Poteva mancare pure il post riepilogativo ad opera del sottoscritto dell'edizione #34 del Torino Film Festival? Perdinci, sì. Ma beccatevelo lo stesso. Vi si vuole bene, dopotutto.
Sarò dunque sintetico e quanto più conciso (o era circonciso?!?) possibile.
È stata un'edizione nel complesso - tra concorso e le numerose sezioni collaterali - più che buona, naturalmente corredata di scoperte e sorprese, delusioni, lavori interessanti e altri meno. Molti francesi, molti nudi, tanto cibo spazzatura.
Dei 37 film visti (beh, se vi sembrano tanti, non avete presente il buon Alan Smithee che ne avrà visti tipo centocinquantadue in otto-nove giorni: he's a cyborg but that's ok), di cui 8 del concorso, ho trovato autentiche gemme e parimenti autentici ammassi d'idiozia, e diversa roba più che dignitosa. La conferma, ça va sans dire, è quella di un evento vivo e speciale, capace di raccogliere e convogliare le tante anime dell'eterogenea cinematografia globale, in particolare quella più "sotterranea".
I cinque preferiti (escludo, in quanto già conosciuto e visto più volte, il supercult nonché seminale Battle Royale), in ordine di bellezza:
1 - DAGUERROTYPE
2 - GOKSUNG - THE WAILING
3 - LAO SHI - OLD STONE
4 - ANIMAL POLITICO
5 - WE SIND DIE FLUT - WE ARE THE TIDE
(Ma notevoli anche Ma' Rosa, Rester Vertical, Les Fils de Jean e il vincitore del concorso, The Donor).
E i cinque peggiori, in ordine di orrendezza:
1 - SADIE
2 - I FIGLI DELLA NOTTE
3 - LAVENDER
4 - SUNTAN
5 - SAFE NEIGHBORHOOD.
La pioggia battente - pareva di stare in Seven, ma io so' più bello e fradicio de Bradpitt - che ha causato danni e problematiche varie, come noto, ha caratterizzato per almeno tre giorni le classiche traversate da un cinema all'altro e gli spostamenti tutti. Ma non ha fermato nessuno. Si sa, i cinefili sprizzano vigore e virilità da tutti i pori.
Quando il gioco si fa bagnato, i pulcini cominciano a sguazzare ...
Confermata infine la Notte Horror: sebbene inferiore a quella dell'anno scorso (sia per la qualità delle opere che per mere questioni organizzativo-logistiche) si è rivelata sempre un'esperienza di condivisione folle e fantastica. Da provare almeno una volta.
Di seguito la carrellata di tutti i film visti e relativo breve giudizio (inappellabile-inconfutabile-nun rompete), in rigoroso ordine cronologico di visione.
MARIE ET LES NAUFRAGES (Festa mobile)
Tipica commedia francese be confezionata che presenta personaggi simpatici colti in fasi particolari della loro vita. Opera discreta, condita di episodi efficaci e scene sopra le righe (pure troppo, alcune), dominata - più che dalla Marie del titolo - dalla verve implacabile di un Éric Cantona sempre divertente.
voto: 6
THE ARBALEST (After Hours)
Sotto forma di video-intervista, dai cui ricordi "strappati" emergono in flasback le fasi salienti di una sorta di epigono/alternativo di Rubik e del suo celeberrimo cubo, il ritratto della folle parabola di solitudine e paranoie di un egomaniaco sui generis. Curatissimo nella ricostruzione scenica, scenografica, ambientale, il film non riesce ad andare oltre la bizzarria della figura del protagonista.
