Regia di Barry Levinson vedi scheda film
…perché dopotutto chi è l’attore, se non colui che ha almeno una vita privata da sostituire con una menzogna?
Levinson adatta l’omonimo romanzo di Philip Roth realizzando una lunghissima seduta psichiatrica, durante la quale l’istrionico Al Pacino, affiancato dall’ottima Greta Gerwig, narra del “blocco dell’attore”, quello per cui ha deciso, dopo un incidente avvenuto sul palco, di non tornare a recitare, e di chiudersi in una vita fatta di uno stato di costante umiliazione. Proprio il momento in cui il protagonista non ha più davvero una sua vita e aspetta, da settantenne qual è, i (magari molti) anni che lo aspettano prima della dipartita, egli incontra la simpatica figlia di sue due amici, proprio Greta Gerwig, che, nonostante la differenza di età, gli confessa la profonda attrazione che fin da giovane provava nei suoi confronti e con cui infine il protagonista si unirà, in una relazione bislacca che da un lato vede l’arrotondamento graduale delle di lui nevrosi, e dall’altro vede il dubbio crescente di lei, in piena crisi di identità sessuale. Levinson dunque riesce a rendere davvero avvincente una storia relativamente semplice, inserendo in maniera forse spropositata una lunga serie di siparietti quasi demenziali, per esempio quelli in cui l’esilarante Nina Arianda cerca invano di convincere il protagonista a uccidere sotto pagamento il marito molestatore, o quello in cui lui stesso finisce per essere semi-addormentato da un anestetico per cavalli, con esilaranti conseguenze. Quello che però Levinson non riesce a dosare con troppa levità è l’eccessiva distanza tra ciò che nel film chiede di essere preso sul serio e ciò che invece cerca solo la risata intelligente, ma anche facile. La regia, dal punto di vista tecnico, dal canto suo, vanta una serie di pregi come scelte di inquadratura mai scontate e quasi sempre in movimento, traballanti e vicine ai volti contriti e un po’ folli dei personaggi. Ma neanche così riesce a conferire a The Humbling quel passo in più che gli avrebbe potuto concedere anche un posto di grande importanza, fra le proiezioni del 71° Festival del Cinema di Venezia.
Nonostante dunque un andamento discontinuo, che pure vorrebbe dar voce alle nevrosi confuse del protagonista ma ci riesce solo in parte, il film di Levinson si fa apprezzare per la recitazione (la Gerwig e Pacino su tutti, ma anche la Wiest, nelle due scene in cui appare, fa la sua porca figura), riuscendo anche a costruire un personaggio tipicamente rothiano, alla ricerca della vita e della felicità e sempre sul ciglio di un burrone, che poi può anche essere il golfo di un palcoscenico. E infatti il film termina in ringkomposition, con il personaggio di Pacino che risale sul palco, dopo aver perso nuovamente la vita, ritrovata grazie all’amore.
Ma Levinson cerca di sfoldare le premesse più stucchevoli del carattere sentimentale, e crea un lavoro originale e anche, spesso e volentieri, esilarante. Presentato Fuori concorso al Lido.
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