L'unica domenica del Festival di Venezia presenta in concorso due film diretti da altrettante donne, The World to Come di Mona Fastvold e Never Gonna Snow Again di Malgorzata Szumowska (con la partecipazione del direttore della fotografia Michal Eglert). Grande attenzione merita il titolo della regista polacca per un fatto anomalo: nonostante non sia ancora uscito in sala e non sia stato presentato altrove, il film è stato già designato dalla Polonia a rappresentare il Paese agli Oscar 2021. Per chi non lo sapesse, invece, il lungometraggio della Fastvold ha tra gli sceneggiatori Ron Hansen, l'autore di L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford.
Fuori dalla sezione principale spiccano tra le molte cose il documentario Narciso em Ferias che racconta cinquant'anni dopo l'arresto del cantautore brasiliano Caetano Veloso e Assandira di Salvatore Mereu, tratto dall'omonimo libro di Giulio Angioni.
Proiezioni odierne: Concorso
THE WORLD TO COME
Sinossi: Verso la metà dell'Ottocento nel nord dello stato di New York, Abigail si appresta a iniziare un nuovo anno nella fattoria in cui vive con il marito Dyer. Mentre riflette sull'anno che verrà, sfogliando le annotazioni del suo diario, si percepisce il forte contrasto tra il comportamento pacato e stoico della donna e le complesse emozioni che affiorano dalle pagine. All'arrivo della primavera, Abigail incontra Tallie, donna estroversa di straordinaria bellezza, appena trasferitasi con il marito Finney in una fattoria nelle vicinanze. Le due provano a stringere una relazione, riempendo un vuoto nelle loro vite di cui non conoscevano l'esistenza. Il film segue il crescere dell'intimità e dell'appassionato attaccamento tra le due donne, proprio mentre incominciano a comprendere di non avere alcun modello a cui riferirsi per la condizione in cui si trovano. Mentre i mariti fanno i conti con l'intensità del legame delle loro mogli, tra i sentimenti feriti di Dyer e la gelosia vendicativa di Finney, gli eventi culminano con la decisione di quest'ultimo di allontanare Tallie, e la determinazione di Abigail a seguire la sua anima gemella.
EXCL. Tre domande alla regista Mona Fastvold
1. Da dove nasce il film? È sempre un mix interessante quello dato da una scrittrice che adatta un racconto.
La sceneggiatura mi è arrivata grazie alla produttrice Whitaker Lader, che aveva visto tutti i miei film precedenti. Ne sono rimasta incantata sin da subito: il testo era insolitamente bello. C'erano alcuni dettagli che mi permettevano di approfondire meglio i temi legati alla sessualità e alla maternità della protagonista e che mi offrivano la possibilità di plasmarli con la mia prospettiva. Mettendo io mano alla storia, ne abbiamo cambiato la struttura individuando alcuni punti che potevano essere maggiormente espansi anche visivamente. Con gli scrittori Ron Hansen e Jom Shepard abbiamo collaborato serenamente: nonostante i punti di vista diversi, non siamo mai entrati in conflitto. Anzi, mi hanno incoraggiata moltissimo durante la produzione.
2. Conosceva già i lavori di Hansen e Shepard? Che idea ha dei due?
No, non conoscevo i loro precedenti lavori. Ho però visto L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, basato su un romanzo di Ron. Pian piano il loro modo di vedere le cose mi è diventato familiare, così come mi sono abituata al fatto che in comune hanno la passione per la ricerca storica. Considero entrambi due investigatori del passato. La storia al centro del film, ad esempio, viene fuori da una piccola nota che Jim ha trovato leggendo il vecchio diario di una contadina, scritta ai margini tra cose da fare e appunti sul clima: "la mia miglior amica si è trasferita, non penso che la rivedrò mai più". Tra le righe, vi ha letto un sentimento di rammarico misto a dolore. Da lì ha poi costruito tutta la storia".
3. Centrale è il tema dell'interiorità femminile, splendidamente descritta in un dialogo tra Abigail e Tallie.
L'interiorità femminile è uno dei temi principali, è vero. Volevo raccontare una storia d'amore che catturasse tutta la gioia e la voglia di vivere di due persone che si ritrovano l'una nell'altra. Il senso di colpa e la vergogna sono spesso al centro delle storie d'amore lgbt: io volevo invece che il mio film esprimesse l'estasi legata alle prime fasi dell'amore. Le mie protagoniste vivono così isolate che i loro unici rapporti interpersonali sono stati prima con i genitori (e con la famiglia in generale) e poi con i mariti. Abigail e Tallie potrebbero non aver mai conosciuto l'attrazione, la passione o il feeling intellettuale tra due innamorati, per di più appartenenti allo stesso sesso. Senza un precedente, non possono considerare peccaminoso o vergognoso ciò che si crea tra loro. Anzi, si chiedono soprattutto all'inizio se ciò che sta accadendo a loro sia unico e mai capitato a nessun'altra donna prima.
