Il volume nr. 3 della "Storia del cinema" di Fofi, Morandini e Volpi (ed. Garzanti-1988), nell'affrontare la corrente di stile e pensiero cinematografico conosciuta come "Free cinema britannico", definisce Karel Reisz come "il regista di miglior talento del free cinema".
E dire che i suoi colleghi sfoderano nomi come Tony Richardson, Lindsay Anderson, o pure John Schlesinger, che tuttavia emigra presto negli States trionfando con Un uomo da marciapiede, ma tornando il patria con l'acclamato e scandaloso Domenica, maledetta domenica.
La gioventù inquieta e attratta dai sentieri che portano lontani dalla retta via è stato per tutto il periodo "inglese" del cinema di Reisz il luogo comune del suo impegno narrativo, che il regista esplora prima dal punto di vista documentaristico col suo notevole We are the Lambeth boys del 1959, prodotto finanziato dall'azienda Ford come premio alla creatività del regista, dipendente dell'industria automobilistica ed addetto al reparto pubblicità, e al quale l'azienda permette di girare un film all'anno in piena libertà ed indipendenza creativa.
Ne girerà solo uno perché la permanenza di Reisz in Ford durò solo poco più di un anno.
"Il free cinema si presenta come un movimento realistico, impegnato nel rispecchiamento critico della realtà, nella descrizione della gente comune e della sua vita ordinaria, e libero dalle regole e dalle costrizioni dell'industria cinematografica: libero perché nei film del filone, le loro affermazioni sono personali".
La cinepresa di Reisz e dei suoi compari entra nelle scuole (Lambeth boys), nelle fabbriche (Sabato sera, domenica mattina - 1960), per passare poi alla protesta contro i luoghi comuni della vita alto borghese, che finiscono per giustificare il ricorso al crimine efferato fine a se stesso (La doppia vita di Dan Craig - 1964), fino al disagio senza più possibilità di contenimento che muove instancabilmente e imprevedibilmente la figura di un pittore disadattato impresentabile ed insopportabile agli occhi della moglie, che non riesce ad odiarlo, ma non può più trovarselo di fronte (Morgan matto da legare - 1966).
Poi Reisz si allontana dal movimento, prima ancora dei suoi colleghi, e, trascinato dal divismo della Redgrave, le cuce su misura un sofferto ed accurato biopic ispirato alla tormentata vita di Isadora Duncan (Isadora - 1968).
Il film fa da trampolino di lancio per catapultare ad Hollywood il nostro Karel, che, senza mai azzardare sui ritmi di produzione, ma mediando bene i progetti da concretizzare, gira in tutto il decennio dei '70 solo due film, ma entrambi straordinari: The gambler - 1974 (ovvero 40.000 dollari per non morire), che offre a James Caan una delle sue prove più rimarchevoli, e Guerrieri dell'inferno - 1978, con un altrettanto grande Nick Nolte.
Due modi cinematograficamente assai elevati per raccontarci vizi da dipendenza cronica e soluzioni alternative per guadagnare tutto e subito e illudersi di vivere felici.
Nel 1981 Karel Reisz fa ritorno nella sua Inghilterra, ove gira il suo film più noto e celebrato, oltre che uno dei suoi più riusciti: La donna del tenente francese, che si presenta a sorpresa come un doppio melodramma in cui l'estro narrativo di Harold Pinter aggiunge sale alla incalzante storia di John Fowles, arrivando a dimostrarci come, al contrario di quanto spesso succede, a volte può essere l'opera narrativa (o il cinema) a ispirare i comportamenti della vita reale, anziché viceversa: il contrario di un biopic, condensato in un melodramma incalzante sorretto dalla splendida interpretazione di una indimenticabile Meryl Streep.
Da quel momento Reisz diventa anche il regista delle dive, permettendo a Jessica Lange di sfiorare l'Oscar con la sua straordinaria interpretazione in Sweet Dreams, un altro biopic, questa volta ispirato alla triste e breve storia di vita della celebre cantante country Patsy Cline.
