Manca ancora un'ultima giornata ma sono stai presentati già oggi, come si fa nei Festival, gli ultimi titoli del concorso internazionale: la miniserie polacca di HBO Europe Wasteland, la serie belga Public Enemy e l’americana Good Behaviour in onda su TNT (di cui abbiamo parlato qui). Queste ultime due sono state accompagnate dai loro attori protagonisti, rispettivamente Angelo Bison e Juan Diego Botto: del loro incontro con la stampa raccontiamo qui. È stata però soprattutto la giornata di due anteprime mondiali: la miniserie Madiba con Laurence Fishburne e la “event series” When We Rise di Dustin Lance Black con pilot diretto da Gus Van Sant.
Wasteland
Intitolata in originale Pustina, come la città dov’è ambientata, la miniserie in otto parti già passata dai Festival di Karlovy Vary e Toronto si apre con la suggestiva corsa di un bambino, in una foresta ancora immersa nella bruma. Scopriremo che ha trovato l’asino della scuola materna brutalmente ucciso, ma questa corsa è solo il preludio alla sparizione di una ragazza di 14 anni che arriverà invece alla fine dell’episodio, dando il là all’indagine portante della serie. La puntata, introdotta per altro da una sigla davvero suggestiva sia per la musica sia soprattutto per la sequenza di immagini tra dettagli e campi lunghi, racconta come Pustina sia sull’orlo di un grande cambiamento. I cittadini vogliono infatti votare in un referendum per permettere alla locale miniera (di proprietà però straniera) di superare alcune limitazioni di tutela ambientale e dare così, si spera, un nuovo slancio all'economia depressa e all'occupazione. Parallele alla riunione comunale scorrono inoltre due vicende, una di prostituzione e un’altra di delinquenza minorile, quest’ultima sicuramente legata alla scomparsa della ragazza. Le interpretazioni e lo sguardo sono profondamente realistici, ma il dramma vero e proprio esplode solo alla fine dell’episodio, difficile quindi farsi un’idea se non per il preciso ritratto, anche antropologico, di un’altra cittadina schiacciata dalla crisi e da una miniera come in Midnight Sun. Dà comunque buone garanzie lo sceneggiatore Stepán Hulík, che già aveva scritto per HBO Europe la miniserie su Jan Palach Burning Bush, diretta da Agnieszka Holland e trasmessa anche in Italia su Rai3.
Public Enemy
Serie di successo in Belgio e in Francia, già confermata per una seconda stagione, Public Enemy racconta di un pedofilo che uscito dal carcere viene affidato a un monastero. L’uomo sostiene di voler intraprendere un cammino spirituale ma il suo comportamento è ambiguo, cosa che alimenta la diffidenza degli abitanti della vicina cittadina. Gli eventi precipitano quando scompare una bambina e l’uomo è il primo sospettato, anche perché aveva parlato con la ragazzina solo il giorno prima. La comunità ne è travolta, attraversata da pulsioni forti che hanno una eco anche tra i frati, a loro volta divisi sulla questione. Il pedofilo è inoltre supervisionato da una poliziotta, che ricorda nei suoi sogni qualche fatto terribile accadutole a sua volta da bambina, e che ora si trova a indagare sulla scomparsa. Produzione di buona fattura, senza picchi di stile o fotografia a parte per alcune sequenze più oniriche, Public Enemy colpisce soprattutto per la giustapposizione tra il criminale imperdonabile e un'istituzione che rappresenta il perdono, oltre che per l’interpretazione enigmatica e affascinante di Angelo Bison, premiato infatti come miglior attore alla scorsa edizione di Series Mania.
Madiba
Miniserie in sei parti sulla vita di Nelson Mandela per il canale BET, rivolto agli afroamericani (è lo stesso che viene dileggiato in modo sopra le righe nell’episodio Montague della comedy Atlanta), Madiba ha per protagonista Laurence Fishburne ma si tratta dell’unico elemento di prestigio. La produzione infatti ha una standard tecnico davvero basso, come raramente accade sulla scena americana: ci sono scene in interni vistosamente finti, illuminati in stile “Duccio” al motto di “apri tutto” e senza cura per le fonti di luce presenti in scena. Va un po’ meglio con gli esterni, ma nel complesso si tratta di una miniserie che non supera l’intento meramente didattico, nobile finché si vuole ma carente tanto nella scrittura quanto nella messa in scena. Sicuramente tra le cose peggiori viste in questa edizione del RomaFictionFest.
When We Rise
Ideata, prodotta e sceneggiata da Dustin Lance Black, già scrittore di Milk e J. Edgar e cimentatosi con la serialità in Big Love, When We Rise è uno degli eventi annunciati della Tv americana dell’anno prossimo e una bella scommessa da parte di ABC, che vuole di certo sfidare le cable nella corsa ai premi della categoria miniserie. Sorretta da un cast prestigioso che vanta Guy Pearce, Mary-Louise Parker, Rachel Griffiths, Michael Kenneth Williams e Whoopi Goldberg, è impreziosita da un doppio episodio iniziale diretto da Gus Van Sant. La vicenda corale inizia negli anni 70 (si spingerà fino ai giorni nostri nelle puntate successive) e seguendo un variegato gruppo di personaggi nelle prime lotte del movimento per i diritti LGBT. Ogni episodio - ha spiegato Dustin Lance Black ospite della manifestazione - ha un punto di vista differente e ciascuno rappresenta una particolare sfumatura della “diversity”, dando così voce ai gay, alle donne, ai neri, ai trans e pure gli etero, grazie anche agli autori coinvolti in fase di scrittura e regia, che a loro volta incarnano specifiche “diversità”. Il progetto è ambizioso, nobilissimo e per questo rivolto al grande pubblico, tanto che paradossalmente a uscirne un po’ sacrificata è proprio la personalità di Van Sant regista, che qui lascia meno il segno rispetto alla precedente Boss. In questo primo capitolo sono assenti molte delle star sopra citate, perché i loro personaggi da giovani sono interpretati da attori quasi esordienti: uno dei protagonisti è per esempio Cleve Jones, attivista gay che in Milk aveva il volto di Emile Hirsch e che qui ha inizialmente quello di Austin P. McKenzie, mentre da adulto sarà incarnato da Guy Pearce. Sono in ogni caso fuori discussione il trasporto e la passione immessi in When We Rise, così come la qualità della ricostruzione della San Francisco di 40 anni fa e la puntuale direzione dei giovani attori da parte di Van Sant.
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