NEVER GONNA SNOW AGAIN
Sinossi: Un massaggiatore dell’Est fa il suo ingresso nella vita dei facoltosi abitanti di una comunità scialba e inaccessibile, i quali, a dispetto della loro ricchezza, trasudano tristezza interiore e desiderio. Le mani del misterioso nuovo arrivato hanno proprietà curative, i suoi occhi penetrano le loro anime. Alle loro orecchie, il suo accento russo suona come una melodia del passato, un ricordo di un’infanzia più sicura e protetta. Zhenia, questo è il suo nome, cambierà le loro vite.
EXCL. Tre domande ai registi Malgorzata Szumowska e Michal Englert
1. Avete girato ilfilm subito dopo The Other Lamb, il primo progetto in lingua inglese, ben accolto alla Berlinale. Avete voluto prendervi una pausa dalla temi e dalle storie polacche che di solito ritraete?
MS: È così bello star lontano da quei temi che ci prenderemo ancora una lunga pausa (ride, ndr). In realtà girare in una lingua non nostra è stata un'esperienza molto interessante per diversi motivi. Non è un mistero che girare in inglese apre molte porte. Molti registi aspettano una vita intera per riuscirci, noi siamo stati fortunati. A differenza di Michal, non avevo mai lavorato suuna sceneggiatura scritta da altri. Mi sono divertita ad affrontare questa nuova sfida e a trovare un punto di equilibrio.
M.E: La sceneggiatura era in origine ambientata in Australia ma abbiamo cambiato ambientazione, scegliendo l'Irlanda. Catherine S. McCullen, la sceneggiatrice, si è mostrata disponibile ad apportare dei cambiamenti. Abbiamo lavorato ancora una volta in maniera piuttosto libera, nessuno ha messo dei freni al nostro estro artistico.
2. Never Gonna Snow Again sembra inserirsi in quel filone di vostri titoli come Corpi e Un'altra vita che tentano di capire se i polacchi sono in grado di prendersi meno sul serio e addirittura ridere di loro stessi.
MS: Penso sia più come Corpi che Un'altra vita. Accostando riferimenti kitsch a Kieslowski con ironia e sagacia, abbiamo decostruito il lato metafisico della storia cercando allo stesso tempo di prenderlo comunque sul serio. Abbiamo cerato di dare leggerezza al tono della storia anche se, in questo momento storico segnato dalla pandemia, sembra quasi che tutti siano alla ricerca di messaggi seri.
ME: Il film riflette il nostro modo di vedere la vita, così piena di paradossi e situazioni tragicomiche. Per alcuni, questo genere di racconto può esulare dai canoni classici ma volevamo che il film coprisse uno spettro emotivo piuttosto ampio. Oggi molte produzioni, soprattutto, mainstream sono accuratamente e superficialmente oserei dire equilibrate. Avere un po' di tutto fa vendere bene un film ma, volendo rimanere liberi da questi vincoli, noi non siamo così calcolatori. Ci affidiamo all'istinto e al nostro estro, che vediamo crescere costantemente film dopo film. Ci auguriamo di non perdere mai la genuinità e l'onestà che ci ha da sempre caratterizzati.
3. Dopo la presentazione di Corpi a Berlino, avevate dichiarato di voler fare un film sul rapporto tra le persone e il loro corpo, che si tramuta inevitabilmente in rapporto con l'anima. Penso sia un'ottima descrizione per il vostro nuovo film.
MS: Sono del tutto d'accordo. Le esigenze dei nostri personaggi sono inizialmente legate ai loro corpi, vogliono un massaggio rilassante. Oggi la gente crede molti nel proprio corpo, forse per paura della morte che pone fine a tutto. Zenia, il protagonista, trascende il corporeo e tocca qualcosa che va ben oltre, permettendo ai suoi clienti di raggiungere un altra dimensione, che va al di là della reaaltà.
