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Josh Hartnett. Corpo, voce, ombra.
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Nasce come Joshua Daniel Hartnett il 21 luglio del 1978 a St. Paul, Minnesota, da padre di origini irlandesi e tedesche e da madre di origini svedesi e norvegesi. Eppure, nonostante i geni nordici, Josh Hartnett ha ben poco di tale biotipo. Carnagione bianca, capelli e occhi scuri, nessuna lentiggine, nessun tratto estetico algido o che faccia pensare alle fredde terre del nord. In compenso, il big boy from Minnesota è campione di sobrietà e distacco.

Elegante, posato, curato, essenziale, istruito, riflessivo, Hartnett è un antidivo eastern che piomba nel mondo del cinema come un fulmine a fine anni ’90, gli anni di Brad Pitt e dei belli muscolari, fibrati e fisicati alla Tyler Durden, categoria esclusiva a cui il minnesotan non apparteneva e a cui non apparterrà nemmeno in seguito.

Da piccolo veste i panni di Huckleberry Finn nello spettacolo di fine anno e forse intuisce proprio lì che il suo destino è da quella parte del teatro: il palcoscenico. Così, dopo il liceo, non può che finire a New York, la città intellettuale per definizione, e frequentare il corso di recitazione al Purchase College. Le cose però non vanno come il cadetto aveva sperato e a 19 anni si trasferisce a Los Angeles dove magicamente riesce a ritagliarsi una parte in Cracker (1997), versione americana dell’omonimo crime drama britannico. La serie ABC, nonostante venga fermata dopo i primi sedici episodi, permette ugualmente a Josh Hartnett di farsi notare e conquistarsi i primi ruoli cinematografici.

L’esordio sul grande schermo avviene sotto il segno di Michael Myers nello slasher horror che ne celebra i 20 anni della saga. Dopodiché per Hartnett comincia una prima fase della carriera costellata da film di un certo rilievo, alcuni dei quali diventati di culto. Da Halloween: 20 years later (1998) fino a 30 Days of Night (2007), passando per The Faculty (1998), The Virgin Suicides (1999), Pearl Harbor (2001), Lucky Number Slevin (2006) e The Black Dahlia (2006) tra i tanti, Josh Hartnett vive un decennio intenso che lo imposterà iconologicamente sia come il volto più promettente della sua generazione sia come sex symbol.

Dopo l’ottimo horror vampiresco di David Slade, tratto dall’omonima miniserie a fumetti di Steve Niles e Ben Templesmith, qualcosa si spezza. I film a seguire non godono di nessun appeal commerciale e dopo diverse apparizioni in alcuni festival di settore escono direttamente in DVD. Per sette anni, dal 2008 di August al 2014 di Parts per Billion, Hartnett sembra essere sparito dalla circolazione. Finita la relazione con Scarlett Johansson (2006), la presunta tresca con Rihanna (2006) e la relazione lampo con Amanda Seyfried (2012), Josh Hartnett viene dato come per disperso e per alcuni è già diventato un fondo di magazzino.

Ma le cose non stanno proprio così. Infatti, non tutti sanno che è stato proprio Hartnett a prendere le distanze da Hollywood.

Dopo The Black Dahlia, l’attore decide di tornarsene a casa, nel Minnesota, e di restare marginale all’industria cinematografica di Los Angeles. Nel 2014 a TIME, confessa che aveva ben capito di intrattenere una certa relazione con Hollywood, ma che al tempo stesso non si sentiva in sintonia con l’ambiente: «Cercavo qualcosa che loro non volevano darmi. Così ho rotto la relazione» (1). Era stato anche contattato per interpretare il Superman di Bryan Singer, ma non voleva legarsi ad un personaggio franchise per troppi anni. È stato anche la prima scelta dei fratelli Nolan per il loro reboot di Batman (2005, 2008, 2012), ma anche in questo caso Hartnett declina l’invito; e declina anche il successivo invito per The Prestige (2006).

Bisogna quindi rivedere e riqualificare questa presunta assenza dal grande schermo da parte di Hartnett, che è in verità una precisa intenzione artistica di dedicarsi al cinema indipendente, anche come produttore (August), e poter così cercare e trovare la propria beatitudine.