voto: 5,5
PORTO (Concorso)
Ultimo lavoro interpretato da Anton Yelchin, deceduto pochi mesi fa, Porto, coproduzione ed esordio del regista Gabe Klinger, è un dramma sentimentale che vive in atmosfere rarefatte, sospese in una dimensione intima, melanconica, tra toni soffusi e suggestioni impressioniste-naturaliste, per mezzo di filtri ed effetti ottici che conferiscono un'estetica avvolgente. Sul versante narrativo, l'indagine delle dinamiche della vita di coppia non produce nulla di nuovo né particolarmente rilevante; buona l'intesa tra i due (bravi) protagonisti. Menzione speciale per Lucie Lucas, d'una bellezza da togliere fiato e sinapsi cerebrali (vista dal vivo, e da vicino, un paio di volte: fidatevi!).
voto: 6
SAM WAS HERE (After Hours - Notte Horror)
Capofila della magica maratona notturna, è un horror-thriller nel quale il protagonista si ritrova all'improvviso fagocitato in una classica situazione assurda a imbuto sempre più angosciante e terrificante, del quale - né lui né lo spettatore - si riescono a comprendere contorni e motivazioni. Dotato di una discreta tensione che il regista riesce a mantenere costante, il film disattende però premesse e promesse non riuscendo a giungere a nulla di concreto: i troppi fili ingarbugliano inutilmente la trama, mentre alcune scelte affossano inevitabilmente ogni credibilità e senso.
voto: 5
THE RETURN OF LIVING DEAD (I did it my way - Essere punk - Notte Horror)
L'episodio migliore e più divertente della maratona. Una dannatissima trashata consapevole e felicemente nonché fieramente idiota, un cult che scherza con il seminale romeriano seminando germi di stupidità e brandelli di scorrettezza tipica dei più spensierati anni ottanta. Humour di grana grossa, effettacci, personaggi zombi della recitazione: imperdibile. Diretto e velocissimo come un fottutissimo, scorretto pezzo punk.
voto: 7
SADAKO V KAYAKO (After Hours - Notte Horror)
Lo aspettavamo tutti, nevvero, l'epico scontro tra le due entità maligne di The Ring e The Grudge? Come no. Certamente. E cosa mai potrebbe uscirne fuori? Da prendere come divertissement (l'autoironia è indispensabile), altrimenti non se ne esce. Comunque godibile in alcuni (pochi) momenti.
voto: 5
GOKSUNG - THE WAILING (After Hours)
Filmone of the madonn e of the Satan. Nominalmente horror, brillantemente un eccezionale travalicamento di generi, topoi e confini. Pur molto lungo - il minutaggio va oltre le due ore e mezza -, tiene altissima l'attenzione dall'inizio alla fine, prendendosi inoltre rischi notevoli (le scene dei rituali dello sciamano altrove, in altri contesti e in altre mani, sarebbero state ridicole). Inserendo nella tradizionale ottica della cinematografia sudcoreana, anche quella più alta ed apprezzata, una sostanza demoniaca terrificante (tanto quanto più è inafferrabile, terrena, contigua), The Wailing riesce ad elevarsi a racconto morale indagatorio della fragile natura umana.
voto: 8,5
OUT OF LOVE (Torino Film Lab)
Altra pellicola a tema (le problematiche della vita di coppia: un leitmotiv tendente all'irritante ...), Out of Love si segnala per l'ambientazione mitteleuropea e per la credibilità narrativa e psicologica, ma il materiale è davvero risaputo e tutt'altro che necessario.
voto: 5
MERCENAIRE (Festa mobile)
Il rugby non si vede spesso al cinema, anzi ... Eppure è uno sport che potrebbe rendere benissimo la spettacolarità in un film. Mercenaire, pur volenteroso, non vi riesce (le sequenze di gioco non brillano affatto), ma d'altronde il senso risiede nel bisogno di mettere al centro una fauna umana immersa in una civiltà sempre più degradata e degradante. Buoni sia l'analisi introspettiva che la descrizione di animi e mondi (tra cui i territori poco battuti delle colonie francesi) alla deriva.