ME: Malgorzata parla del desiderio umano condiviso di prolungare il più possibile la vita e di mantenersi in forma. Viviamo in un'epoca in cui la gente si pesa costantemente, etichetta ogni cosa, pianifica ogni azione e tenta di trovare la formula per l'esistenza perfetta. Le comunità chiuse come quella del nostro film sono una conseguenza di questo modo di fare e pensare. Il protagonista custodisce dei segreti, il mondo moderno è consumato dai segreti. Il coronavirus e le conseguenze della catastrofe di Chernobyl, a cui nel film si fa riferimento, sono fenomeni che, sebbene scientificamente provati, non sono tangibili e non possono essere toccati. Sono metafisici, una sorta di forza maggiore.
Prossimamente in sala per I Wonder Pictures.
Proiezioni odierne: fuori concorso
ASSANDIRA
La parola al regista Salvatore Mereu
«La domanda è sempre la stessa: perché si vuole raccontare una certa storia? Si presuppone che le motivazioni debbano essere forti se per raccontarla al cinema si decide di prendere sulle spalle anche l'onere della produzione. In quasi tutte le storie, anche quando sono raccontate da altri, si può trovare traccia di se stessi. Quante volte leggendo un libro, vedendo un film, ascoltando un racconto, essendo testimoni involontari di un fatto, abbiamo avuto la sensazione di averlo vissuto, o di averlo pensato? E partire da sé, anche quando sono gli altri a fornirci il pretesto, è sempre il modo più sicuro per raggiungere l'obbiettivo.
Qualche anno fa, leggendo Assandira di Giulio Angioni, ho avuto la stessa sensazione. Provavo un sentimento di frustrazione e di indignazione nei confronti della rappresentazione di quel mondo a cui appartengo, quello della Sardegna rurale, massacrato dall'industria turistica, dall'idea che in nome del guadagno facile si possa passare sopra tutto, anche sopra la dignità delle persone. Questa è stata la molla iniziale che mi ha spinto a intraprendere questa avventura.
Ma in Assandira questo non è che l'aspetto esteriore. La parte, per così dire, sociologica. In una storia non manca mai una parte nascosta che può attenere al nostro privato, più di quanto noi stessi non siamo disposti ad ammettere, che ci attrae ancora di più perché raccontarla ci aiuta a fare ordine dentro noi stessi.
Ammettere questo significa anche avere la massima considerazione dello spettatore che non tratteremo più come un estraneo a cui rifilare un paio d'ore di semplice intrattenimento ma come qualcuno da eleggere all'ascolto del nostro privato.
Assandira è un percorso nella conoscenza della natura umana, un tentativo di esplorazione dei sentimenti più reconditi, silenti, e che se anche tenuti a bada finiscono però per muovere le cose e gli uomini.
Chi sono davvero Mario e Grete, cosa li lega così profondamente, nonostante le loro apparenze?
È davvero Grete a dominare Mario o è il contrario?
E Costantino è solo il buon selvaggio utilizzato come un fenomeno da baraccone per compiacere i turisti?
Nei suoi ricordi i fatti si affastellano, si confondono, fino a perdere la loro linearità.
È il testimone oculare di quanto è accaduto che parla o l'uomo pervaso dal senso di colpa?
Non lo sapremo mai. Sappiamo però che la natura umana è la più grande risorsa per raccontare una storia, anche a dispetto dell'intreccio, che è un vecchio arnese nel quale si può solo inciampare».
In sala dal 09 settembre per LuckyRed.
OMELIA CONTADINA
Commento della regista Alice Rohrwacher: «Nell'autunno scorso durante una passeggiata sul confine tra Umbria, Lazio e Toscana, raccontavo all'amico e artista JR le mie preoccupazioni sulla distruzione del paesaggio agrario, violato dal proliferare di monoculture intensive che stanno plasmando interi territori. Gli raccontavo, da figlia di un apicoltore, della grande moria di insetti che ne deriva, e delle lotte dei piccoli contadini che provano ad arginare questo fiume in piena di speculazioni, sussidi, pesticidi. Mentre guardavamo il paesaggio segnato da file ininterrotte di noccioli ci siamo detti che sembrava un cimitero. Sulla via del ritorno abbiamo deciso: se sembra un cimitero, dobbiamo celebrare un funerale. Ma che sia un funerale pieno di vita! Così è nato il progetto dell'Omelia contadina: un'azione cinematografica con cui, attraverso il nostro lavoro, abbiamo voluto sostenere la lotta di piccoli agricoltori e cittadini dell'altopiano dell'Alfina. Un funerale, ma anche un inno di speranza dedicato a tutti coloro che giorno dopo giorno ci tengono in vita, producendo il nostro cibo».