Cinema indie, teatro (Rain Man, Londra, 2008), attivismo politico – supportò Obama nella campagna elettorale in Minnesota – e qualche piccola pausa per capire cosa davvero cercava – lui, che non ha mai nascosto il suo vecchio sogno di essere architetto o di passare dietro la macchina da presa. Questo è in realtà Josh Hartnett, e non il semplice cover boy apparso su Vogue, ELLE, People, Vanity Fair e altre testate, oppure il solito adolescente belloccio che scoppia nel giro di qualche stagione. Josh è un tipo riflessivo, pacato, elegante, profondo: un eastern con l’anima pioniera di un western. In lui East Coast e West Coast cercano una forma di rappresentazione, un modo per avvicinarsi e per mediarsi.

Dopo un decennio di corporalità, arriva l’inflessione introspettiva, l’ombra che lo rende attore meno fisico e più sfumato, umbratile. Se gli esordi e i primi dieci anni di carriera, da Halloween a 30 Days of Night, sono all’insegna della fisicità, della presenza scenica, dell’attore come segno – Halloween, The Faculty, Here on Earth (2000), O (2001), Black Hawk Down (2001) – ma anche come corpo puro e semplice, simulacro della riflessione sull’attore come oggetto estetico – The Virgin Suicides, 40 Days 40 Nights (2002), Hollywood Homicide (2003), The Black Dahlia – i successivi dieci anni, da Resurrecting the Champ (2007) a Wild Horses (2015), sono invece all’insegna di film dallo scarso impatto commerciale ed iconico, film in cui Hartnett si distacca dai personaggi e li rende più sfumati, o al contrario più affettati, ricercando nella sottrazione e nell’ombra del suo profondo sguardo oscuro la sua nuova cifra stilistica come in Bunraku (2010), The Lovers (2013), Parts per Billion (2014) e soprattutto I Come With the Rain (2009) la sua performance migliore del decennio.

Nonostante la parentesi grottesca nell’insolito e riuscito Girl Walks Into a Bar (2011), l’intenzione di Hartnett è di interpretare personaggi complessi a livello biografico, ma minimali nella resa attorica. Facilmente tacciabile di monocordismo o monoespressività, Hartnett in realtà butta tutto sulla voce. La presenza fisica, abbastanza ingombrante vista l’altezza, 1,91, viene caratterizzata più dalla profondità di voce e di sguardo che dal lavoro sul personaggio in relazione alla scena.

Fase transitiva o della maturità, poco importa. Josh Hartnett, da corpo passa a voce e poi a ombra, ritornando sulla cresta dell’onda proprio con un’icona dell’ambiguità, della doppiezza, della bestialità repressa, del mostro oscuro dietro la maschera umana: il lupo mannaro. L’ormai celebre Ethan Chandler alias Lawrence Talbot dell’ottima serie tv horror Penny Dreadful (2014-) è a conti fatti tra i migliori werewolves del grande e piccolo schermo, secondo solo a Benicio del Toro. Unico rappresentante del nuovo mondo nella Londra vittoriana, Chandler/Talbot porta con sé l’animalità dell’uomo civile ed europeo venuto a contatto con una terra selvaggia e lontana, dominata da forze ancestrali in mano ai nativi americani. Il suo uomo lupo è così, finalmente e felicemente, una delle migliori rappresentazioni del mito licantropico: maledizione, orribile segreto, feralità, titanismo, tellurismo, luna piena, zanne, peli e tanto sangue.

Dopo aver convinto pubblico e critica con personaggi oggi di culto, come il Zeke di The Faculty, lo Slevin Kelevra di Lucky Number Slevin o lo sceriffo Eben di 30 Days of Night, tra l’altro uno dei migliori horror del nuovo secolo, Hartnett si defila. Al ruolo prepone il concetto, il film, la produzione, e benché si faccia apprezzare in pellicole come August, I Come With the Rain, Girl Wanks Into a Bar, Parts per Bilion e Wild Horses, è con Penny Dreadful, con la serialità, con la riproduzione, la fidelizzazione, la fruizione peculiare delle serie televisive, che riesce a riprendersi un posto d’onore nell’immaginario contemporaneo.

Nonostante l’invisibilità di quasi tutti i film in cui ha lavorato tra il 2008 e il 2015, non poche delle sue performance sono degne di nota. In August è Tom Sterling, giovane e rampante imprenditore informatico che insieme al fratello cerca finanziamenti per salvare l’impresa: ostinato, puttaniere, determinato, tenebroso, Hartnett dà il volto all’uomo americano che si avvia verso l’11 settembre, incontrandosi pure con un finanziatore con il volto di David Bowie alla sua penultima apparizione cinematografica.

