Un post atipico che mischia due mondi differenti, in parte agli antipodi come esperienza umana. Nel cinema vi è lo spettatore che passivamente osserva e si lascia trasportare dal/nel film, mentre attivamente ne carpisce i significati e ne analizza forma e contenuto; nel videogioco vi è il giocatore che passivamente si de-personalizza divenendo uno o più personaggi, mentre attivamente rende possibilie lo sviluppo del videogioco stesso tramite l'interazione tra tasti manovrati manualmente e schermo. Il videogioco può sembrare uno svago meccanico, privo di coinvolgimento o di alcuno stimolo intellettuale; un mero prodotto volto a introdurre l'acquirente in un universo dove potersi isolare per diverse ore. Il cinema, al contrario, per anni è stato sinonimo di astrazione, realtà metafisica, specchio che anche con un certo aulicismo porta a riprendere realtà realistiche o fantasmatiche per trascenderle, oggettivarle in un punto di vista, quello del regista. Ma i tempi cambiano. Il cinema oggi è anche questo, eppure sono presenti anche tanti videogiochi non interattivi che vengono prodotti e spacciati per settima arte. In parte il videogioco oggi è evoluto, poiché da vent'anni a questa parte solo pochi titoli possono vantarsi di avere a capo dei registi e degli autori che rendono il gioco cinema interattivo. Tale cambiamento radicale, che ai nostri giorni viene quasi universalmente riconosciuto, porta il videogioco a poter essere definito arte da molti, anche se comunque permangono le fazioni più critiche che vedono la parola game come qualcosa di non assoggettabile all'arte bensì solamente accostabile al passatempo spensierato. Cosa è cambiato? Chi ha saputo realizzare opere che hanno spostato l'asse qualitativo da esperienza video-ludica ad arte video-ludica?
Oggi non scrivo di cinema. Oggi scrivo, invece, del Team Ico, di Fumito Ueda e della sua trilogia divenuta leggenda nel tempo: ICO & Shadow of the Colossus & The Last Guardian.
Buona lettura!
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1. ICO
Fumito Ueda, dopo aver studiato alla Osaka University of Arts, lavora dal 1993 al 1997 alla software house WARP come animatore del videogioco Enemy Zero (1995). Stanco quasi subito di essere relegato alla mansione tecnica, nel 1997 si unisce alla Sony Computer Enterteinment e fonda il Team Ico, azienda sussidiaria dello SCE Japan Studio, dove per quattro anni sviluppa la sua opera prima: ICO.
ICO è un videogioco che rivoluziona il concetto stesso di esperienza video-ludica, la distorce, ne crepa le fondamenta formali. La visuale è in terza persona, la camera è fissa in ogni diversa scenografia e segue dall'alto o da dietro i movimenti del protagonista. Non è presente una barra della vita, non sono presenti premi, trofei o ricompense. Il gioco è strutturato a enigmi, non a livelli, che si susseguono in un'unica enorme mappa esplorabile accedendo a porte, ponti ed altre strutture che dividono le sezioni di gioco, le quali comunque rimangono sempre nell'unica pianta a più piani che sorregge l'intera impalcatura scenica del videogioco. Il mondo di ICO, dunque, esiste in un solo gigantesco setting e prende forma dal primo momento, ovvero da dopo aver premuto start, al contrario degli altri videogiochi dell'epoca che rendono visibili le diverse scenografie mano a mano che il giocatore prosegue con la storia, accede a nuove funzioni, colleziona o completa determinate prove di varie abilità. In ICO il giocatore diviene il partecipante di una poetica storia fantasy profondamente filosofica, di semplice lettura nonché di fattura superlativa. ICO è pura narrazione interattiva, sia letteraria sia visiva. È qualcosa che si avvicina profondamente al cinema, nonché è il perfetto esempio di realizzazione artistica di un videogioco.
