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FATTI & RIFATTI#4: PAPILLON, o LA VOGLIA DI (SOPRAV)VIVERE DELLA FARFALLA
di alan smithee
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L’opera originale, quella famosa, nota, apprezzata e magari premiata, spesso si circonda dell’aurea di pilastro basilare, se non di capolavoro, e in quanto tale tutti coloro che desiderano successivamente tornare in argomento, sono costretti, soprattutto quando si tratta di un’opera costosa come è mediamente un film di una mayor produttiva made in Usa, a mediare la strategia commerciale che di certo sottende il progetto, valutando quanto possa essere rischioso confrontarsi con un livello artistico reputato superiore, e quanto invece riproporre una storia assai nota di anni se non decenni precedenti, possa invogliare gli spettatori a tornare in sala per affrontarla.

Papillon di Franklyn J. Schaffner (voto ****) non fu un film costellato di premi, come potrebbe invece essere lecito pensare; ma riscontrò un successo di pubblico straordinario, che contribuì a confermare la fama delle due star al centro della concitata e rocambolesca vicenda.

Peraltro il film si prodiga in una critica senza remore contro una giustizia punitiva che intende annientare, anziché correggere e guarire, i problemi e le attitudini del condannato, puntando il coltello proprio nella piaga di un sistema giudiziario disumano di uno stato come la Francia, già all’epoca considerato come tra i più all’avanguardia sotto svariati punti di vista.

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Senza pretendere di fare accostamenti – peraltro nemmeno troppo arditi – con una Francia quotidiana che respinge con fredda intransigenza il flusso migratorio quasi sempre proveniente dalle sue stesse ex colonie, costruendo barriere, fisiche o burocratiche, contro migranti che spesso parlano come seconda lingua l’idioma francofono (non certo quello italico) – la Francia che emerge in entrambe le versioni di Papillon, l’originale del ’73 ed il remake di Michael Noer del 2017 (voto ***) ed ora nelle nostre sale, appare risoluta ed intransigente a cancellare tracce di cittadinanza francofona ai danni dei condannati dei primi decenni del ‘900, allontanati come appestati dalla madrepatria e trasferiti lontano, nelle colonie oltreoceano della Guyana, francese appunto.

Se molti aspetti narrativi dell’onesto, volenteroso, e se vogliamo pure coraggioso remake riprendono pedissequamente certe situazioni della versione originale, possiamo senz’altro notare che l’ultima versione spende maggior tempo a raccontarci le vite dei due protagonisti prima delle rispettive incarcerazioni, quando invece l’originale si occupa di più di dedicarsi ai progetti arditi di fuga, alla costruzione sfaccettata di alcuni personaggi minori che, tuttavia, acquisiscono una importanza primaria nel contesto di un film a suo modo coraggioso, che affronta di petto temi spinosi ed inconsueti in rapporto ai primi anni ’70 in cui il film fu girato: la questione omosessuale, la prevaricazione che ne deriva, la svendita dei corpi, viene mostrata in scene sin ardite, che denotano nel regista e negli sceneggiatori un certo sfrontato, ammirevole coraggio.

Il film recente invece incede molto sulla fisicità dei carcerati, in particolare spendendo svariati primi piani sulla massa corporale dell’atletico e spesso protagonista Charlie Hunnam, a cui ben si contrappone il corpo sparuto ed esile, fragile come un grissino, dell’altro protagonista, il falsario Rami Malek.

Entrambi i film ci presentano i due protagonisti come due lestofanti, quali essi sono realmente, ma dotati di cuore, sentimento, desiderio innato di sopravvivenza, rispetto reciproco che conduce entrambi poco per volta, forse per la prima volta in vita loro, a provare reale sincero rispetto verso un altro essere vivente, e a divenire, più in generale e visto dalla barricata dello spettatore, due eroi pur nel loro ruolo di delinquenti per nulla pentiti, e restituendo alla legge e a pressoché tutti i personaggi che la rappresentano, il ruolo negativo di lestofanti, assassini sadici, ladri di identità e serenità fisica e mentale.

Sul film da prediligere, visto che è inevitabile procedere ad un confronto delle due versioni, non si presenta il minimo dubbio, risultando inimitabile e decisamente migliore la produzione originale, datata 45 primavere orsono, agevolata da un cast che, nonostante la bravura e la tecnica del materiale umano ed attoriale moderno, rimane inesorabilmente inimitabile, senza nessuna possibilità di recupero.

Bello, interessante ed istruttivo ancora una volta procedere alla visione in termini ravvicinati delle due opere (per l’originale per quanto mi riguarda tratta almeno della terza visione), per poterne apprezzare sia gli aspetti riproposti, sia le novità che ciascuna delle due versioni presenta sulla “rivale”.

Come di consueto, cliccando sui titoli dei due film sopra evidenziati, potrete accedere alle singole recensioni di entrambe le versioni.

 

 

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