2. Shadow of the Colossus
Il capolavoro assoluto di Ueda è, prima di essere un videogioco, una delle esperienze più immersive e folgoranti del nuovo millennio. Le atmosfere claustrofobiche di ICO vengono stravolte, rese epiche e maestose, gli spazi allargati all'inverosimile. Il giocatore si muove in una landa desolata di enormi proporzioni in una mappa che incorpora un'unica, gigantesca sezione di gioco. La telecamera rivela gli sfondi posandosi sempre in campi lungh(issim)i con in primo piano il protagonista, il quale silente e rabbioso si sposta senza sosta a caccia di immensi idoli di pietra. La co-protagonista, la fedele e forte Agro, è la vera prediletta di Ueda, il quale in ogni cutscene ne esalta l'eleganza della corsa tramite sequenze che vedono il cavallo galoppare con leggiadrìa - anche in solitaria - nelle immense distese erbose della Forbidden Land. La spettacolarità cinematografica non è mai stata tanto presente in un videogioco. Ogni particolare è volto a rendere mitologica l'opera di Ueda, che qui si supera e realizza una delle messe-in-scena più incredibili mai create per un videogioco.
Shadow of the Colossus è già cinema nel momento in cui l'interattività diviene mezzo per muoversi ed agire secondo i dettami imposti dall'autore, il quale rivela sempre, tramite il minimalismo narrativo, quali sono le prove da superare seguendo percorsi che tratteggiano ambienti spettacolari, scorci di una natura selvaggia e di antiche civilità perdute nel tempo, il tutto con una ricerca tale che qui davvero si può parlare di regia cinematografica a tutti gli effetti. Il giocatore quindi diviene un cameraman prima di calarsi nei panni del protagonista, si cimenta nello studio della geografia della mappa non solo per superare il gioco, bensì per fotografarne gli ambienti, esplorarne i meandri più segreti, abbagliarsi e commuoversi di fronte a costruzioni e creature tanto imponenti quanto melanconiche, tristi e sofferenti.
Da omaggiare è anche la fotografia, che rende questa terra disabitata e silenziosa qualcosa di etereo, sublime, ancora più misteriosa e inquietante nella sua pacatezza.
Shadow of the Colossus segue il cinema di Terrence Malick; è un'opera ascetica, meditativa, spirituale, mistica dai forti connotati naturalistici.
Il protagonista - senza nome ma chiamato poi Wander da Ueda in un'intervista - giunge a cavallo in una terra proibita, la Forbidden Land. Sulle sue ginocchia vi è un corpo gracile, morto da non molto tempo. Arrivato al gigantesco tempio che si erge al centro della valle, Wander stende sull'altare il corpo pallido di una ragazza, Mono, di cui non è data alcuna informazione chiara. Appena il protagonista toglie il velo dal volto di Mono, delle voci fanno la loro comparsa dall'alto del tempio. Si tratta di (o dei) Dormin, il dio che secondo la leggenda può ridonare la vita. Wander fa un patto con Dormin che resusciterà la ragazza solo ad un condizione. Nel tempio sono state scolpite sedici statue di pietra, e per poterle distruggere bisogna uccidere gli altrettanti colossi che dominano la Forbidden Land. Dormin dice che con la sua spada, il protagonista potrebbe riuscire ad annientare i giganti, ma Wander, stolto e ingenuo ragazzo, non può sapere ciò che lo attende...
E così cominciano le sedici fatiche di Wander, sedici imprese titaniche che lo porteranno alla rovina e alla completa corruzione dell'anima. La trama è ancora più minimale di quella di ICO, nonché è il suo prequel, in quanto gli uomini con le corna derivano tutti dal protagonista di Shadow of the Colossus. Scriverne e vivere il finale di questo videogioco sono due espierienze completamente diverse. Non riuscirei mai a portare in questa sede la potenza espressiva che acquista l'opera di Ueda durante l'ultima, lunghissima (quasi venti minuti) cutscene che chiude il gioco. Ad ogni colosso caduto, delle lingue nere fuoriescono dai giganteschi corpi e si stagliano dentro Wander, che muore quasi all'istante e poi viene riportato in vita da Dormin per permettergli di proseguire la missione. I colossi hanno occhi verde chiaro quando tranquilli e rosso fuoco quando adirati. Sia magia bianca che magia nera, dunque, compongono questi giganti di pietra (nella prima parte scrivo cosa significano questi due elementi per l'autore). Wander viene investito sedici volte dall'ombra, diventando alla fine uno zombie senza neanche più il dono della parola. Ogni colosso ucciso rappresenta un sigillo (magia bianca) che rinchiude l'essenza di Dormin (magia nera) nella Terra Proibita da secoli se non da millenni, e il protagonista, ingannato, libera il dio, il quale impossessatosi del suo corpo ormai marcio comincia la sua rinascita materiale. Degli uomini all'inseguimento del protagonista (quest'ultimo si scopre aver rubato la spada) entrano nella Forbidden Land e riescono a sigillare l'orrenda creatura che si sta formando nel tempio, distruggendo il ponte che collega la valle all'unico suo ingresso e gettando Wander nella luce della spada. Dopo il crollo del ponte e l'addio degli inseguitori alla Terra Proibita, Mono si sveglia e cammina verso il centro del tempio. Lì trova un neonato con due piccole corna che decide di accudire in cima al tempio per tutto il tempo che le è stato donato. La stirpe degli uomini con le corna la ritroveremo poi in ICO, quindi la maledizione di Wander continuerà a vivere di generazione in generazione.