Sempre circondato da illustri sceneggiatori, nel 1990 reisz ritorna in regia portando sullo schermo un adattamento di Arthur Miller di una commedia teatrale ad atto unico intitolata Some kind of love story, ispirata ad un vero fatto di cronaca nera del 1970 che ispirò già l'amico e collega Tony Richardson per un tv movie del 1978. Il film si intitola in originale Everybody wins, da noi più banalmente Alla ricerca dell'assassino, ed appare come un noir da camera in cui Miller rinuncia ad ogni scena d'azione, privilegiando l'intrigo, la corruzione ed il mistero, che diviene di impossibile soluzione, dovendo scoprire una corruzione dilagante che porterebbe sul banco degli imputati anche e soprattutto i personaggi di spicco garanti di una giustizia malata e di parte.
Purtroppo il film, assai più valido di quanto non fu considerato, fu un flop completo, e costituì l'ultimo lungometraggio della contenuta, ma notevole filmografia del grande cineasta cecoslovacco, naturalizzato britannico.
Qui di seguito un excursus della cinematografia dell'autore, che riporta alle singole recensioni dei suoi nove lungometraggi più il mediometraggio d'esordio.
Karel Reisz era all'epoca dipendente della azienda automobilistica Ford, svolgendo la mansione di direttore del servizio cinematografico, con particolare responsabilità sulla produzione di filmati a scopo pubblicitario, in cambio dei quali la dirigenza Ford permetteva al regista di girare un film a sua completa discrezione, finanziandolo e lasciandolo libero di sceglierne l'argomento.
"Siamo i ragazzi di Lambeth" è nato proprio grazie a questo appoggio di tipo mecenatesco, che fornisce al regista la possibilità di giostrarsi anche sulla durata, troppo corta per risultare un lungometraggio, troppo lunga per rientrare nei canoni del cortometraggio.
Ne scaturisce un ritratto realistico ed appassionato di una classe sociale e di un'età giovanile che rifugge ogni forzatura e imposizione, circostanza che favorisce la naturalezza dello studio comportamentale e l'efficacia dei singoli affreschi di vita che compongono quel puzzle vitale e per nulla edulcorato. VOTO ***
Una storia di ceti poveri e di ribellione, dove le "pietre piovono solo su chi è già oberato di problematiche e disgrazie, e non pago ha l'ardire di andare a cercarsi ulteriori guai.
Nel ruolo di Jimmy, il quasi esordiente Albert Finney, che quello stesso anno esordì proprio con Tony Richardson ne Gli sfasati, è straordinario rendere l'impulsività ma anche l'umanità di un personaggio ribelle che tuttavia dimostra in più occasioni di possedere un cuore e una voglia di riscatto che ce lo restituiscono come individuo pieno di contraddizioni, ma irresistibile. VOTO ****
Secondo film dell'ottimo regista cecoslovacco naturalizzato britannico Karel Reisz, e tratto dall'opera teatrale Night must fall di Emlyn Williams, già peraltro adattata per il cinema ne 1937 con Notturno Tragico di Richard Thorpe, La doppia vita di Dan Craig si sviluppa come un thriller psicologico prevalentemente incentrato sulla personalità bizzarra e contorta del suo folle protagonista Danny, per l'occasione reso memorabile da una interpretazione mefistofelica e felicemente sopra le righe di un ottimo ed ancora giovanissimo Albert Finney, lo stesso che, quattro anni prima, aveva dato un'altra gran prova di sé interpretando il protagonista operaio ribelle del precedente film di Reisz, Sabato sera, domenica mattina. Il film alterna una suspence ben studiata nelle mani dell'infingardo ed inaffidabile protagonista, a momenti di sagace ironia, che caratterizza l'alternanza di euforia e follia senza contegno che animano alternativamente le azioni del nostro sconsiderato e fuori controllo protagonista. VOTO ****
Acclamato al Festival di Cannes, che accolse il film in Concorso, e che vide trionfare l'algida e scatenata Vanessa Redgrave, a cui la Giuria assegnò il premio della migliore interpretazione femminile, Morgan matto da legare è uno dei film simbolo del movimento culturale cinematografico noto come Free Cinema, portato avanti da Reisz assieme a Tony Richardson e Lindsay Anderson.
