La Mostra del Cinema di Venezia è al suo penultimo giorno di presentazioni per la stampa. Restano ancora pochissimi titoli in concorso e la sensazione è che ieri con Le sorelle Macaluso di Emma Dante si siano sparigliate tutte le carte: pe rla prima volta quest'anno, stanpa italiana e stampa straniera concordano sulla seria possibilità che l'Italia riporti a casa il Leone d'Oro. Intanto oggi spazio a due autori tra loro molto diversi: Michel Franco (al suo primo film pensato in grande) e Hilal Baydarov (che arriva con la benedizione di Béla Tarr).
Proiezioni odierne: Concorso
NEW ORDER
Sinossi: In questo dramma distopico, ricco di suspense, uno sfarzoso matrimonio dell'alta società viene mandato a monte da una rivolta inaspettata, scaturita dal confitto sociale che dà il via a un violento colpo di stato. Attraverso gli occhi della solidale giovane sposa e dei domestici che lavorano per e contro la sua abbiente famiglia, New Order descrive a rotta di collo la caduta di un sistema politico e la nascita di uno ancora piu? angosciante.
EXCL: Tre domande a Michel Franco
1. New Order segna un passa avanti nel suo modo di lavorare. Tutto sembra fatto in grande stile, con un cast di attori di primo piano, effetti speciali e una storia dalla vasta portata. Come ha affrontato il passaggio a un modo diverso di fare cinema?
New Order mi ha costretto a ripensare al mio modo di far film. La sfida è nata dalla necessità di analizzare ciò che il Messico sta attraversando oggi: non avrei mai potuto farlo con un film intimista come i miei precedenti. Qui ci sono otto personaggi principali, ognuno con il proprio punto di vista. Ho dovuto rivedere i miei movimenti sul set: ho sempre avuto il pieno controllo ma questa volta ho dovuto lavorare a stretto contatto con tutta la troupe e, in particolar modo, con il direttore della fotografia e lo scenografo. Nei miei film precedenti, sapevo esattamente che piega avrebbero preso le cose, in New Order no: troppe variabili in gioco mi hanno portato spesso a rimettere in discussione le mie scelte o ad apportare cambi di sceneggiatura.
2. La disuguaglianza socioeconomica è uno dei temi dominanti sia della scena politica sia di quella accademica sin da quando nel 2009 ha avuto inizio la crisi che ha coinvolto tutto il mondo. Perché l'ha scelta come tema principale di New Order?
La disuguaglianza sociale e l'ingiustizia sono tra le questioni più urgenti dell'epoca che viviamo. Crescere in Messico è stato per me difficile da capire e accettare. L'ingiustizia è un dato di fatto e nessuno al potere fa nulla per porvi rimedio. Più della metà della popolazione - 64 milioni di esseri umani - vivono più o meno in povertà e molti di loro non riescono nemmeno a provvedere ai loro fabbisogni primari. Non possono permettersi acqua pulita, cibo, cure mediche e istruzione scolastica. Solo una piccola percentuale della popolazione è ricca e controlla le risorse. Già da bambino, questo aspetto mi preoccupava. In Messico gli appartenenti alla classe alta vivono in una sorta di piccola bolla e ignorano i bassifondi che stanno a 15 minuti da loro. Non sto affermando che sia un problema solo messicano: è un problema che interessa tutto il mondo ma in Messico è molto più drammatico e visibile che altrove. Siamo egoisti e, se non si fa nulla, la bomba esploderà molto presto: non si può colpevolizzare chi vuole vivere in maniera più decente ed è stanco di vivere nelle stessa miseria dei genitori e dei nonni.
3. New Order è un racconto distopico sulle strutture nascoste dietro alle evidenti relazioni di potere. Molte cose non sono quelle che sembrano in un primo momento. Perché ha scelto di disorientare il pubblico?
Non trovavo interessante raccontare sin dall'inizio chi sono i buoni e chi i cattivi. Avrei forzato l'interpretazione di ciò che accade. Quando si vive in Messico, del resto non si sa mai a cosa credere. Le persone usano le informazioni nelle loro mani per dividere e manipolare e la sofferenza delle vittime per scopi personali. Accade un po' ovunque ma in Messico è oramai un comportamento più che diffuso. Prendete ad esempio Felipe, il ragazzo della sicurezza che spara con disinvoltura a un ospite quando arrivano i manifestanti. Qualcuno vorrebbe che nel momento più critico difendesse davvero i suoi padroni? Non sempre si può comprare la sicurezza: alla prima possibilità, chi detiene un'arma ti si potrebbe rivoltare contro.
