Anime nere: il cast
Venezia al suo terzo giorno di proiezioni per la stampa svela il primo titolo italiano in concorso: Anime nere di Francesco Munzi. Libero adattamento dell'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, Anime nere di Munzi abbandona la storia dei tre ragazzi calabresi sullo sfondo degli anni Settanta e diventa l'odissea di tre fratelli appartenente alla 'ndrangheta degli anni Duemila, rivelandosi interessante tanto nel delinearsi della sceneggiatura quanto nella messa in scena, caratterizzata dallo stesso nero immobile del titolo. In una Calabria grigia, selvaggia e persa in un non luogo di un non tempo, i tre fratelli si confronteranno sul loro modo di intendere la criminalità. Con un finale altrettanto nero che ripesca nell'istinto animale, Anime nere ha aperto bene le danze degli italiani, facendo presagire qualche riconoscimento finale nonostante il film soffra di una lunga mezz'ora dedicata alla presentazione dei personaggi principali (nonostante il ruolo sia piccolo, prezioso è il cameo di Barbara Bobulova). Qui, la recensione.
Dopo Anime nere è toccato a quel genio di Peter Bogdanovich deliziarci con She's Funny That Way, commedia dell'assurdo così gradevole da permettere a tutti di rimpiombare in un'epoca andata e mai più possibile: quella della Hollywood degli anni Trenta. Imperdibile con il suo cinismo la terapeuta interpretata da Jennifer Aniston, la cui cattiveria è paragonabile solo a quella della famigerata Karen della serie televisiva Will & Grace. Maggiori approfondimenti nella recensione.
Poiché oltre al dovere ci tocca anche nutrirci, la pausa pranzo ci permette di riflettere su una cosa spesso trascurata: quanto costa soggiornare al Lido durante la Mostra? Per chi non lo sapesse, il Lido vive soltanto in questi quindici giorni ed è ovvio che chiunque tenti di incassare il più possibile. Partiamo dalla cosa elementare: le residenze. Considerando che gli alberghi stellati sono inavvicinabili per 15 giorni, abbiamo optato per una casa. Costo: 600 euro a persona per 14 giorni. L'accredito, invece, non è gratutito come molti pensano e tocca a noi, giornalisti e non, sborsare 65 euro per tutte le proiezioni (non parliamo però dei prezzi del pubblico, dove si arriva anche a un centinaio di euro per una singola proiezione in Sala Grande). I trasporti poi sono una nota dolente: al turista, è permesso far delle carte speciali per vaporetti e bus: dalla durata settimanale, costano 60 euro per sette giorni (si rimane due settimane, ergo 120 euro per i trasporti). Biglietto aereo: chi arriva da Palermo, come me e EightAndHalf, non ha alternative ed Alitalia ci ha chiesto 295 euro per andata e ritorno. Per il pranzo, si spendono in media 15 euro al giorno, che diventano 180 euro per l'intera permanenza. Dunque, un soggiorno senza lussi al Lido per l'intera durata del festival costa minimo 1.260 euro. Un capitale drammatico.
Mentre di pomeriggio Eight si è "dilettato" con la visione di The Farewell Party degli israeliani Sharon Maymon e Tal Granit (recensione), le proiezioni serali per la stampa offrono due valide alternative: The Humbling di Barry Levinson e Senza nessuna pietà di Michele Alhaique, un dramma sul mestiere di attore e un noir (curioso come la giornata si sia aperta con un noir e termini in maniera circolare con un altro noir). Il discontinuo Levinson ha ritrovato Al Pacino dopo il successo di Il dottor Morte per adattare il romanzo L'umiliazione di Philip Roth, una profonda riflessione sull'essere attore e sulle difficoltà emotive legate alla professione (recensione). Alhaique per il suo esordio ha invece optato per la storia di uno strozzino in una Roma di ferro e cemento, ottimamente fotografata. «Sono sempre stato affascinato dalle storie di esseri umani che combattono ogni avversità per riscattare la loro situazione di vita. Mimmo è un lavoratore tranquillo e instancabile. Fa quello che ha sempre voluto fare, è uno scalpellino. Figura forte e imponente, può sembrare spaventoso a chi non lo conosce. Egli osserva il mondo intorno a lui con gli occhi di un bambino curioso, guardandolo come se non gli appartenesse e senza mai giudicarlo», ha spiegato l'attore/regista. Peccato che fossero premesse disattese e che di riscatto non ve ne sia neanche l'ombra, come si evince dalla recensione.