Strutturato come una folle commedia degli equivoci, tutti peraltro scaltramente escogitati da un matto tutt'altro che matto, il film di Karel Reisz ora appare decisamente meno spumeggiante e certamente più consueto di quanto non possa essere apparso all'epoca della sua uscita in sala, nell'ormai lontano 1966. Ma il film, nel desrivere la follia compulsiva del suo eccentrico ed incontrollabile protagonista, si lancia in scene oniriche che rappresentano l'esaltazione del protagonista, in grado di risultare davvero godibili, ed esteticamente assai ben realizzate. VOTO ****
Biopic sulla famosa, intransigente e sofisticata ballerina americana Isadora Duncan, che si circondò in tutti i suoi cinquant'anni di vita di personaggi e situazioni in grado di mantenerla sempre, nel bene come nel male, nelle gioie come nei molti eventi luttuosi che la riguardarono, al centro delle cronache culturali, mondane e di costume.
Tramite la direzione accurata e sin un po' accademica del bravo Karel Reisz, portavoce assieme a Tony Richardson e Lindsay Anderson della scuola di pensiero e stile cinematografico nota come "free cinema inglese", qui sul punto di spiccare il volo verso progetti made in Usa, si racconta la tormentata esistenza della talentuosa ballerina, anticipatrice non senza scandalo della danza moderna che seguì negli anni dopo la sua morte.
Scelto per partecipare al Concorso del 22° Festival di Cannes, Isadora, che rimane alla mente anche per le splendide coreografie che vedono in scena la Redgrave senza controfigure e magistrale per la carica erotica in grado di far emergere sulla scena, fu giustamente insignito del premio alla migliore interpretazione femminile alla Redgrave, che nel film si concede anche in nudi integrali in grado di mettere in evidenza la perfetta armonia del proprio fisico statuario. VOTO ***1/2
Dalla penna allora agli esordi di James Toback, il gran regista spesso troppo dimenticato se non sottostimato, Karel Reisz, cecoslovacco naturalizzato inglese nonché padre del Free Cinema assieme a Lindsay Anderson e Tony Richardson, firma un altro tassello della magnifica, seppur contenuta in termini numerici, sua carriera di regista versatile, con una certa predilezione per le atmosfere noir, che qui in questo magnifico film prendono carattere in forma mirabile, segnando i dettagli di una discesa all'inferno della dipendenza, che si colora di un noir tetro di luoghi e stati mentali alterati dal vizio.
Per James Caan, in gran forma anche fisicamente, The gambler (questo il titolo originale che lascia riflettere, purtroppo da noi mutato nel didascalico di cui sopra) rappresenta uno dei punti cardine della sua mirabile carriera di interprete di punta. Lo affiancano la sempre incantevole ex top model Lauren Hutton, ed un gruppo di ceffi italici straordinari come Paul Sorvino e Burt Young.
Davvero un film memorabile, come molti altri tra i nove diretti da Reisz nella sua ultra trentennale carriera. VOTO ****1/2
Liberamente tratto dal romanzo Dog Soldier di Robert Stone, il film di Karel Reisz avrebbe dovuto originariamente intitolarsi "Who'll stop the rain?", dal titolo della omonima canzone dei Creedence Clearwater Revival, fatta ascoltare ampiamente nel corso della storia. Nel libro l'autore Stone si ispira al personaggio realmente esistito di Neil Cassady, definito un guru della controcultura statunitense degli anni Sessanta, e il finale tragico che segna la fine del nostro ardito e tenace protagonista, è stato concepito sulla falsariga
della drammatica fine del Cassady stesso, morto in un incidente lungo una via ferroviaria messicana.