Prossimamente in sala per I Wonder Pictures.
IN BETWEEN DYING
Sinossi: Davud è un giovane incompreso e irrequieto in cerca della sua "vera" famiglia, coloro che nel profondo sente porteranno amore e significato nella sua vita. Quando, nel corso di una giornata, si trova a vivere una serie inaspettata di incidenti, che risulteranno fatali per diverse persone, riemergono ricordi invisibili, vicende e preoccupazioni. Davud è catapultato in un viaggio all'insegna della scoperta, nel quale non riesce a riconoscere la sua "metà mancante", fino a quando arriva ad accettare il fatto che vivere in pericolo e? il suo destino, che la morte avrà sempre la meglio rispetto alle sue vicende personali e che liberarsene sarà la sua iniziazione per addentrarsi appieno nella vita. Dopo avere intrapreso un cammino in divenire, alla fine Davud ritorna nel luogo dove ha sempre vissuto. Qui trova l'Amore ad attenderlo, ma forse è troppo tardi.
EXCL. Tre domande al regista Hilal Baydarov
1. Davud, il protagonista del suo film, sta scappando ma al tempo stesso sta cercando qualcosa. Si tratta di uno dei più insoliti viaggi su strada visti al cinema. Com'è nata l'idea del film?
Da tempo, porto avanti un progetto che si chiama Ritratti: voglio fare una serie di film in cui si racconta una sola giornata della vita delle persone che meglio conosco. Proprio come Rembradt, voglio ripetere l'esperienza anno dopo anno per rispecchiarmi e vedere sono cambiato. Quando osservi gli altri, inevitabilmente vedi anche te stesso: gli esseri umani sono degli specchi. Sono stato profondamente influenzato dalla storia di Buddha. Figlio del re, viveva sempre tra le mura del palazzo e non aveva mai visto gente vecchia, brutta o malata: il padre desiderava che gli si mostrasse sempre e solo la bellezza. Un giorno, Buddha lasciò per caso il palazzo e vide persone di ogni tipo e condizione. Gli incontri lo cambiarono così tanto al punto di non voler rientrare mai più a palazzo. Visse in solitudine e perseguì l'illuminazione fino a quando non raggiunse il nirvana, dove trovò la vera "bellezza". Tutto gli accadde dunque in un giorno e anche per caso. Così come succede a Davud, che si ritrova di punto in bianco ad affrontare un nuovo percorso. Una cosa, però, differenzia Davud da Buddha: ritorna al luogo da cui è partito, dove trova la "bellezza".
2. I tre uomini che inseguono Davud regalano un tratto quasi comico alla drammatica caccia di cui sono protagonisti. Che scopo hanno?
I tre seguono Davud nel suo viaggio circolare. E come Davud cambiano anche loro andando incontro a un percorso di purificazione che non è solo del protagonista. Volevo con la loro presenza sottolineare come Davud sia il riflesso di tutti gli esseri umani e non un personaggio unico e speciale.
3. Davud lungo il viaggio incontra diversi personaggi femminili. Alcuni di loro sembrano acquisire potere dall'incontro, altri invece salvezza. Cosa porta Davud nelle loro vite che prima non avevano?
In una sola parola, amore. Sono tutte la stesa donna, la "donna in nero", che assume forme, corpi differenti. Con davud riempiono semplicemente un vuoto dell'anima, ritrovano una parte mancante.
Proiezioni odierne: Fuori Concorso
RUN HIDE FIGHT
Commento del reista Kyle Rankin: «Ho scritto Run Hide Fight per affrontare la mia paura e impotenza di fronte alle sparatorie di massa. Il mio intento non è mai stato quello di sfruttare il dolore di qualcuno, ma quello di dar vita a un confronto civile sulle armi in America. Il film non è concepito né a favore né contro le armi, in modo da incoraggiare un dialogo anziché una divisione, soprattutto tra amici che hanno visioni opposte su un tema complesso come questo. Spero che guardando il film, il pubblico pensi a quali scelte farebbe e chi vorrebbe essere se si trovasse nella posizione di Zoe. In definitiva, il film vuole essere emotivamente vero e lasciare agli spettatori un ricordo che sembri quasi il loro».
