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1883

1 stagioni - 10 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su 1883

di mck
10 stelle

Qui si fa l’America, e si muore.

 

 

Rode Together: not in Heaven, but in Paradise.

- Tu non preghi.
- Ho pregato molto. Solo che non ha funzionato.

Un diavolo biondo che indossa un vestito bianco a coprire abiti da cavallerizza comanche si aggira per la prateria delle grandi pianure: ha una freccia lakota conficcata in corpo che la trapassa da parte a parte entrandole dal ventre e uscendole dalla schiena. Spara da un revolver. Ne ammazza qualcuno.

“If this is hell, and I'm in it… then I must be a demon too. And I'm already dead.”

Là, dove i ricordi e i sogni si fondono insieme.

“Wanna know my greatest fear about dying? It's being forgotten. And I can't understand why cuz I won't be here to know anyone forgot me. But the thought is terrifying. What a silly thing to scare me.”

No, nessuno ti dimenticherà, Elsa, lampo dai capelli dorati.

 

 

• L’inizio del cammino.

“Una compagnia commerciale asservì una nazione composta da duecento milioni di persone.” - Da “Lettera a un Indù”, 14 dicembre 1908, di Lev Tolstoj, citato da William Dalrymple in esergo a “the Anarchy - the RelentLess Rise of the East India Company”, 2019.

Shea Brennan (Sam Elliott, immenso, magnifico, nel ruolo della vita di una vita che di ruoli della vita ne contava già un paio), un vecchio capitano dell’Esercito degli Stati Uniti d’America durante la Guerra Civile di Secessione Americana, poi al comando di una divisione di un reggimento di Buffalo Soldier ed ora al soldo della Pinkerton National Detective Agency

(ecco qui, a mo’ d’esempio esplicitante, Al Swearengen - 500 km ad est delle tre caldere attive del supervulcano sopito e un lustro prima degli eventi narrati in “Y: 1883” - che spiega a modo suo al proprio pubblico chi fossero i Pinkerton, per l’occasione al servizio di William Randolph Hearst in trasferta in quel di “DeadWood”, South Dakota),

dopo aver perso moglie e figlia a causa del vaiolo, brucia la propria casa e sta per spararsi un colpo in testa quando Thomas (LaMonica Garrett), un suo ex sergente ed ora collega (che tutte le mattine lo convince a non suicidarsi), gli porta notizia di un (ultimo) lavoro da fare: guidare e scortare da Forth Worth, Texas, all’estremo nord-ovest temperato in affaccio sul Pacifico, incrociando l’Oregon Trail (“Meeks CutOff”), una carovana di profughi/emigranti germanici in fuga dalle conseguenze della guerra franco-prussiana di una dozzina d’anni prima. Brennan accetta: rimanderà il colpo di pistola a quando raggiungerà la sponda dell’oceano. Ma la missione è disperata, i pionieri - capeggiati di malanimo e a malincuore da Josef (Marc Rissmann), sposato a Risa (Anna Fiamora) - sono del tutto impreparati a quel tipo di viaggio e l’esperto soldato-cowboy che sta letteralmente cavalcando verso il tramonto scorge in James Dutton (Tim McGraw), capitano dell’Esercito degli Stati Confederati d’America, ferito nella Battaglia di Antietam, trattenuto come prigioniero per tre anni in un campo dell’Unione ed ora con la moglie Margaret (Faith Hill) - e i due interpreti sono sposati anche nella vita reale -, la figlia Elsa (Isabel May), la sorella Claire (Dawn Olivieri) e la nipote Mary Abel (Emma Malouf) in viaggio lungo la pista del Sogno Americano, tracciando il proprio Destino Manifesto verso quello stesso nord-ovest, attraversando deserti di sabbia, roccia e sale, steppe brulle, fiumi (il Brazos) in piena, rigogliose praterie d’erba smeraldina, sterminate foreste, passi d’alta montagna, con l’intenzione magari di fermarsi un po’ prima della battigia, forse in Montana, la possibilità di un valido aiuto. A loro (e tra i pionieri è da segnalare la presenza, nei panni della gitana Noemi, di Gratiela Brancusi, che, divenuta vedova durante la traversata, s’accompagnerà a Thomas, che diverrà il patrigno dei suoi due figli rimasti orfani di padre) si uniranno via via, passo passo e man mano prima due cowboy, Ennis (Eric Nelsen), il primo amore di Elsa, e Wade (James Landry Hébert), e poi un terzo, Colton (Noah Le Gros), e un cuoco (James Jordan). E, in andirivieni, il guerriero comanche “Sam” (Martin Sensmeier), il secondo, e il grande, amore di Elsa, e l’allevatore/ranchero Charles “Charlie” Goodnight (lo stesso, barbuto, Taylor Sheridan). Camei, stratosferici, per - specialmente - Billy Bob Thornton [il pistolero, giocatore d’azzardo, sceriffo, giudice e imprenditore (insomma: U.S. Marshal) Timothy Isaiah “LongHair Big Jim” Courtright, che già ne ha avute, ma meriterebbe un’altr’ancora serie a sé], Tom Hanks (il generale nordista George Gordon Meade, che all’epoca del flashback situato sul campo di battaglia di Antietam s’apprestava a battere il collega sudista Robert E. Lee sul terreno di Gettysburg), Rita Wilson (anche questi ultimi marito e moglie nella vita, ma non nel film) e Graham Green (a fare da collegamento diretto con la serie madre, ed in particolare con la quarta stagione di “YellowStone”). Ed infine Charlse Baker, nei panni di Henry Weaver, il futuro (in nuce feroce) capitalista degli U.S.A., qui rappresentato dall’Associazione Allevatori del Wyoming.

