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Venezia 2014 - Giorno 7: Piccioni riflessivi, cani da combattimento e le immancabili polemiche
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La pioggia che da ieri sovrasta i tetti veneziani continua a far capolino anche durante la settima giornata del Festival. Con temperature decisamente più basse del solito (tanto che il sottoscritto s'è beccato anche un raffreddore come non ricordava da tempo), a scaldare gli animi ci pensano i film presentati nelle diverse sezioni. Diversi tra loro, spesso ammalianti e altre volte detestabili, i film dovrebbero essere presi per quello che sono: opere d'arte su cui si può e si deve discutere, nel bene o nel male. Con buona pace di attori, registi e produttori, un film viene fatto per essere mostrato e giudicato: ognuno di noi, in base alle proprie sensibilità, esprimerà ovviamente un parere. Ma sia chiaro che quel parere non è la Bibbia e non ha la pretesa di essere verità assoluta. Di conseguenza, è utile ricordare a chi spesso se ne dimentica che anche le critiche negative, sebbene feroci, possono rivelarsi costruttive e costituire un punto da cui partire, anziché inalberarsi o attaccare sul piano personale.

 

A Pigeon Sat... - Red carpet

 

Dopo questa necessaria premessa, vi diciamo subito che oggi abbiamo visionato il lungometraggio straniero più atteso in concorso, ovvero il monumentale A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson. Capitolo finale di una trilogia "sull'essere un essere umano", A Pigeon Sat... ripercorre grazie alla storia di due strambalati venditori ambulanti i vizi e le suddivisioni del genere umano, caratterizzato dalla netta suddivisione tra umiliati e umiliatori. Composta da 39 piani sequenza di chiara matrice pittorica, l'opera può aspirare al massimo riconoscimento del Festival: quel Leone d'oro che al regista svedese, classe 1943, manca e che sarebbe il giusto riconoscimento per una carriera fatta di pochi titoli ma di gran qualità. Qui, la recensione.

 

Le Giornate degli Autori regalano invece I nostri ragazzi, la nuova fatica di Ivano De Matteo. Liberamente ispirato al romanzo La cena e interpretato da un sestetto di attori in stato di grazia, il film non ha particolarmente convinto Alan Smithee, che lo promuove ma con qualche riserva.

 

Mettiamoci la faccia: EightAndHalf, Spaggy e Alan Smithee

 

Passeggiare per il Lido, soprattutto durante il pomeriggio, rappresenta un'occasione di incontro con addetti del settore, giornalisti, attori e registi. Questi ultimi sono soventi suddividersi in due categorie: da un lato, ci sono coloro che camminano scortati e che non si concedono al pubblico; dall'altro, contrariamente, vi sono coloro che amano il contatto con la gente e, in barba a ogni atteggiamento da star, si concedono anche a lunghe conversazioni. Spesso, poi, capita che a essere maggiormente disponibili siano coloro la cui carriera e filmografia è apprezzata in lungo e in largo: è il caso, ad esempio, del regista e sceneggiatore di origine iraniana Amir Naderi, al Lido per diversi motivi (uno dei quali è legato alla produzione di un nuovo lungometraggio da lui diretto, a qualche distanza da Cut).

 

Amir Naderi

 

Dopo aver salutato EightAndHalf, ritornato nella sua Palermo, nel pomeriggio Alan si concede la recensione del documentario Altman di Ron Mann (visto ieri con la moglie del regista di M*A*S*H in sala) e la visione del vietnamita Flapping in the Middle of Nowhere di Nguyen Hoang Diep, la dura storia di una giovane donna incinta costretta a prostitursi, in gara per la Settimana della Critica, e l'indiano Labour of Love di Adityavikram Sengupta (recensioni nei prossimi giorni).

 

Kathryn Altman

 

A coronamento di una giornata molto positiva arrivano infine i film della serata: il turco Sivas di Kaan Mujdeci (recensione), Cymbeline di Michael Almereyda che riadatta in chiave moderna Shakespeare (recensione) e Revivre di Im Kwon-taek (recensione). La proiezione del film turco, però, ci fa tristemente notare come sia alto il numero di animali che quest'anno vengono maltrattati in concorso: abbiamo già assistito a sgozzamenti di pecore, a cani fucilati, a galline strozzate e (con Sivas) ad atroci combattimenti. Immancabili le proteste animaliste in sala stampa.

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Tre domande a Roy Andersson

 

Da cosa sono legati i film di The Living Trilogy e in cosa si differenziano?