Mentre invece in I Come With the Rain, pur restando nei panni di un personaggio tenebroso, silenzioso quanto riflessivo, è un detective privato incaricato di rintracciare il figlio di un uomo facoltoso ad Hong Kong, ma il figlio in questione è dotato di poteri curativi tali per cui sottraendo il dolore agli altri lo riversa su di sé in un martirio dal sapore e dall’estetica cristologica. Inoltre, il suo detective è ancora ossessionato dall’incontro/scontro con un serial killer che gli ha iniettato un profondo malessere esistenziale con cui dovrà fare i conti soprattutto nella solitudine della capitale asiatica. Ossessioni, riflessioni sulla carne, la mostruosità e la spiritualità, strutturate sull’ossatura del gangster movie all’orientale dal taglio pulp e venato di horror. Uno dei personaggi migliori di Hartnett, se non addirittura la sua prova migliore.

Entrato negli anni zerodieci, Hartnett si defila sempre di più e i suoi lavori risultano sempre meno incisivi. Il massimo di ombrosità e inespressività, quasi stanchezza, lo raggiunge con il personaggio di Bunrako. In questo bizzarro pastiche che unisce l’iconografia dei classici giapponesi alle figure e ai temi del western, giocando su un’estetica espressionistica ibridata con forme coreografiche e iconografiche vecchio sovietiche, Hartnett è una specie di cavaliere solitario che arriva nella cittadina governata dal tiranno Ron Pearlman – che porta nome Nicola, come lo zar – e trova nel bartender Woody Harrelson e nello straniero interpretato da Gackt Camui i compagni ideali per sconfiggerlo. Il film o si ama o si odia, certo non lascia indifferenti ed è parecchio spassoso in questo gioco postmoderno di stili, estetiche e modelli narrativi.

Segue il dittico più indipendente della carriera di Hartnett. Con Girl Walks Into a bar, al fianco di Rosario Dawson, Hartnett è un detective dal nome esotico, Sam Salazar, che fa la sua comparsata di peso all’interno di questa commedia dalla battuta tagliente, grottesca, spassosa e corale che annovera nel cast anche Danny DeVito, Zachary Quinto, Carla Cugino, Robert Forster, Kevin Zegers e Aaron Tveit. Il ruolo, modellato quasi sulla figura di Clark Gable che Hartnet incontrerà più avanti in un episodio di Drunk History (2015), permette al nostro attore di lasciar correre quella silente vena comica che quasi sembrerebbe non appartenergli, sfoggiando invece una certa abilità nei ruoli brillanti, soprattutto nei dialoghi con la partner Rosario Dawson. Mentre in Stuck Between Stations appare in una sola sequenza del film interpretando un personaggio apparentemente socievole e di compagnia che finisce per mettere a disagio gli amici con cui passa la serata. Un ruolo breve, ma intenso, dove Hartnett dimostra tutta la sua padronanza del gesto attorico e della tanto chiacchierata monoespressività.

Nel 2013 fa parte del cast di The Lovers, diretto da Roland Joffé, uno Sci-Fi romance ambientato tra il 2020 e l’India del 1778. Josh Hartnett veste i duplici panni del capitano James Stewart al servizio di Giorgio III nell’India britannica, e di Jay Fennel, archeologo marino che finisce in coma durante il salvataggio della sua donna durante dei lavori ad un relitto mercantile inglese. Durante il coma rivive il passato di un suo doppio, il capitano Stewart, e del suo amore con una guerriera indiana e le tante avventure che i due vivranno nel tentativo di scortare la principessa indiana lontano dai nemici di palazzo. È un ruolo abbastanza lineare fin sulla carta, e certo Hartnett non lavoro come suo solito in pieno dominio dei suoi mezzi, ma con certi sprazzi di freschezza ci ricorda sul campo la sua disinvoltura. Una piccola curiosità: Hartnett in questo film si chiama come il suo attore preferito, James Stewart.