NARCISO EM FERIAS
EXCL: Il 13 dicembre 1968, la dittatura militare in Brasile approva la Legge Istituzionale n. 5 – ribattezzata in seguito AI-5 – che segna l’inizio della fase più violenta e repressiva del regime. Quattordici giorni più tardi, il cantautore Caetano Veloso viene arrestato. Prelevato dalla propria casa di San Paolo da agenti in borghese che si rifiutano di spiegare la ragione del suo arresto, Caetano è trasferito a Rio de Janeiro. Viene confinato in cella di isolamento per una settimana e successivamente rinchiuso in un’altra cella e sottoposto alla più dura prova della sua vita. Complessivamente rimane in carcere per cinquantaquattro giorni.
Cinquant'anni più tardi, il documentario ripercorre i ricordi e le riflessioni di Caetano durante il periodo di detenzione. Attraverso un ritratto intimo e dettagliato dei giorni trascorsi in isolamento, egli ricorda e interpreta le canzoni che segnarono il periodo della sua incarcerazione, oltre a ripercorrere le vicende dolorose vissute e condivise con altri detenuti, come l'amico Gilberto Gil, che fu arrestato lo stesso giorno. Caetano fornisce nuove informazioni ricevute dal regime dittatoriale in merito alle ragioni della sua detenzione, rivelando l'opinione della dittatura nei suoi confronti e gettando luce sulla brutalità arbitraria che caratterizzò quel capitolo della storia brasiliana.
Hanno commentato i registi Renato Terra e Ricardo Calil: All'età di ventisei anni, Caetano Veloso viene arrestato dalla dittatura militare che governava il Brasile. Cinquant'anni più tardi, l'anziano artista ricorda il tempo trascorso in carcere e condivide la sua esperienza di isolamento, solitudine e angoscia. Il film esclude quanto non è strettamente necessario e si concentra sulle parole, sui gesti e sullo sguardo di Caetano Veloso. «Un uomo ricorda e il suo racconto raggiunge una rara risonanza collettiva», ha detto Walter Salles a proposito del film. «Narciso em ferias è un'immersione nei ricordi di Caetano Veloso a proposito della sua incarcerazione sotto la dittatura militare, alla fine degli anni '60. Non ci sono parole o movimenti di camera superflui nel film. Tutto è vibrante e ridotto all'essenziale dai due registi in osmosi con Caetano. Il film ci rammenta che i ricordi sono necessari per dare un senso al presente e riafferma la vitalità del cinema brasiliano in uno dei momenti più difficili nella storia del Paese».
Proiezioni odierne: Orizzonti
LA NUIT DES ROIS
Commento del regista Philippe Lacôte: «Con La Nuit des Rois volevo ritrarre la società ivoriana post-bellica attraverso il prisma della piu?ù grande prigione del Paese: Maca. Questo è un luogo di detenzione di cui serbo ancora immagini molto forti e che mi ha affascinato per lungo tempo. Da bambino avevo l'abitudine di spingermi una volta alla settimana ai margini della Banco Forest a bordo di un taxi collettivo che usavo per andare a trovare mia madre, all'epoca detenuta per questioni politiche. Poiché a Maca non esistono zone adibite alle visite, attendevo il mio turno tra i prigionieri che circolavano liberamente tra i gruppi di visitatori. Era un mondo che amavo osservare, sebbene non fossi in grado di decodificare tutto. Avevo l'impressione di trovarmi in una sorta di regno arcaico abitato da principi e lacchè... Il film ruota attorno a questa ambientazione singolare. All'interno della prigione, ci immergiamo in una società che ubbidisce alle sue leggi e ai suoi riti. Uno dei rituali, vecchio come il mondo, prevede di narrare storie nelle ore notturne alla luce di una lampada... L'intero film si svolge nel corso di una notte di luna rossa. Il cielo, come sottolineato dal personaggio chiamato "Lookout", si tinge di uno strano colore che si riflette all'interno della prigione, conferendo così una dimensione speciale alla notte. Con La Nuit des Rois, ci rendiamo conto che l'Africa è forse l’ultimo teatro antico di oggi, dove la tragedia e gli interessi del potere si manifestano allo stato grezzo, frontalmente e con forte impatto visivo».
GUERRA E PACE
La parola ai registi Massimo D'Anolfi e Martina Parenti
«La prima intuizione di Guerra e pace è nata un giorno di fronte un'Ambasciata Italiana in una capitale straniera.