Sono convinto che ogni film possa, e debba, essere visto sempre individualmente. All’interno di un solo film, ogni scena può essere vista separatamente. A Pigeon ha 39 scene e la mia ambizione è che ognuna di esse possa apportare una diversa esperienza artistica al pubblico. In generale, The Living Trilogy chiede agli spettatori di esaminare la loro stessa esistenza, chiedendo loro “Cosa stiamo facendo? Dove siamo diretti?” Intende generare riflessione e contemplazione in merito alla nostra esistenza con una dose abbondante di tragicommedia, “Lebenslust”, ossia passione per la vita, e un rispetto fondamentale per l’esistenza umana. The Living Trilogy mostra un’umanità potenzialmente diretta verso l’apocalisse, ma dice anche che il risultato è nelle nostre mani. Canzoni dal secondo piano è intriso di Millenarismo, dalla scena del venditore che butta via i crocifissi, simboleggiando l’abbandono della compassione e dell’empatia, alla scena delle case che si muovono, che evoca la paura di crisi finanziarie cicliche, esse stesse apocalissi minori. I temi della colpa collettiva e della vulnerabilità umana sono centrali in questo film. You, The Living ha rappresentato un avvicinamento coraggioso ai sogni, una transizione che ha aperto un’intera serie di nuove possibilità per me. Prima, i miei personaggi commentavano i propri sogni. Oggi, A Pigeon, le scene semplicemente assomigliano a sogni, senza alcuna ulteriore spiegazione. A Pigeon è anche più ironico rispetto agli altri due film, e il tono preponderante è quello della “Lebenslust”, anche se i personaggi sono tristi e soffrono molto.

 

La sua regia si ispira ai pittori, da quelli rinascimentali alla Neue Sachlichkeit, conosciuta anche come Nuova Oggettività, fino a Edward Hopper. Quali pittori sono stati più importanti per A Pigeon?

Direi Otto Dix e Georg Scholz, i due artisti tedeschi le cui innovazioni artistiche sono state ispirate dalle loro esperienze nella Prima Guerra Mondiale. Le loro visioni del mondo, incrinate dalla guerra, colpiscono in un modo che sento molto vicino, senza che io abbia mai preso parte a una guerra. Quando ero giovane, il realismo era l’unica cosa che mi interessava. Tutto il resto era semplicemente strano (o meglio, borghese), ma col tempo sono stato sempre più affascinato dall’arte astratta, a partire dal simbolismo, dall’espressionismo, e dalla Neue Sachlichkeit. È molto più interessante di una pura rappresentazione naturalistica. Oggi trovo quasi noiose le rappresentazioni naturalistiche, mentre l’interpretazione personale dell’espressione astratta è straordinaria, e Van Gogh ne è il maestro. È in grado di dipingere tre corvi che volano su un campo di grano e di convincere lo spettatore di non aver mai visto una cosa simile. È una specie di “super-realismo”, un obiettivo che ambisco a raggiungere con A pigeon, in cui l’astrazione è condensata, purificata e semplificata. Le scene ne dovrebbero emergere ripulite, come ricordi e sogni. Sì, non si tratta di un compito facile: “c’est difficile d’être facile”, è difficile essere facile, ma ci proverò. Bruegel il Vecchio costituisce un’altra ispirazione. Tra i suoi capolavori rinascimentali, ha dipinto un delizioso paesaggio intitolato Cacciatori nella neve. Dalla cima di una collina innevata, affacciata su un paesino fiammingo, vediamo la gente del villaggio pattinare su un lago ghiacciato in una valle. In primo piano, tre cacciatori e i loro cani tornano dalla caccia. Sopra di loro, appollaiati sui rami spogli di un albero, quattro uccelli osservano con curiosità gli sforzi e le attività delle persone sotto di loro. Bruegel era specializzato in paesaggi dettagliati popolati da contadini e utilizzava spesso una panoramica a volo d’uccello per raccontare storie sulla società e sull’esistenza umana. La sua opera contiene anche fantastiche allegorie dei vizi e delle follie dell’uomo, utilizzando una satira impeccabile per esprimere le contraddizioni tragiche dell’essere. In Cacciatori nella neve, gli uccelli sembrano chiedersi: “Cosa stanno facendo gli umani lì sotto? Perché sono così indaffarati? Vorrei anche citare un pittore naturalistico chiamato Ilja Repin, che ha realizzato un ammirevole dipinto di cosacchi. Gli ci sono voluti undici anni; si tratta di un’opera enorme, basata su bozze e schizzi. Dopo 11 anni era soddisfatto del dipinto. Oggi fa parte del patrimonio dell’umanità. Naturalmente sembra un po’ presuntuoso ambire allo status di patrimonio dell’umanità, ma allo stesso tempo, come artisti, bisogna impegnarsi e portare la propria espressione a livelli estremi. Purtroppo è molto difficile al giorno d’oggi, con gli aspetti finanziari coinvolti nella creazione di film e con l’atteggiamento e i termini di assunzione dei registi. Gli uomini d’affari hanno conquistato l’espressione del cinema.

 

Trova triste il fatto che i registi contemporanei non traggano più ispirazione dalla pittura?

Lo trovo molto deprimente. È per questo, forse, che il cinema di oggi è così fiacco e poco interessante. Le immagini sono così povere. E questo è, a sua volta, dovuto all’economia: non c’è né il tempo né il denaro per essere più scrupolosi. Questo considerato, mi sembra molto triste che siano così pochi i registi di oggi pronti a curare gli elementi visuali della regia, anche se questo richiede tempo e denaro. Mi ci sono voluti quattro anni di lavoro a tempo pieno per completare questo film.

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