Segue Parts per Billion, dove Hartnett ritrova Rosario Dawson confermando la singolare alchimia tra i due nonostante la loro coppia sia in crisi e sul punto di lasciarsi. Un dramma apocalittico, ambientato dopo il dilagare improvviso di un’epidemia simil-zombesca, che fa guadagnare al film l’etichetta Sci-Fi nonostante si concentri soprattutto su tre coppie, Hartnett-Dawson, Langella-Rowlands e Badgley-Palmer, e i loro tentativi di sopravvivere al disastro biologico che si palesa davanti ai loro occhi. È il 2014 e arriva anche l’esordio nel monster drama di Showtime, Penny Dreadful, il cui successo permetterò ad Hartnett, pur rimanendo fedele alla sua politica artistica, di ritornare più visibile degli anni precedenti. Partecipa così a Wild Horses, country drama diretto da Robert Duvall, dove interpreta il fratello di James Franco, entrambi figli del patriarca texano interpretato proprio da Duvall. Il suo KC Briggs non ha lo stesso peso narrativo e tematico del personaggio del coetaneo Franco, ma riesce ugualmente, attraverso un ruolo a tratti distensivo e a tratti drammatico, a restituirci un Josh Hartnett in perfetta forma. Tempi drammatici rispettati, tanto quanto rispetta i limiti del proprio ruolo, dando il meglio di sé negli scarti recitativi al fianco del grande vecchio Duvall.

James Franco lo chiamerà in uno dei suoi successivi progetti, The Long Home (2017), tratto dall’omonimo romanzo dell’autore cult William Gay, al fianco di un altro coetaneo, Ashton Kutcher. Questo permette ad Hartnett di ottenere nuovi ruoli nel frattempo che prosegue l’ottima serie horror di Showtime, come Mountains and Stones (2016), Valley of the Gods (2016) e l’atteso Gut Instinct (2016). Dal dramma bellico al biografico al drug movie, Hartnett si prepara a una nuova fase della propria carriera.

Tra il Josh Hartnett degli Anni Zero, giovane, aitante, spregiudicato nel gesto attorico, sicuro del proprio mezzo fisico, inventivo nella relazione tra attore, scena e altri attori, e quello degli anni successivi, più marginale, più oscuro, più spento, più anonimo, più sottrattivo nel gesto e più minimale nel profilo scenico, c’è lo scarto di un legittimo e maturo allontanamento dall’industria hollywoodiana, e quello di una ricerca più seria e sobria della vocazione attoriale. In ogni caso, sempre di ottimo e intelligente attore si parla.

PS: Non volevo che questo articolo fosse troppo personale, ma nemmeno che avesse un taglio accademico. Ad articolo concluso posso così inserire una nota di colore, un dettaglio biografico per spiegare chi è per me Josh Hartnett.

Il 28 ottobre del 2002 vado a Milano a vedere O come Otello, uscito il 20 settembre precedente. Lo davano al Centrale di via Torino. Chi mi conosce sa come sono particolarmente attratto dai villains, così, quando vedo questo Yago moderno interpretato in modo spiazzante da Josh Hartnett ne resto felicemente sorpreso. Tornato a casa mi informo e scopro che è pure nato nove giorni dopo di me, il 21 luglio del 1978 – io il 12 – così, l’empatia trionfa. Dopo Eastwood e Hackman ecco Hartnett, che si inserisce così nel mio gotha personale tra cui come già si sa ci sono Germano, Kristofferson, Kinski, Fonda, Bronson, Cooper, Lancaster, i Douglas, Hunnam, Hirsch, DeHaan e gli spagnoli González, Rivas, Casas, Silvestre, Coronado, Blas e Sacristán.

Nei giorni successivi noleggio The Faculty e non solo lo rivedo due volte prima di riconsegnare il DVD, ma mi convinco che Josh Hartnett ha qualcosa che tanti altri attori della sua generazione non hanno. Il tempo, pur giocando contro, mi sta dando ragione. Mi si può quindi scusare l’agiografia che ho fatto, ma so che anche la critica lo tiene in buona considerazione.

Note.

(1) http://time.com/88762/josh-hartnett-interview-penny-dreadful

Link utili:

//www.filmtv.it/film/39061/i-come-with-the-rain/recensioni/668486

//www.filmtv.it/film/57245/august/recensioni/668944

//www.filmtv.it/film/75966/wild-horses/recensioni/849192

//www.filmtv.it/film/21143/the-faculty/recensioni/670165

//www.filmtv.it/film/34823/slevin-patto-criminale/recensioni/224311

//www.filmtv.it/film/47286/bunraku/recensioni/670689

 

BEST PERFORMANCE/CHARACTER/MOVIE.

#1. THE FACULTY.

#2.LUCKY NUMBER SLEVIN.

#3.I COME WITH THE RAIN.

#4.30 DAYS OF NIGHT.

#5.O COME OTELLO.

#6.PENNY DREADFUL.

#7.APPUNTAMENTO A WICKER PARK.

8.SIN CITY.

9.BLACK HAWK DOWN.

10.AUGUST.

 

 

 

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