Castello errante di Howl? Fosse anche soltanto per la sconfinata fantasia e il costante splendore delle immagini, sì, senza dubbio . Ma ad ogni modo pure la sostanza narrativa – per quanto a tratti, probabilmente, un poco farraginosa – lo mantiene ben saldo nell’alveo delle opere animate più sfaccettate e intriganti degli ultimi decenni.

Si tratta di un signor film, un’altra perla nella collezione di meraviglie dello Studio Ghibli, da vedere e rivedere anche perché sempre in grado di far affiorare un nuovo sprazzo di brillantezza pittorica e un altro piccolo particolare magari prima passato inosservato; oltreché di offrire un nuovo spunto di riflessione in merito a questioni mai inattuali quali la guerra, l’amore, l’invidia e la gelosia, la comunità, la ricerca della felicità e il suggestivo potere dell’Arte, capace di infrangere muri e barriere d’ogni sorta.

 

 

[ 1 ]  Cfr. The Art of Howl’s Moving Castle, Viz Media, 2005, pp. 187-89.

[ 2 ]  Vedi l’intervista a due.

 

 

 

 

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