 


• I’m a cowboy. Yee-haw!

- Tu parli inglese. Come puoi fare tutto questo?!
- Tu parli inglese. E la tua gente ha fatto questo.

L’ininterrotto poemetto lirico in versi pervasivamente costellato di grandeur letteraria - spinta percussivamente e perennemente all’acme dell’accumulo sopportabile di climax - che Elsa Dutton va componendo passo dopo passo galoppando per le lande della Comancheria, caratterizzato e innervato dai suoi monologhi interiori in prima persona così scopertamente magniloquenti, più assimilabili al parto di un narratore onnisciente piuttosto che ad un PdV espresso da un soggetto contemporaneo agli eventi vissuti che li racconta narrandoli mentre accadono, se pur in analessi quasi dal termine (del resto “esplicitata” sin dall’inizio, tra le righe) del cammino (sembrano le elucubrazioni di una donna adulta che scrive le proprie memorie, e non quelle di una ragazza alla vigilia dell’entrata/debutto in società, e infatti il finale rivelerà che il ), surfa ininterrottamente e sistematicamente sulla cresta dell’onda della retorica, intesa qui nell’accezione più nobile del termine: e giocando costantemente sul ciglio dell’apice, raggiunge un equilibrio impressionante.

Eccone un florilegio: https://outsider.com/news/yellowstone-tv/1883-best-elsa-dutton-narration-quotes-from-season-1/.

 


• Un po’ di filologica coerenza storica aderente alla realtà.

- Ti è già capitato di vedere del filo spinato?
- Non ne ho mai sentito parlare.
- È un filo d'acciaio attorcigliato con piccole punte intrecciate. Affilate come la punta di un coltello. È l'unico recinto che il bestiame non supererà. Ritaglieranno questo paese in piccoli rettangoli.

Ma quel che volevo dire è che Isabel May non è dotata di parrucchini ascellari: tutta la casalinga chioma composta da folta e ambrata peluria è di produzione propria.

 

 

• La terra non ricambia l’amore.

“Anche solo per una volta, mi piacerebbe vedere il mondo con i tuoi occhi. Un giorno però tu lo vedrai con i miei. E ciò mi spezzerà il cuore.”

Per porre fine alle sue inimmaginabili sofferenze fisiche e psichiche spari a una donna impazzita di dolore perché le hanno sterminato la famiglia e fatto lo scalpo, e per non cedere a tua volta alla follia volti lo sguardo verso un cavallo che bruca placido l’erba grassa, inconsciamente indifferente alle beghe umane. Lui. E tu. E forse riesci pure a convincerti di aver fatto la cosa giusta. Il cavallo del brucare è convinto.

