Regia di Ari Aster vedi scheda film
Tra i principali fattori che determinano il ciclo vitale di un essere umano, a fianco del quadro sociale, spicca la condizione familiare di appartenenza. Abitualmente, è per lo più una questione di educazione impartita e di possibilità economiche, ma non è comunque mai possibile fare previsioni assolutistiche, poiché un fattore inatteso può – di punto in bianco - mutare drasticamente ogni equilibrio precostituito.
In Hereditary – Le radici del male, i primi due aspetti rientrano nella gamma tipica di una famiglia agiata, ma l’imponderabile che si palesa è davvero clamoroso ed esoterico, un unicum destinato a proiettare nel reale il peggiore degli incubi, davanti al quale non esistono strumenti adeguati per imbastire una resistenza efficace.
In seguito alla morte della nonna, la famiglia Graham è chiamata ad affrontare il lutto, tutt’altro che una novità per sua figlia Annie (Toni Collette), mentre i nipoti Peter (Alex Wolff) e Charlie (Milly Shapiro) manifestano rapidamente segnali preoccupanti.
In breve tempo, i Graham sono obbligati ad affrontare dure prove. Mentre Steve (Gabriel Byrne) cerca strenuamente la strada della normalità, Annie è più agitata e l’incontro con Joan (Ann Dowd), una tranquilla signora che si professa in grado di stabilire una connessione con i defunti, offrirà un’occasione per fare chiarezza su quanto sta succedendo, ma amplificherà anche la portata dei problemi.
Prodotto dall’attivissima e rimarchevole produzione indipendente A24 (Moonlight e i suoi Oscar, The lobster, First reformed e tante altre opere, di cui potete scansionare l’elenco a questo link), Hereditary è scritto e diretto dall’esordiente Ari Aster ma, seppur con tutto il suo apparato derivativo, sembra tutto fuorché un esordio.
Infatti, il polso è autoritario, determinato ad andare oltre il prodotto di genere horror da consumo immediato (e cancellazione in simultanea), che è in ogni caso approdo e protagonista del climax risolutivo, non prima di aver gettato le basi senza ansia da prestazione, partendo dal terreno fertile di un dramma familiare, nel quale interrare il seme della paura.
Dunque, la regia parte dalle fondamenta, le costruisce con serietà e onestà, inserendo talune fratture, con suoni destabilizzanti e innesti anche ricevibili come arty, ad esempio con una serie di modellini, costruiti da Annie che, talvolta, sono direttamente collegati, fino a fare da ponte, allo svolgimento.
Contemporaneamente, l’atmosfera diventa, con costante intensificazione, minacciosa, tra sonnambulismo, utile a incrinare la percezione del reale, spiritismo e infine la possessione demoniaca, vero pezzo forte, protagonista in pectore di un’escalation a vele spiegate.
Con questo modus operandi, indubbiamente calcolato a tavolino, Hereditary possiede tutti gli elementi necessari per acquisire corposità, ai quali va aggiunta l’interpretazione di Toni Collette, già abituata a situazioni inspiegabili dai tempi de Il sesto senso, che segna magnificamente un tragitto verso la follia e il paranormale, riprendendo la lezione del cinema espressionista. Al suo fianco, Gabriel Byrne riaffronta il demonio diciannove anni dopo Stigmate, ma il ruolo non è generoso nei suoi confronti e lui appare mummificato. Al contrario, i giovani Alex Wolff e Milly Shapiro sono due ottime scelte effettuate dal casting, volti irregolari perfettamente consoni alla contingenza.
Inspessito da una trascendenza finale che inabissa la destinazione nei dintorni dell’inferno fino a determinare una quadra matura (associabile, con tutti i distinguo del caso, a The VVitch) e spiazzante, Hereditary assume le sembianze di una pietanza succulenta per i cinefili, probabilmente un po’ troppo elaborato su di un passo da maratoneta - i film horror con una gittata oltre le due ore sono rarissimi - per soddisfare il pubblico occasionale, carico di suggestioni primordiali, tra stirpe maledette, inefficacia totale del buon senso e un sostanzioso formulario d’idee da sciorinare.
Raggelante (alla lunga) e confezionato con classe, senza timore di sfidare il pubblico giudizio.
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