CRAZY, NOT INSANE
Commento del regista Alex Gibney: «Il film è stato un'occasione per cercare di capire, attraverso il lavoro di Dorothy Lewis, perché, come esseri umani, ci uccidiamo a vicenda. Dopo aver trascorso diverso tempo con Dorothy, ho iniziato a interessarmi a lei come scienziata e artista. Abbiamo esplorato la sua voce letteraria quasi come fosse un suo "alter ego" distinto. Per girare il film, abbiamo adottato una folle mescolanza di stili – utilizzando cinema verità, pezzi d'archivio, animazioni, film amatoriali – che rispecchia giocosamente la magnifica complessità della mente umana. Il titolo Crazy, Not Insane si riferisce a come il sistema giudiziario – troppo spesso caratterizzato da un senso di giustizia che sconfina nella sete di vendetta – sia in contrasto con il mondo della scienza medica nel definire cosa sia una grave malattia mentale. Abbiamo preso in esame casi di pena di morte in cui Dorothy è stata coinvolta per analizzare la sensatezza della pena di morte in sé. Una volta che pericolosi assassini sono stati incarcerati e i cittadini sono al sicuro da essi, perché siamo cosi? determinati a giustiziare questi esseri umani? Gli americani sono dei serial killer? E se così fosse, siamo pazzi, o addirittura malati di mente?».
Proiezioni odierne: Orizzonti
GENUS, PAN
Commento del regista Lav Diaz: «Una volta mi chiesero di definire l'uomo, ossia noi stessi, i cosiddetti esseri umani, apparentemente l'abitante superiore del pianeta per eccellenza. Tutto quello che mi venne in mente fu una similitudine (L'uomo è un animale), e la sensazione fu terribile. Credetti di aver farfugliato malamente, ma ripensandoci oggi, ritengo che questa fu la risposta migliore. L'uomo, infatti, è rimasto allo stesso livello degli animali. A tale riguardo ho sviluppato un pensiero: nonostante la specie umana sia la più sviluppata, la maggior parte di noi reca ancora in sé l'atteggiamento dello scimpanzé, il genere Pan, degli ominidi, la grande famiglia di primati. Dunque, per nostra stessa natura, siamo violenti, aggressivi, ossessivi, trasgressivi, invidiosi, territoriali, narcisisti ed egocentrici, esattamente come il nostro cugino, il genere Pan. Tuttavia c'è speranza. Gli studi sostengono che il cervello umano si stia ancora sviluppando e, dopo che questo processo sarà definitivamente compiuto, l'uomo sarà completo: una specie pienamente realizzata, altruista, pura e vera, esattamente come Buddha, Gandhi, Cristo e l'agricoltore Mang Osting che generosamente provvede alle mie esigenze vegetariane. Ecco dunque questo film Genus, Pan... Ho sempre desiderato realizzare un film sugli animali. In realtà sull'uomo come animale, l'uomo che si comporta autenticamente come un animale, così come ha fatto, comunque, per tutta la sua vita».
I PREDATORI
EXCL. La parola al regista Pietro Castellitto
«Questo è un film corale. Però, i personaggi che qui si accavallano e si sfiorano e a volte si conoscono, non lo sanno. Ognuno di loro è solo, perso in quel tratto di vita dove nessuno sembra capirti e dove tutto vorresti andasse dall'altra parte. Invertire il corso per vivere la propria speranza: è questa la battaglia che combattono. Quanto amore e quanta ferocia servano, lo scopriranno sulla loro pelle. D'altronde, essere felici, è un mestiere difficile. A volte, un mestiere da Predatori. Quando, ormai cinque anni fa, scrissi la prima versione di I predatori partii da Federico. Lui è il personaggio più autobiografico del film e in lui ho catalizzato il sentimento che anche negli ambienti più "illuminati" ci siano quelle prerogative di alienazione e tristezza che possono portare un giovane ad armarsi. Non che io abbia mai pensato di mettere una bomba da qualche parte, mi riferisco piuttosto a quel carico di enorme frustrazione, tipicamente giovanile, che nasce dalla differenza che c'è tra quello che sei e quello che gli altri pensano tu sia. Un carico inquietante che può portare a gesti estremi. A me, fortunatamente, ha fatto scrivere un film. Questo».
Il regista ritiene che si possa imparare molto bene questo mestiere anche facendo altro. Ogni esperienza vissuta con passione potrà tornare utile. Le passioni del regista sono: Nietzsche, Federer, Francis Scott Fitzgerald, Lars Von Trier, Scorsese, Woody Allen, l’economia, la filosofia, la cucina, etc... Il cinema parla di tutto. È evidentemente impossibile trovare l'equazione magica per imparare a farlo. Il sacrificio e la sincerità verso se stessi sono, oggi più di ieri, requisiti fondamentali per esistere nel mercato, soprattutto se si è giovani. Ripercorrere la propria vita senza scordarsi della morte, e poi, soltanto poi guardare molti film, frequentare i set, leggere i copioni. Bisogna arrivare al cinema passando per il tutto. Guai a fare il contrario.
