Ospiti del RomaFictionFesto, l’argentino Juan Diego Botto e il belga Angelo Bison, figlio di genitori italiani, interpretano due assassini, molto diversi, nelle serie Good Behavior e Public Enemy. Riportiamo qui i passaggi più interessanti del loro duplice incontro con la stampa.
Angelo Bison
- In Belgio la questione della pedofilia e di questo tipo di mostri è molto sentita, specialmente dopo il caso di Marc Dutroux, che ha scioccato l’opinione pubblica: ci fu una grossa polemica perché le autorità e la polizia, durante la perquisizione, non trovarono le bambine che in quel momento erano ancora vive. Quando mi hanno proposto questo ruolo ho chiesto ai due giovani registi, Matthieu Frances e Gary Seghers, cosa volessero fare di questo personaggio e mi hanno risposto che volevano vedere l’uomo dietro il mostro. È una cosa che mi ha colpito perché trovo sia sempre prezioso indagare la complessità dell’essere umano.
- Io ho una lunga carriera teatrale e non avevo mai fatto Tv, anche perché nel Belgio francese la fiction è una cosa nuova, c’è stata La trêve e ora Public Enemy, ma prima era il deserto. Anche per fare il cinema in lingua francese bisogna sostanzialmente andare in Francia, ma io sto bene a Bruxelles e quindi mi sono immerso nel teatro. Ho chiarito subito con i due registi che questa serie pone una enorme responsabilità sulle mie spalle, perché è cruciale credere al personaggio, ma loro si sono fidati di me nonostante appunto il mio background sia soprattutto teatrale.
- Mi pare una cosa bellissima che il mio personaggio, Guy Béranger, sia stato messo in rapporto con la Fede cattolica, all’interno di un monastero, dove il perdono è al centro di tutto. Trovarmi circondato dai frati, ancorché interpretati da attori, è stata un’esperienza che mi ha colpito molto, perché sono di educazione cristiana. Béranger si trova a confronto con Dio, che però nella sua mente è un’idea incomprensibile, lui non capisce proprio la fede e l’amore di Dio, è come se fosse un’altra lingua. Non è stato facile per gli altri attori relazionarsi con me, perché il mio personaggio è impenetrabile, come un muro o uno specchio.
- Il ruolo di Béranger è stato difficile anche per me, perché ci sono stati molti memorabili assassini nella storia del cinema, da M - Il mostro di Düsseldorf a Il silenzio degli innocenti. Mi hanno detto di interpretare questo personaggio come se fosse in un altro mondo, senza emozioni. Ho fatto lunghe ricerche e dopo settimane di letture ho deciso che era abbastanza: era arrivato il momento di fidarmi di me stesso e dei registi.
- Avevo chiesto ai produttori se avessero previsto per me le guardie del corpo, visto che la Tv suscita emozioni molto forti ed entra direttamente nelle case. Ma mi sono sbagliato: la gente quando mi fermava per strada si complimentava, e per altro io ho anche due figli piccoli, uno di 3 anni e una di 4 mesi, così quando mi vedevano con loro faceva davvero uno strano effetto… Ho avuto la sensazione di aver aiutato i belgi ad affrontare questo orrore. Public Enemy è stata molto apprezzata anche in Francia, mi hanno premiato al festival Series Mania come miglior attore, dicendomi che la cosa più terribile è come non si possa fino in fondo odiare Béranger.
- La stagione 2 è in scrittura, le riprese inizieranno nell’estate.
Juan Diego Botto
- Il punto di partenza di questa serie è una protagonista, ex detenuta, con problemi alcol e droga. Torna a fare la ladra e, durante un colpo, incontra un killer a pagamento. Una coppia da cui scappare a gambe levate! Ho trovato che fosse però un inizio molto forte e mi piace che la serie, strada facendo, ci faccia affezionare a questi due personaggi. Come attore ho dovuto coniugare quello che è moralmente inaccettabile con tutti gli altri aspetti della vita del mio personaggio. Credo che il mistero dell’animo umano sia tanto più affascinante quanto più è oscuro.
- C’è un piacere inesplicabile nell’esplorare personaggi torbidi, che fanno cose socialmente inammissibili, perché tutti abbiamo i nostri demoni interiori. Come diceva Michelangelo della scultura, la forma è già nel marmo, va solo scavata e questo è uno dei piaceri del lavoro dell’attore.
- Il momento in cui si batte il ciak e si dice azione cancella per un attore ogni differenza tra i set cinematografici o televisivi, spagnoli o americani. Tutto quanto c’è attorno a quel momento è però molto diverso, a partire dal budget. È come la differenza tra giocare nel Real Madrid anziché nel Celta Vigo.
- L’associazione Hijos con cui collaboro è stata creata a Buenos Aires negli anni 90, dai figli di genitori desaparecidos durante la dittatura argentina: mio padre fu sequestrato e assassinato nel 1977. È molto difficile, come processo storico, arrivare ai responsabili di una dittatura, ma in Argentina ci si è riusciti per la gran parte dei colpevoli e sono in corso tutt’ora molti processi. Credo che ci siano pochi casi nel mondo di domande di giustizia sociale che hanno ottenuto la vittoria contro un male così impensabile.
- In Argentina ho partecipato ad alcuni progetti artistici molto interessanti, su tutti il teatro per l’identità, un movimento di attori, drammaturghi, registi, coreografi, tecnici e produttori che è una delle braccia artistiche dell’associazione umanitaria Abuelas de Plaza de Mayo, della quale fa propria la lotta. Questi spettacoli, portati per tutto il Paese, raccontano come molti bambini, nati durante la prigionia dei genitori, siano stati affidati a famiglie amiche della dittatura. Queste rappresentazioni aiutano a riflettere sulla propria storia personale ed eventualmente a riconoscere se si è stati vittima di questa sorte. Oltre 100 persone, delle 500 che hanno subito questo destino, hanno scoperto la verità su stesse grazie anche al teatro per l’identità. Personalmente ho scritto cinque opere teatrali su questi temi, l’ultima è stato anche premiata in Spagna e ho intenzione di adattarla per il grande schermo.
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