1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
Villeneuve? Villevieux.
Ed ecco “Dune: Prophecy”, sviluppata per HBO da Diane Ademu-John (che ne scrive il pilot) e Alison Schapker (che organizzano il lavoro di Suzanne Wrubel, Elizabeth Padden ed altri 6 sceneggiatori) lungo 6 episodi diretti da Anna Foerster, Richard J. Lewis e John Cameron traendola da “Great Schools of Dune” di Brian Herbert & Kevin J. Anderson, la trilogia midquel ambientata nel quasi immediato post-Jihad Butleriano, in breve:
- “S’è soppaltata la cofandina!”
- “Ho un piano!”
- “S’è blindata la sbidiguda!”
- “Ho un piano di riserva!”
- “Si sono scappellati i posterdati!”
- “Ho la riserva di un piano di riserva!”
- “S’è prematurata la supercazzola!”
- “Ho la riserva della riserva di un piano di riserva!”
- “Vicesindaco, come se fosse antani per lei!”
“Dune: Prophecy” è una serie “di riporto” [che però importa ben poco da (e alla quale importa ben poco di →?) “Dune - Part One” e “Dune - Part Two” di Villeneuve, Fraser, Walker, Zimmer & Vermette]: partendo dai titoli di testa, la cosa – anche se, per l’appunto, del tutto inquadrabili, senza reinvenzione alcuna, in quel “genere” lì: gameofthronico, truedetectivo, westworldico – migliore!, creati da Nadia Tzuo (“the Last of Us”) per Elastic {Angus Wall: “Deadwood”, “Game of Thrones”; Lisa Bolan: “Yellowstone”; Patrick Claire [poi co-fondatore della Antibody (“Silo”), che con Imaginary Forces (“Mad Men”, “Stranger Things”, “For All Mankind”) e la stessa Elastic forma la sacra triade dei generatori di sigle di apertura]: “Halt and Catch Fire”, “True Detective”, “Westworld”}, proseguendo con le scenografie “di riporto” di Tom Meyer (“Real Steel”, “Finch”, “Black Adam”) e il design “di riporto” di Walter Schneider (“Tenet”) & C. e giungendo all’idea “di riporto” di assegnare proprio al comunque bravo Travis Fimmel l’interpretazione di un personaggio (che ad ogni modo alcune cose buone di suo le ha) che è praticamente un copia-incolla di quello che l’attore già impersonava in “Raised by Wolves”.
Discrete le musiche di Volker “Hauschka” Bertelmann, che però ovviamente di per loro non riescono a fare la differenza, mentre dal PdV attoriale qualcosa si muove: a parte il già citato Travis Fimmel fanno il loro e non di più un paio di pezzi da 90 quali Emily Watson (Breaking the Waves, Trixie, Gosford Park, Punch-Drunk Love, “Synecdoche, New York”, Chernobyl, the Third Day) e Olivia Williams (the Postman, Rushmore, the Sixth Sense, Dollhouse, Manhattan, Maps to the Stars, Counterpart, the Nevers), col buon, in senso lato, Mark Strong (“TÁR”, “Nocebo”, “the End We Start From”, “the Penguin”) che tocca e fugge e un’altera Johdi May (“the Last of the Mohicans”, un precipitevolmente dirupato burrone e non devo aggiungere altro, vero?) che brama e trama, ma sono una Corrino (Sarah-Sofie Boussnina: “Tides”) e alcune Bene Gesserit, soprattutto Faoileann...
...Cunningham (con all’attivo quasi solo una particina in “the Northman”), e poi Jessica Barden (“the End of the Fucking World”; una giovane Emily Watson), Emma Canning (“Domina”; una giovane Olivia Williams) e Chloe Lea alla quale benché sia la più giovane del gruppo viene però affidato il compito d’interpretare oltre alla propria età pur’anche quelle provenienti dall’Other Memory genetica risvegliate dall’Agonia ed ora a turno possedentila cavandosela bene. Infine: un Harkonnen interessante (Edward Davis), un Atreides un po’ troppo anonimo (Chris Mason) e, direttamente da “Fargo 5”, Ole Munch (Sam Spruell)!
Quindi, ovviamente non tutto è da buttare in “Dune: Prophecy”, ma il ritmo è lento, il passo è stracco, il paesaggio usurato, i crocevia ridondanti e Samuel Butler (e pure Frank Herbert) avrebbe(ro) meritato epigoni migliori: «Cosa succederebbe se la tecnologia continuasse ad evolversi così tanto più rapidamente dei regni animale e vegetale? Ci sostituirebbe nella supremazia del pianeta? Così come il regno vegetale si è lentamente sviluppato dal minerale, e a sua volta il regno animale è succeduto a quello vegetale, allo stesso modo in questi ultimi tempi un regno completamente nuovo è sorto, del quale abbiamo visto, fino ad ora, solo ciò che un giorno sarà considerato il prototipo antidiluviano di una nuova razza. Stiamo affidando alle macchine, giorno dopo giorno, sempre più potere, e fornendo loro, attraverso i più disparati ed ingegnosi meccanismi, quelle capacità di auto-regolazione e di autonomia d'azione che costituirà per loro ciò che l'intelletto è stato per il genere umano. Nel corso dei secoli ci ritroveremo ad essere la razza inferiore.» – Samuel Butler, “Darwin among the Machines”, 1863.
E poi, le astronavi tratto marker FILA pilotate dai navigatori della Gilda strafatti di melange che escono dall'iperspazio senza produrre onde sonore che impossibilmente si propagherebbero nel vuoto sono sempre delle gran belle astronavi tratto marker FILA pilotate dai navigatori della Gilda strafatti di melange che escono dall'iperspazio senza produrre onde sonore che impossibilmente si propagherebbero nel vuoto, eh!
Villeneuve? Villevieux.
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