Ci siamo domandati che funzione e che valore potessero avere ancora questi palazzi privilegiati e, più genericamente, quale fosse il senso dell'attività diplomatica in un mondo in cui la comunicazione e le notizie viaggiano ad una velocità fuori da ogni controllo.
Dopo molti studi, riflessioni e incontri crediamo che oggi più che mai è necessario ripensare agli strumenti che prevengono, limitano, contengono i conflitti in favore del dialogo tra uomini e istituzioni.
Il cinema, fin dalle sue origini, ci mostra di aver avuto un legame fortissimo con la guerra più che con la pace, sia per lo spirito che ha attraversato la prima metà del secolo scorso, sia per l'intrinseca necessità di documentare gli eventi storici, sia per la reale difficoltà di filmare un processo di pace.
Abbiamo dunque deciso di riflettere sulle immagini del passato e del presente non solo come strumento di guerra, ma anche come possibile strumento di pace».
Proiezioni odierne: Giornate degli Autori
SPACCAPIETRE
EXCL. La parola ai registi Gianluca e Massimiliano De Serio
«L'evento centrale del film si ispira a una notizia risalente all'estate del 2015: la morte sul posto di lavoro di una bracciante, originaria della Puglia, Paola Clemente. Ci ha colpito l'assurda coincidenza con la morte di nostra nonna paterna, avvenuta in quegli stessi campi nel 1958. Il tempo non sembra essere passato e le condizioni di vita di vita dei lavoratori non sono cambiate in nulla. Nostra nonna lavorava a giornata in un regime di capolarato. Era dunque nelle mani dei caporali e vittima di sfruttamento, privata di oni dignità o diritto.
Più di cinquant'anni dopo, la situazione non è molto diversa, anzi è peggiorata. La notizia della morte di Paola Clemente ha fatto nascere in noi il desiderio di indagare sulla realtà invisibile di migliaia di lavoratori, in maggioranza immigratati stagionali ma anche tanti italiani impoveriti e tante donne come Paola. I lavoratori a giornata percorrono chilometri di strada a bordo di un bus, attraverso i quali vengono trasportati nel campi, alla mercé di nuovi caporali, di intermediari e della violenza dei padroni. Il mistero della morte di paola, oltre alle condizioni estremamente dure de alle eccessive e insopportabili ore di lavoro, sembra essere collegato anche all'esposizione ai pesticidi a cui sono sottoposti i lavoratori giornalieri. I diserbanti vengono infatti spruzzati a pochi metri dai lavoratori, senza che questi abbiano alcun tipo di protezione.
Spaccapietre è in un'ultima analisi il tentativo di rivendicazione di un'anima, quella della nonna che non abbiamo mai conosciuto, attraverso la storia e il corpo di un'altra donna. Come una sorta di metempsicosi filmica che trae origine dal passato, attraversa la miseria del nostro Paese e si proietta nell'emergenza, Spaccapietre vuole regolare i conti con questo cortocircuito e riscattare la dignità di un corpo - la Madre - perduto nel fondo della nostra memoria (storica e politica, ma anche intima e familiare)».
In sala dal 07 settembre per La Sarraz Pictures.
50 - SANTARCANGELO FESTIVAL
La parola ai registi Michele Mellara e Alessandro Rossi
«Noi lavoriamo sui collage, sugli accostamenti emotivi, a volte pop a volte classici, di immagini e musica, di suoni e parole poetiche, di volti e brevi racconti del quotidiano. I luoghi parlano assieme alle persone e agli archivi. Santarcangelo Festival è un affresco iniziato 50 anni fa che abbiamo sottoposto a verifica cinematografica in questo suo importante compleanno affinché l'affresco - di una città, di una comunità, di un ideale - continui a vivere negli anni. Il teatro è il demone sepolto di ogni civiltà.
