La recensione su Yellowstone

di mck

8 stelle

Girl in a landscape.

Quasi ognuno degli otto episodi (interamente scritti dal creatore Taylor Sheridan - il cui curriculum spazia dalle regìe e sceneggiature di "Wind River" e "Those Who Wish Me Dead" passando per gli script di "Sicario" ed "Hell or High Water") e diretti in equa spartizione da Stephen Kay e Christina Alexandra Voros) della prima parte (2022) della quinta ed ultima stagione di “Yellowstone” termina con dei “Wath the fuck?!” di volta in volta legati soprattutto a vari personaggi che commettono tremende leggerezze che da loro retroterra comportamentale mai ti aspetteresti, poi la realtà (Kevin Costner - il cui personaggio viene così riassunto dalla figlia Beth: “Vorrei solo che avesse sofferto ancora un po’ cosi avrei potuto dirgli addio.”; e, al prete che ne ha officiato il funerale, dal figliastro Rip (Cole Hauser) che sta per seppellirlo senza troppe inutili parole di commiato: “Se non è già in paradiso è perché o non ci andrà o non esiste.” - che deve sganciarsi per girare il suo “Horizon: an American Saga” e la finestra di rientro si pospone a tal punto da diventare impossibile) incombe e rovescia il suo carico personale di WTF sulla serie e i sei episodi (anch’essi interamente scritti - tra "Mayor of Kingstown", "Tulsa King", "Lawmen: Bass Reeves" e "Special Ops: Lioness" - da Taylor Sheridan e diretti per la maggior parte da Christina Alexandra Voros, anche direttrice della fotografia, e da Michael Friedman, il penultimo, e dallo stesso Taylor Sheridan, l’ultimo) della seconda parte (2024) arrivano ben un paio d’anni dopo riuscendo però a chiudere una parabola (alcune delle cui traiettorie sono ancora aperte: “1923”) forse nel migliore dei modi possibili (“Potrebbero non esserci mandrie, ma di certo non ci saranno condomini e palazzi.”), se pur col peggior affare da quando i Lenape (qui rappresentati in eterogenea quota Sioux-Blackfeet-Cheyenne-Comanche-Crow-Shoshone da Gil Birmingham e Kelsey Asbille) vendettero Manhattan agli olandesi, date le circostanze avverse: tra la mappa d’un campo di battaglia ch’è diventato oramai il volto di Beth (Kelly Reilly) e il ritorno ancestral-mitopoietico di Elsa (Isabel May), da quell’unicum ch’è “1883”, passando per il Texas (da “A questa terra non importa abbastanza di te da essere crudele.” a “Fra trent’anni tutto questo sarà tappezzato da parchi eolici e solari e noi importeremo la carne dal Brasile… dopo aver bruciato la foresta pluviale.” ) di “6666” (forse, chissà) e “Landman”: evviva.

Up before the sun, before the wind cuts cold,
cowboys packing heat, pushing cattle up and down the Yellowstone.
It’s a choice you make, live and die alone,
ride high and shoot low from the saddle when you ride for the Yellowstone.

I can promise you there’s a special place,
deep in the mountain of a lonesome road.
It never gives more than it takes,
there’s always a train at the station on the Yellowstone.

Keep your next of kin, your bloodlines were told,
you’re better off getting crossed with the devil than crossed with the Yellowstone.
Come to take this land or poison the soul,
you can bet you’re gonna meet your maker in the belly of the Yellowstone,
in the belly of the Yellowstone

Cowboys were here and now there all but gone,
nothing left but an airport sleeping on the graves of Indian bones,
on the graves of Indian bones.