voto: 6,5
THE TRANSIGURATION (After Hours)
Ancora vampiri? Non proprio, o meglio, solo sulla carta, solo come catalizzatore di anime interrotte, e sulla filigrana metafilmica: la passione del giovanissimo per i succhiasangue, esplicitata tra citazioni e titoli vari, cela e si trasfigura in una ricerca identitaria famelica, un disagio e uno smarrimento percepibili, una psiche malata. Girato senza sussulti né scene madri sbattute urlando sullo schermo, The Transfiguration, ambientato nel pericoloso Queens, vive delle stesse atmosfere trattenute e inquiete (e naturalmente inquietanti) del gelido Lasciami Entrare. Protagonista bravissimo, finale emozionante. Una rivelazione.
voto: 7,5
GO HOME (Torino Film Lab)
Tra le opere più politiche de festival, Go Home parla delle ferite e delle fratture insanabili di un Paese enormemente segnato da eventi traumatici come il Libano. Partendo da una prospettiva piccola e intima: quella di una protagonista (Golshifteh Farahani, eccellente), determinata e parimenti disorientata, che ritorna in una terra e in una casa che nascondono ancora segreti laceranti.
voto: 7
POLAARPOISS THE POLAR BOY (Torino Film Lab)
Dramma giovanile girato in Estonia (l'unica particolarità del film), usa con faciloneria e pretestuosità la questione del disturbo bipolare per stendere l'ennesima vicenda di un amorazzo problematico, foriero di situazioni al limite e sentimenti "forti". Perdibile per quanto non bruttissimo.
voto: 4,5
CAINI/DOGS (Torino Film Lab)
Dalla Romania con furore un noir rurale durissimo in cui l'aridità, la rovinosità, l'assolante cupezza, la miseria dei paesaggi riflette quella interiore dei personaggi. Lento, troppo lento, è però solidissimo, implacabile nel descrivere una società ai margini, nell'intessere la consistente rete di disperazione e ineluttabilità dei destini. Geniale, azzeccatissima l'intuizione del non mostrare la scena clou: che il male abiti quella terra lo sappiamo già.
voto: 7
ANIMAL POLITICO (After Hours)
L'opera più "sovversiva" del festival, e non solo. Basta la sinossi (la mucca che entra in crisi esistenziale) per percepire la portata teorica del film. Teso tra toni grotteschi, spesso esilaranti, e suggesioni jodorovskyiane, Animal Politico è un viaggio iniziatico multiforme e stratificato nei territori sfuggenti dell'identità, un'esplorazione in punta di allegoria paradossale della coscienza e della conoscenza, una lettura politica e (po)etica dell'essere-Uomo. Ciò detto, la mucca è proprio adorabile.
voto: 8
SADIE (Festa mobile)
Brutalmente, una delle cose più sciocche e ridicole che si siano mai viste. Avete presente quali sono i peggiori pericoli che un thriller (pseudo)erotico potrebbe incontrare? Ebbene, questo cade platealmente in tutti, esplorandone anche di nuovi. Patinato e patetico, imbarazzante e sconvolgente (per la pochezza dello sguardo, per la piccolezza dell'immaginario), orripilante e depilato di qualsiasi senso, anche il più vagamente pretestuoso, Sadie non riesce nemmeno a capitombolare sul ridicolo involontario. Non c'è niente da ridere. Semmai, è lo spettatore a capitombolare di fronte a una visione che sembra uno spot di moda girato controvoglia e in stato di ebbrezza, il backstage di un servizio fotografico realizzato da un infante sotto benzodiazepine, il filmato amatoriale fatto per la pro loco (trattasi di prodotto finanziato dalla Torino Piemonte Film Commission, e si vede), Oltretutto, il regista, l'australiano Craig Goodwill - nel cui mondo evidentemente Eyes Wide Shut e Cinquanta sfumature di grigio e Melissa P. si equivalgono -, non sa manco sfruttare la bellezza e la generosità delle protagoniste Analeigh Tipton e la nostra Marta Gastini. Improponibile e inguardabile (se non fosse per l'indubbia avvenenza delle suddette fanciulle).