Il film di Karel Reisz è davvero molto bello ed epico, valorizzato dalla interpretazione vigorosa e convinta di un allora giovane e ardito Nick Nolte, coadiuvato in una parte sofferta e molto ispirata, dalla brava e bella Tuesday Weld, mentre il ruolo dell'infido e poco affidabile suo consorte è affidato al valido Michael Moriarty. VOTO ****
Tratto dall'omonimo romanzo di successo di John Fowles del 1969, questo adattamento di successo e dal punto di vista narrativo del tutto innovativo rispetto ai primi anni '80 in cui fu girato, segna il ritorno del regista inglese (seppur di origini cecoslovacche) Karel Reisz, nella propria Inghilterra, dopo un decennio trascorso negli States che gli ha fruttato solo due pellicole, di qualità tuttavia entrambe straordinarie (The gambler con James Caan e Guerrieri dell'inferno con Nick Nolte), che dirige un adattamento riveduto e corretto in modo straordinario e geniale dalla brillante intuizione del celebre drammaturgo Harold Pinter, di concatenare la vicenda storica originale, con lo sviluppo di una simile storia d'amour fou che prende ed incastra i due attori protagonisti, nei momenti di pausa della realizzazione del film.
Visto con gli occhi smaliziati e preparati dei giovani cinefili di oggi, il film di Reisz appare forse più bizzarro e curioso di quanto invece non risultò straordinario e strabiliante all'epoca della sua uscita, apprezzato pressoché unanimemente dalla critica e accolto con favore dal pubblico, avvinto da una doppia vicenda che converge nelle medesime, drammatiche ed inconciliabili problematiche in grado di mettere a repentaglio famiglia già costruite, o in procinto di essere cementate e benedette dai sacramenti cristiani. VOTO ****1/2
Dopo La ragazza di Nashville, coinvolgente biopic di Michael Apted del 1980 incentrato sulla vita e sulla carriera di Loretta Lynn, che valse a Sissi Spacek l'Oscar per la migliore interpetazione nel 1980, nel 1985 il regista naturalizzato inglese Karel Reisz si appresta a portare sullo schermo la storia di vita della sua più illustre collega e rivale, nonché coetanea della cantante di cui sopra: Patsy Cline.
Reisz dirige con la nota professionalità un film di fatto tutto poggiato sulla destrezza interpretativa dei suoi portentosi interpreti, Jessica Lange meritevole della nomination all'Oscar e strepitosa nel riuscire a mimare con mirabile credibilità la gestualità della cantante seguendo in playback il tempo dei pezzi originali suonati in sottofondo: senz'altro una tra le sue più sofferte e rimarchevoli interpretazioni. Le fa da degno contraltare un carnale e virile Ed Harris cappellone, anche lui assai convincente in un ruolo sfaccettato e torbido. VOTO ***
Un investigatore privato con la fama di mastino per l'accanimento con cui conduce le sue indagini, viene ingaggiato da una bella donna di nome Angela Crispini, al fine di riuscire a scoprire la verità sull'uccisione di uno stimato medico di una tranquilla cittadina del New England, laddove il colpevole è, secondo la legge, già stato trovato ed incriminato, e corrisponde alla figura esile e psicologicamente compromessa del giovane nipote del defunto.
Il thriller anomalo e tutto d'ambiente, risulta piuttosto riuscito proprio per questa sua scelta, singolare e risoluta, di azzerare l'azione senza rinchiudersi necessariamente nel buio di stanze da interrogatorio o aule di tribunale, ,a spaziando molto anche su un certo contesto esterno che permette di focalizzare la vicenda su scenari interessanti anche a livello puramente paesaggistico.
Ne scaturisce un film singolare, un po' all'antica, in grado di far luce su una corruzione latente che solo una tardiva accurata indagine riesce a far affiorare, tentando di mettere fine ad una generalizzata reticenza su una verità troppo scomoda e vergognosa per essere rivelata. VOTO ***1/2
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