Ico è poco più di un bambino quando viene allontanato dal suo villaggio e scortato dai soldati in un castello isolato. Qui le guardie, con l'ausilio di una spada magica capace di aprire alcune porte celate tra la pietra, murano vivo il ragazzo in uno dei tanti sarcofaghi presenti nell'immensa stanza segreta. Ico sembra dover essere destinato a morire poiché maledetto: due piccole corna bianche sono cresciute dalla sua testa, segnandolo come un mostro e inducendo il suo villaggio a doverlo sacrificare. Miracolosamente riuscito a liberarsi, Ico capisce che nella stanza vi sono altri sarcofaghi come quello da cui è riuscito a uscire, tuttavia non ha il coraggio di vedere dentro tali bare di pietra cosa (e se) rimane (qualcosa) dei suoi simili. Cercando una via di fuga, il protagonista incontra Yorda in una gabbia scura appesa in cima ad una torre. Yorda sembra essere una persona, tuttavia risplende esattamente della stessa luce chiara e cristallina che illumina la spada magica dei soldati. I due si uniscono e insieme scappano, cercando di non diventare prede delle ombre interessate a Yorda. Tali ombre fuoriescono dalle pareti, si muovono lente e affannose tentando di afferrare la candida ragazzina e trasportarla nell'oscurità da cui provengono. Quando Ico e Yorda arrivano di fronte al cancello principale del castello sembra che possano finalmente sentirsi liberi, eppure una sagoma imponente fa la sua comparsa. Si tratta della Regina delle Ombre, la madre di Yorda, che teme per la figlia e se la riprende, gettando Ico nelle zone più profonde e inospitali del castello. Da lì in poi il protagonista dovrà cercare Yorda, riaprire il cancello principale e sconfiggere la Regina: essere etereo che si nutre di anime pure...
Le trame di Ueda sono sempre minimali poiché all'autore non interessano la complessità, l'intreccio intricato e sforzare il giocatore di immedesimarsi nelle sue storie. ICO, ad esempio, percorre in maniera lineare un racconto dark-fantasy estremamente semplice eppure ricco di dettagli da esplorare, la maggior parte dei quali sono interpretabili per via del design dei personaggi visto che di dialoghi, in tutte le sue opere, ce ne sono veramente pochi. Il tema del videogioco, vero cardine della poetica di Ueda, è il rapporto ambiguo che esiste tra luce (o magia bianca) e ombra (o magia nera). Tale rapporto, nell'opera omnia di Ueda, non può essere ridotto a dicotomia. La luce e l'ombra si mescolano per generare o distruggere; indicano non il principio e la fine ma o il principio o la fine; plasmano il ciclo dell'infinito spostando il tempo, animando la pietra, divorando carne e spirito del reale per creare energia. In ICO non esistono né vittime né carnefici, né buoni né cattivi. Tutto fa parte dell'ingranaggio che alimenta il ciclo, e l'eroe protagonista è colui che il ciclo lo vuole neutralizzare per poter fuggire da un posto che per quanto ampio è pur sempre una prigione. Così sarà anche in The Last Guardian, mentre in Shadow of the Colossus questa fuga verso l'esterno, vista come nel platonico mito della caverna il raggiungimento della verità/libertà, verrà completamente ribaltata.
A completare l'opera sono le meravigliose musiche di Michiru Oshima, descritte da molti come la miglior colonna sonora della storia dei videogiochi. Il genere musicale è un'elettronica ambient fluente, quasi liquida, pacata e sognante che anima l'esperienza di gioco approfondendo ogni atmosfera, ogni azione, ogni percorso dall'inizio fino al magistrale finale: una delle punte di diamante della storia del videogioco e vero manifesto dell'arte videoludica; massima espressione catartica di ICO, che rende finalmente il videogioco un mezzo con cui è possibile stabilire tra giocatore ed esperienza un rapporto di empatia e commozione al pari di quello proprio del cinema, ovvero ciò che si crea tra osservatore e film.
Canzone finale:
Si conclude qui la prima delle tre parti di questo articolo. Nella prossima affronto forse il miglior videogioco per PlayStation2 che sia mai stato realizzato, quello che davvero - e per primo - ha saputo donare ad una forma d'intrattenimento interattiva la più grande spettacolarità cinematografica di tutti i tempi: Shadow of the Colossus.
Grazie per l'attenzione!
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