Il documentario intreccia più trame, cresce attraverso un coro di voci. In primo luogo i direttori che rileggono loro stessi, le loro scelte, i loro dissidi con l'organizzazione del festival. Le voci dei direttori si confondono con i suoni degli spettacoli, con frammenti di memoria oggettiva (poster, fotografie, cataloghi). Poi ci sono quelli che sono sempre rimasti, che hanno visto il festival cambiare pelle e lo hanno aiutato nella "muta". Sono i dirigenti, gli amministratori, che abbiamo riunito in un luogo simbolo del festival, il Ristorante Zaghini, e che, come un piccolo e divertito coro teatrale, raccontano le peripezie, gli sbandamenti e le grandi invenzioni delle varie edizioni del festival. Ci sono poi le nostre riprese del paese dormiente durante il letargo invernale in attesa che il festival si compia, e delle grotte della memoria sulle quali pareti esplodono visioni teatrali del passato più prossimo. Ma il documentario vive anche grazie ai colori dei mille spettacoli che si rianimano nei repertori filmici e video. L'archivio va maneggiato con cura. Ci si avvicina sempre con una certa prudenza e, immediatamente, si è colti da una serie di domande che determineranno, almeno in parte, il rapporto creativo che si verrà a creare con i materiali girati da altri. Una delle prime domande che affiora sempre è la seguente: chi l'avrà girato? A volte ci si imbatte in registi noti, ma molto più spesso i registi – o in molti casi i cineamatori – rimangono figure misteriose, delle quali è quasi impossibile sapere alcunché; biografia e provenienza sono incerti, ciò che si sa di loro passa attraverso le loro immagini. La pasta filmica, il supporto usato – videocamera, cinepresa, super otto, macchina fotografica digitale – già determina il perimetro del visivo, una forma che diviene contenuto nella qualità di ciò che si è filmato: pixel che compongono il frame, grana della pellicola, righe e sganci dei supporti analogici, luminosità e nitidezza del digitale più recente. Qualità visiva in relazione al supporto quindi. Poi il soggetto. Chi o cosa è stato ripreso. Ci sono materiali in grado di mettere in scena un "interesse" forte del regista, ed altri che invece sono solo di servizio, telecronache senza sensibilità o conoscenza del soggetto ripreso. Forma e contenuto si sposano. Matrimoni riusciti, a volte, altre molto meno.
Il gioco è quindi caratterizzato da un dialogo tra chi guarda oggi e chi filmò e montò in passato. Da questo dialogo – emotivo e intellettuale insieme – il ricercatore-regista, come un chimico in laboratorio, dovrà distillare le composizioni alchemiche necessarie al suo racconto. Sarà quindi necessario porsi altre domande: Come usare questo materiale? È lecito rimontarlo? Devo attenermi alla fonte documentale così come mi si presenta oggi o posso invece, avendone interpretato l'essenza, la motivazione, rimontarla, rimetterci le mani, impastarla con altro? A queste domande ne seguiranno altre, di carattere formale e contenutistico e non finiranno mai di perseguitare il ricercatore-regista fino alla fine del suo lavoro, e probabilmente anche dopo.
Raccontare a partire da una mole eterogenea di materiali d'archivio cinquant'anni di storia del Santarcangelo Festival e, con esso, oltre che una parte della storia del teatro italiano, anche un pezzo di storia sociale, culturale e politica del nostro paese, ha richiesto un'interpretazione polifonica del visivo del passato».
Prossimamente in sala per I Wonder Pictures.
Proiezioni odierne: Settimana della critica
GHOSTS
EXCL: Commento della regista Azra Deniz Okyay: «Ho iniziato a scrivere Ghosts cinque anni fa e verteva su quattro personaggi in diverse parti di Istanbul. In 4 anni però i miei personaggi sono cambiati così com'è cambiata la Turchia. Nel 2019 con la mia produttrice Dilek Aydin abbiamo deciso che era arrivato il momento di trasformare la sceneggiatura in film, qualunque cosa potesse ancora accadere. Ho dovuto in corso d'opera adattare le vicende ai continui cambiamenti del mio Paese facendo sì che il mio lavoro risultasse più dinamico del prestito e diventasse il simbolo della mia stessa ribellione. Ho voluto che Ghosts parlasse dei problemi principali che attanagliano la mia generazione, dei soprusi che subiscono i più poveri (mandati via dai loro quartieri) e delle lotte che la gente porta avanti per difendere la libertà di espressione. Volevo raccontare la storia metaforica di una nazione che sprofonda nell'oscurità e per farlo ho realizzato un film seducente, multifunzionale e dinamico, che secondo me somiglia a una donna».
ACCAMORA
Commento della regista Emanuela Muzzupappa: «Accamòra racconta la storia dei cambiamenti che avvengono "in questo momento", che arrivano senza preavviso e che sono permanenti. Attraversa la velocità con cui questi arrivano, racchiude in sé l'aria sventata dell'infanzia e l'asprezza con cui questa viene consumata. È soprattutto un omaggio alla memoria e alla conservazione dei ricordi delle emozioni passate».
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