voto: 1,5
YOGA HOSERS (After Hours)
Dopo il brutto Tusk, che pure vanta molti sostenitori, Yoga Hosers è il secondo capitolo della trilogia ideata dal Kevin Smith di Clerks che si concluderà con Moose Jaws, già annunciato sui titoli di coda proprio di YH. Ripresi alcuni personaggi del primo episodio, come qualcuno ha (giustamente) malignato sembra più che altro un'operazione volta a dar lavoro alla propria figlia e a quella dell'amicone Johnny Depp (ritorna pure lui en travesti nei panni dell'investigatore Guy Lapointe): le sgallettate Harley Quinn Smith e Lily-Rose Depp. La "trama" è puro pretesto (e mesto testo), la cifra stilistica è la parodia-farsa, il surplus risiede nella partecipazione dei guest. Alla fine - ma è chiaro fin dall'inizio - il film si limita a stendere una peraltro poco ispirata battutistica su canadesi, nazisti e fissati dello yoga. I pochi momenti divertenti non giustificano l'operazione. Amen.
voto: 4
THE LOVE WITCH (After Hours)
Ovvero, The Dark Side of Strega per Amore. La procace, pungente Anna Biller compone il suo ritratto satirico, ferocemente femminile, sul mondo delle donne e degli uomini (il più sveglio è un idiota ...), del loro impossibile relazionarsi. Un caleidoscopio, quello dell'autrice, ultrakitsch e ipercromatico, pop e stilizzato, ideale e idealizzato, ruffiano e dannatamente sexy, divertentissimo e nostalgico. Troppo lungo - con mezz'ora di meno sarebbe stato meno ripetitivo e più efficace -, forse per il troppo amore della regista, The Love Witch conquista inevitabilmente anche per la bellezza irresistibile della protagonista Samantha Robinson (profilo e forme perfette, voce ammaliante, sguardo che provoca immediate, intuibili reazioni fisiologiche): non ci sarebbe bisogno di alcuna pozione magica per cadere preda, all'istante, del suo naturale richiamo magnetico.
voto: 7
LA LOI DE LA JUNGLE (Festa mobile)
Della serie: anche i francesi fanno robaccia. Narrano di un successo clamoroso oltralpe, probabile si tratti di un futuro soggetto remakizzato anche da noi, chissà, sta di fatto che si tratta di una farsaccia che procede per accumulo di personaggi e situazioni sempre più sciocche, sopra e fuori le righe di una qualsiasi sceneggiatura per commedie. Rari momenti divertenti, protagonisti conformemente simpatici e simpaticamente idioti, una netta sensazione di forzature ovunque e comunque. Lei, Vimala Pons, apprezzata per le indubbie doti fisiche, è la stessa di Marie et les naufrages. Evitabile.
voto: 4
MA' ROSA (Festa mobile)
La capacità di Brillante Mendoza di immergerci dentro il film, nel suo flusso magmatico e continuo costituito di riprese con la mdp a mano ed elaborati piani sequenza, è straordinaria. Un realismo naturale ed espressivo, finanche dolce, che rende la materia del racconto - tramite la figura di Ma' Rosa e la sua famiglia, in perenne lotta per la sopravvivenza - sempre convincente, viva, tangibile. Dura, crudissima, amara, dotata di una lucidità disarmante, l'opera di Mendoza scava nel profondo di una realtà nella quale corruzione materiale e morale, violenza e sopraffazione, sembrano aver raggiunto un punto di non ritorno, una stagnazione e una rassegnazione ancor più pericolosi. Magnifiche sequenze (l'arresto, il pestaggio nella stazione di polizia, la ricerca dei soldi per la cauzione) e contenuti alti.