Prossimamente in sala per 01 Distribution.
Proiezioni odierne: Giornate degli Autori
VENICE CONCERT 1989
Il concerto dei Pink Floyd a Venezia, fu la penultima esibizione della band inglese durante la seconda tournée europea dell'A Momentary Lapse of Reason Tour del 1989. Rientra tra i più controversi ed eccezionali concerti rock realizzati in Italia. L'evento venne realizzato gratuitamente per il pubblico e organizzato su un palco galleggiante in occasione della festa del Redentore, il 15 luglio 1989. Parteciparono circa 200mila spettatori posizionati sulle rive e sulle imbarcazioni del bacino di San Marco. Il concerto venne trasmesso dalla Rai in mondovisione con un pubblico di circa cento milioni di telespettatori.
Proiezioni odierne: Settimana della critica
THE ROSSELLINIS
EXCL. La parola al regista Alessandro Rossellini
«Con il titolo del film ho voluto prendere in giro un cognome che per me è stato da sempre molto ingombrante, passato alla storia del cinema per le idee rivoluzionarie di nonno Roberto, regista venerato ancora oggi come un profeta dai cinefili di tutto il mondo. Nonno fu però un personaggio ben noto anche per la sua vita privata, parecchio avventurosa. Il suo genio e il suo carisma hanno affascinato i cronisti del tempo, creando un grande circo mediatico attorno alla sua figura. Il nostro album di famiglia si è così composto con bellissime fotografie patinate e cinegiornali dai toni scandalistici. Tutto questo ha avuto per me e gli altri discendenti un peso enorme, influenzando le nostre vite, anche dopo la scomparsa di nonno. Ogni famiglia mitizza il proprio passato, denso di storie e gioie, nascondendo a volte sotto il tappeto i conflitti più dolorosi. In questo senso, forse noi Rossellini siamo l’iperbole di una famiglia: affascinante, appassionata ed anche bugiarda. L'arte di narrarsi al meglio è forse l'unico pezzetto di genio creativo che abbiamo ereditato da nonno Roberto. Questo film documentario è il mio personale tentativo di restituire un'immagine sincera della mia grande, amata e complicata famiglia».
Prossimamente in sala per Nexo Digital.
ZOMBIE
Zombie è stato realizzato in chiusura del corso di sceneggiatura e regia "Dall'idea al set", curato da Giorgio Diritti durante tutto il 2019 per la Fondazione Fare Cinema di Marco Bellocchio a Bobbio. Questo cortometraggio è nato da un lavoro di gruppo, al contempo personale e introspettivo, con i ragazzi del corso sul tema dei rapporti figli-genitori. Le riprese si sono svolte in sei giorni, nel mese di novembre 2019, tra le starde di Bobbio. Ha dichiarato il regista Giorgio Diritti: «Durante gli incontri del corso fattoa Bobbio, ho cercato assieme ai miei collaboratori di stimolare i partecipanti a parlare delle loro esperienze personali, di sentire quali fossero le loro "urgenze". Ne sono nati, tra gli altri, alcuni soggetti che esprimevano le difficoltà, le sofferenze, i traumi delle separazioni coniugali, viste dal punto di vista dei figli. Ho pensato quindi di realizzare Zombie perché è una sintesi in cui si fondono le contraddizioni di un momento di festa molto sentito dai bambini (Halloween) con le solitudini e distorsioni conflittuali di genitori che, nella loro incapacità di distinguere i ruoli, trasformano un po' tutti in "morti viventi". Se la divisione, anziché separazione possibile, si trasforma in scissione distruttiva, i figli diventano vittime inconsapevoli ed in alcuni casi strumentali di questi conflitti, rischiando di subire un'alienazione parentale. Una riiflessione su quei traumi infantili che resteranno nel tempo e che i bambini certo non meritano».
RECENSIONI
Le sorelle Macaluso: Recensione di AlanSmithee
Wife of a Spy: Recensione di EightAndHalf // Recensione di AlanSmithee // Recensione di Gaiart
Milestone: Recensione di PortCros
The World to Come: Recensione di 79DetectiveNoir
50 or Two Whales Meet at the Beach: Recensione di AlanSmithee
Numeri precedenti
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9. Continua
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