Shadow of the Colossus si sviluppa come una tragedia greca, un racconto che dall'inizio precorre un'inesorabile finale tutto sommato positivo ma dal retrogusto amarissimo. Il solo pensiero di aver ucciso sedici meraviglie - di cui solamente la metà violente! - fa quasi impallidire il giocatore riflessivo che ha capito il videogioco; che ha compreso il destino e l'egoismo di Wander, l'ineluttabile furia cieca di un ragazzo reso pazzo dall'amore e/o dal senso di colpa. Il videogioco non esiste se non nella natura interattiva dell'opera. Non solo non vi sono livelli poiché ogni colosso non può essere considerato come tale, bensì non esiste la morte fuori da quella narrativa. In Shadow of the Colossus non è praticamente possibile morire per distrazione del giocatore (salvo rarissimi casi) ma perdere al massimo la stamina, ovvero l'unico item collegato direttamente al protagonista che ne limita le possibilità atletiche, altrimenti infinite. Ueda struttura un protagonista invincibile perché l'opera deve concludersi con l'annientamento prima dei colossi e poi di Wander; il giocatore deve sentirsi in grado fino alla fine di poter "sconfiggere il gioco" ma nel finale sarà addirittura ridicolizzato perché inserito nei panni dell'abominio Dormin quando cerca di materializzarsi, che con la stessa goffaggine dei colossi tenterà di difendersi invano dagli uomini che da lì a poco lo sigilleranno, sconfiggendolo definitivamente. Shadow of the Colossus è dunque un videogioco che si perde a tutti gli effetti, eppure regala forse una delle più straordinarie esperienze video-ludiche che si possano immaginare.
Filosofia, silenzio, atmosfera, epicità, grazia sono alcune delle parole chiave che descrivono questo titolo, che è puro cinema interattivo, arte del videogioco ai massimi livelli, anche grazie alla regia di Ueda che nel rappresentare i colossi mette-in-scena qualcosa di superlativo.
Notare come Ueda abbia voluto sempre, quando vi sono dei colossi nell'inquadratura, riprendere ad altezza umana, con l'asse leggermente rialzato, in modo da evidenziare le proporzioni titaniche di questi enormi sigilli ambulanti. Se poi ciò viene sommato ad un sonoro che esalta alla perfezione i passi e le onde d'urto che tali giganti provocano al loro passaggio, l'esperienza diviene totalmente appagante e i colossi terrificanti prede da uccidere.
Infine, la colonna sonora di Ko Otani chiude questo cerchio di rappresentazione audio-visiva che rasenta la perfezione, la massima eccellenza. Si passa da musiche incalzanti durante gli scontri alle più nostalgiche e pacate sonorità durante la morte dei colossi, da alcuni brani di epicità simile a quella shoriana, che riprende il post-minimalismo per poi donare alla composizione decorazioni folkloristiche, ad altri struggenti grazie agli archi e sublimi grazie all'uso incostante di cori angelici che completano ogni atmosfera.
Intro completa del gioco (no gameplay) :
Si conclude qui la seconda delle tre parti di questo articolo. Nella prossima affronto The Last Guardian, l'ultimo capitolo del trittico di videogiochi prodotto e realizzato da Fumito Ueda che ha rivoluzinato l'esperienza video-ludica, portata ad arte e resa a tal punto da poter essere definita - in parte - anche vero e proprio cinema d'autore.
Grazie per l'attenzione!
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