- I need a fucking shovel. Ground's so fucking hard. […] She snarled at me like a coyote. And I fucking shot her.
- Don't do that. You made a decision. You did what you thought was decent. Was it decent? Who knows. What the hell is decent out here, what's the gauge? You're the gauge. You made a decision. Now stand by it. Right or wrong, you fucking stand by it.
- Okay. It was the best thing I thought to do. I stand by it.
- I'll find you a shovel. And I'll help you use it.

- Mi serve una cazzo di pala. Il terreno è così fottutamente duro, qui. […] Mi ha ringhiato come un coyote. E io le ho sparato, cazzo.
- Non fare così. Hai preso una decisione. Hai fatto quello che pensavi fosse la cosa giusta. È stato giusto? Chissà. Cosa diavolo è giusto qui, qual è il metro di paragone? Sei tu il metro. Tu hai preso una decisione. Ora sii coerente. Giusta o sbagliata, ora sii coerente, cazzo.
- Ok. Era la cosa migliore che potevo di fare. E ne sono convinto.
- Ti troverò una pala. E ti aiuterò a scavare.

A parte “YellowStone”, che, incredibilmente, cresce di stagione in stagione, “Y: 1883” è, con “Better Call Saul”, una delle serie dell’ultimo decennio di Peak TV che rivaleggiano con quelle della Golden Age dura e pura (the Sopranos, the Wire, Mad Men).

Taylor Sheridan sembra abbia messo il pilota automatico coi lungometraggi (sto parlando del passo indietro compiuto con “Those Who Wish Me Dead” rispetto a “Wind River”, o delle sceneggiature di “Soldado” e “WithOut Remorse” se confrontate con quelle di “Sicario” e “Hell or High Water”) per dedicarsi (sua è l'intera sceneggiatura della serie, dipanantesi lungo 10 episodi di 50'-60' l'uno, più la regìa del pilot) a questo immenso progetto di Storia nordamericana: e se i risultati son questi, viva questo cinema. E la fotografia malickiana di Ben Richardson (che dirige 5 ep.) e di Christina Alexandra Voros (che ne dirige 4), con le musiche di Brian Tyler e Breton Vivian sono parte integrante del poema audiovisivo & letterario.

Se non si prende in considerazione ai fini del discorso "the Counselor", la sceneggiatura originale scritta per essere messa in scena da Ridley Scott un decennio fa, sono più di 15 anni che Cormac McCarthy ci fa attendere un nuovo romanzo, e alla fine ben più di tre lustri separeranno "the Road" dal prossimo "the Passenger". Ad aiutare ad affrontare questa lunga traversata nell'oceano di terra brulla ed erba secca che divide uno sperduto e solitario avamposto di civiltà letteraria dall'altro, ci viene in aiuto Taylor Sheridan con "YellowStone" e soprattutto con la mitopoiesi di “Y: 1883”, in attesa di compiere un balzo in vanti col sequel del prequel, “Y: 1932” e uno di lato con il sidequel della serie madre, “Y: 6666” (che non è un post-western di fantascienza in cui gli orsi hanno soggiogato la specie umana, ma un neo-western basato per l’appunto sul Four Sixes Ranch texano; e, a proposito di SF, i “paragoni” con “WestWorld”, la serie creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, non sono del tutto impropri: anche in “Y: 1883” si arriva in treno e si finisce nel Nirvana).

 


• Burning flowers. (Ciò che si nasconde nell’ombra della libertà.)

“Capivo le preoccupazioni di mia madre. Le mie scelte non avevano senso nel suo mondo, dove regnano usanze e pregiudizi, dove non può arrivare la legge. Ci saranno usanze e pregiudizi anche qui, ne sono sicura. Ma sono nati da questo mondo e vi appartengono. Importare le tradizioni della terra da cui sei fuggito, quella che ti ha deluso, vuol dire condannare il luogo che cerchi agli stessi errori.”

Qui si fa l’America, e si muore.

* * * * (½) ¾ - 9.25

Postilla.
Navigando nella prateria con Albinoni, Vivaldi, Telemann, Händel.

E un po' di polvere da sparo.

 

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