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Tre domande a Peter Bogdanovich
Com'è riuscito a coinvolgere in She's Funny That Way nomi come quelli di Wes Anderson, Noah Baumbach e Quentin Tarantino?
La mia ormai ex moglie Louise Stratten mi ha spinto a mostrare la sceneggiatura a Anderson e Baumbach per chiedere loro di far da produttori esecutivi al film. Dopo aver letto la storia sono rimasti entusiasti e hanno mostrato tutta la loro disponibilità. Entrambi sono ammiratori dei miei lavori così come io lo sono dei loro. Il clima che si è creato tra noi è quasi famigliare e li considero come due miei figli. Siamo rimasti molto vicini e legati. Grazie a loro, ho subito ottenuto che Owen Wilson e Jennifer Aniston salissero sulla mia barca. Quentin Tarantino, invece, aveva letto il copione molto tempo fa quando John Ritter doveva essere il protagonista. Quando lo chiamai per le riprese per proporgli un cameo, si è messo a ridere ma già due giorni dopo era sul set, pronto a girare.
A cosa si deve invece il titolo di lavorazione Squirrels to the Nuts, poi cambiato? E da dove nasce la storia?
Il vecchio titolo, ricorrente come battuta nel film, si deve a una scena di Fra le tue braccia [mostrata sul finale di She's Funny That Way], l'ultimo film di Lubitsch, uno dei miei registi preferiti. La storia prende invece origine da un aneddoto legato alla mia vecchia esperienza di regista: negli anni Settanta ho girato Saint Jack con Ben Gazzarra nei panni di un proprietario di bordello. Sul set, furono chiamate molte prostitute pagate regolarmente per la loro partecipazione.
E perché ha cambiato il titolo?
Squirrels to the Nuts era essenzialmente una screwball comedy. Durante la lavorazione, ha assunto però anche dei toni da commedia romantica. Dunque, ritenendolo fuori luogo, ho optato per She's Funny That Way, omaggio a una canzone molto in voga negli anni Trenta.
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Tre domande a Barry Levinson
Perché ha scelto Al Pacino come protagonista?
Il protagonista è un uomo che è stato attore di teatro, di cinema e di molte opere classiche shakespeariane – e questo ruolo calza perfettamente ad Al. Al è uno di quegli attori rari, divisi tra cinema e palcoscenico. Potrebbero esserci moltissimi attori davvero eccezionali per questo ruolo ma non avrebbero mai il suo stesso approccio classico. Lui non ha bisogno di impegnarsi come per qualcosa che non ha mai fatto . E’ perfetto per lui e lo ha fatto per tutta la sua carriera.
Si deduce quindi che vi siate trovati bene sul set di Il dottor Morte.
Penso che sia scattata la scintilla tra di noi. Quando ti accade di dire, sai…cosa ne pensi di questo? È interessante? E lui dice. Oh, si si! Me lo stavo chiedendo anch’io…poi qualcosa conduce a qualcos’altro…nessuno di noi avrebbe potuto pensarlo in quel momento! Oppure noi eravamo per strada e ad un tratto ci colpiva qualcosa di nuovo e volevamo provarlo. In Al ho trovato qualcuno disposto a provare quasi ogni cosa. Lui è disposto a sfidare ogni momento, per vedere se potrebbe esserci un momento migliore. Ha avuto modo di avere materiale forte. E nello stesso tempo puoi cambiarlo. C’è un momento migliore? C’è un’altra cosa qui? Che dire di questo, che dire di quello? Ed io penso che questo è il divertimento, perché lui è flessibile... lui ha elasticità. Al ha il coraggio di un attore nel provare letteralmente tutto.
A chi è venuto in mente di adattare L'umiliazione di Philip Roth?
Al Pacino inizialmente ha proposto il libro. Mi ha chiesto di leggerlo. Lo lessi. Ne abbiamo parlato e condiviso lo stesso interesse e tono, penso sia una sorta di salto di qualità. Questa storia è nelle nostre corde in termini di creatività, di un attore combattuto. Percorrendone tutta la sua vita, Al ovviamente può capirlo. Era ciò che ci interessava, ma non la storia nello specifico…
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