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Back to Black

Regia di Sam Taylor-Johnson vedi scheda film

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La recensione su Back to Black

di maghella
6 stelle

Amy Winehouse è stata sicuramente una delle cantanti più talentuose degli ultimi anni, nonostante la sua carriera si sia concentrata in soli 8 anni, tra il 2003 e il 2011, con soli 3 album registrati. Il film di Sam Taylor-Johnson si concentra proprio su questi 8 anni in cui Amy inizia ad avere successo, prima solo in Gran Bretagna, poi negli Stati Uniti e quindi in tutto il mondo. “Back to Black” è il titolo del film e di una delle canzoni di Amy più belle e sincere, e il film pare voglia prima di tutto concentrarsi proprio sulla potenza artistica della cantante piuttosto che sulle sue vicende travagliate che l’hanno portata ad una morte prematura.

locandina

Back to Black (2024): locandina

A soli 18 anni, Amy è una giovane ragazza londinese, di origine ebree, affezionata alla nonna paterna Cynthia, che è per lei musa ispiratrice per stile e stravaganza. Amy cresce velocemente, consapevole del suo talento, scrive le sue canzoni ispirate esclusivamente da ciò che vive in prima persona. Tutte le sue esperienze passano dalla penna alla chitarra ed infine alla voce, per diventare delle canzoni speciali che arrivano dritte al cuore a chi le ascolta. 

Amy, supportata dal padre che diventa il suo manager, arriva presto a firmare importanti contratti che la portano in vetta alle classifiche. 

Di contro a tanto successo, la vita privata di Amy è caratterizzata da un uso smodato di droghe e tanto alcool. L’incontro con Blake Fielder segnerà definitivamente la vita di Amy: dopo una relazione turbolenta i due si lasciano per ritrovarsi dopo l’uscita del secondo album, convoleranno a nozze nel 2007 per divorziare 2 anni dopo, quando Blake viene arrestato e condannato per aggressione. L’amore, il grande amore di Amy per Blake, la delusione di non riuscire ad avere un figlio, la morte della nonna, e le incomprensioni col padre fanno cadere la cantante in una profonda depressione che la porterà alla morte per abuso di alcool.

La vita vera di Amy Winehouse è talmente drammatica e commovente, che il film pare non voler approfondire i suoi aspetti più cupi, proprio perché nessuna sceneggiatura ne sarebbe stata all’altezza. La storia del film tratteggia molto superficialmente quelle che sono state le cause del profondo malessere della cantante, e i personaggi che l’hanno circondata e che tanto peso hanno avuto per le sue crisi esistenziali, appaiono poco incisivi, solo di contorno.

In verità il padre e il marito di Amy sono stati fondamentali sia per le decisioni prese dalla cantante, sia per le grandi delusioni che l’hanno portata a comportamenti autodistruttivi.

Nel film Amy appare sempre molto decisa su cosa vuole fare e con chi vuole stare, in effetti non è sempre stato così. Non si fanno cenni sul suo ultimo periodo decisamente triste in cui cantava sempre sotto effetto di droghe o alcool. Il racconto del film si sofferma sulla ricerca artistica e stilistica, cerca di fare un ritratto emozionale di una Amy più intima e incompresa,  tralascia, però,  tutta la parte “black” che Amy ha così ben raccontato nelle sue canzoni, soprattutto in quella che è anche il titolo del film. 

Questo aspetto troppo partigiano, rivolto a far emergere solo un aspetto della grande artista, rende il film meno convincente. Se c’è una cosa che ha reso la Winehouse unica, oltre che per la sua bravura incontestabile, è stata per la capacità ad emergere nonostante le sue evidenti fragilità. Amy sapeva cantare solo quello che provava altrimenti non riusciva a comporre e ad esibirsi, questo non le è stato perdonato da chi su di lei aveva altri progetti e tornaconti. Dal film sembra che lei sia stata la causa del suo male, ma non se ne comprende realmente il motivo, visto che i motivi sono trattati in maniera superficiale.

Quello che rende veramente buono il film è la brava Marisa Abela, che si dedica anima e corpo nell’interpretazione di Amy Winehouse, le canzoni che sono e rimangono bellissime, la ricostruzione perfetta di concerti e filmati realmente esistenti. 

Marisa Abela

Back to Black (2024): Marisa Abela

La storia rimane sempre sul tono drammatico, anche perché tutti conosciamo il triste finale e quindi non si può gioire mai anche dei grandi successi raggiunti dalla giovane cantante.

Amy Winehouse, infatti, fa parte della cerchia degli artisti morti all’età di 27 anni, insieme a Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Janis Joplin e Jim Morrison, anche la nostra protagonista ci ha lasciato troppo presto una volta compiuti quei “maledetti” 27 anni.

Il film per qualche motivo non riesce ad arrivare dritto al cuore dello spettatore, se ci si commuove (e succede spesso) è per il ricordo reale che si ha dell’artista, per le canzoni che vengono riprodotte e per quello che sappiamo ha veramente vissuto. Il film sembra quasi un album di bei ricordi, in cui le foto dei brutti momenti vengono fatte vedere velocemente senza troppe spiegazioni.

Voglio che la genta senta la mia voce e dimentichi i suoi problemi per 5 minuti. Voglio essere ricordata per la mia voce, per i miei concerti, per essere stata me stessa”. Questa la voce fuori campo che accompagna l’inizio e la fine del film, posso dire che la vita artistica e privata di Amy Winehouse è stata sicuramente molto di più di come ci viene raccontato in questo film, che rimane però piacevole da vedere.

 

Note Personali:

Sono andata a vedere il film insieme a  mia nipote Caterina di 13 anni (e mezzo). Lei ci teneva molto e io ci tenevo molto a portarla al cinema. La cosa bella è stata quando alla fine, con le luci accese ci siamo ritrovate a piangere commosse per la nostra Amy.

 

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