voto: 8
SUNTAN (Festa mobile)
Non è che tutto quello che spunta fuori dalla Grecia sia necessariamente imperdibile. Suntan ne è la prova: opera mesta che sviluppa un soggetto che, tutt'al più, poteva andar bene cinquant'anni fa. Nessun approfondimento, personaggi lasciati in balia delle onde della mediocrità: è come un filmetto di bellezze al bagno qualunque con programmatica coda tragica. Non rimane nulla, alla fine, se non l'incanto dell'isola greca. Per chi si accontenta ...
voto: 4
SLAM - TUTTO PER UNA RAGAZZA (Festa mobile)
Applauditissimo in sala, manco fosse il primo film in assoluto a parlare di una coppia di giovanissmi alle prese con una gravidanza improvvisa e inaspettata. Oibò, giunge a pochi mesi di distanza da Piuma. Ma è un dettaglio, una coincidenza. Che sia tratto da Nick Hornby, che così tanto piace a produttori e registi, invece è scelta precisa e scaltra, una sorta di passe-partout per aprire le porte del grande pubblico. Francamente, di piani temporali sovrapposti (i viaggi nel futuro del ragazzo), di dialoghi così leggeri da rasentare l'inconsistenza, di figure sopra le righe e mai credibili, di mode prese random (nel caso, lo skateboard) solo come pretesto, non se ne può più. Bravi i giovani interpreti ma chi se ne frega: gli unici momenti davvero godibili sono quelli in cui è presente Luca Marinelli, pur macchietta, che si divora facilmente tutto e tutti. Ecco, fate un film solo con lui.
voto: 4,5
VETAR/WIND (Concorso)
Il senso del film risiede probabilmente nelle didascalie che, sui titoli di coda, informano della situazione che corre la baia nella quale è ambientato (l'ecosistema sarebbe a rischio). Ecco che quindi era necessario aggiungerci settanta minuti prima ... Non qualcosa di inguardabile e nemmeno brutto, ma la storia di questa ragazzina annoiata alle prese con un padre non acutissimo e una vacanza tutt'altro che memorabile, non contiene niente che non si sia già visto, niente che venga approfondito o portato su altri livelli. Non bastano i silenzi, non bastano la bella fotografia e lo scenario affascinante, né un paio di pezzi pop buttati lì per smorzare i toni. Tutto rimane in superficie, compreso il tanto sbandierato, mostrato vento, del quale non se ne percepisce alcun influsso o ruolo.
voto: 4,5
WE SIND DIE FLUT - WE ARE THE TIDE (Concorso)
Sorpresa. I film (anche) per giovani, con protagonisti giovani, si possono fare anche così. Qualcuno avverta Hollywood, per favore. Atmosfere alla Les Reventants e punti di contatto con Interstellar, per un mistery sci-fi dal volto umano che coniuga dramma e sentimento in maniera sempre credibile. Oltre la risoluzione del mistero, oltre la necessarietà della narrazione, oltre le pur presenti ingenuità di costruzione: We Are the Tide emoziona e coinvolge, forte di un racconto e una messinscena penetranti, di un'estetica magnifica e magnificamente malinconica (fotografia sugli scudi), di un commento sonoro incisivo, di un progressivo svelarsi come oggetto prezioso dopo l'abbassamento della marea. Da non perdere.
voto: 8
LAO SHI - OLD STONE (Festa mobile)
Opera incredibilmente intelligente che, sfruttando i classici meccanismi che vedono un individuo immerso in una situazione kafkiana, sempre più da incubo (ma terribilmente reale), illumina su interi pezzi di società avariata, destinata all'autoisolamento, al vuoto cosmico, a disgregarsi nelle sue fondamenta. Rappresentazione acuta, potente, intransigente, lucida, ammantata di un pessimismo che non lascia spiragli di luce, in Lao Shi l'ottima regia tiene altissimo il livello della tensione e il crescendo implacabile fino al stupefacente epilogo, l'unico possibile.
voto: 8,5
LE FILS DE JOSEPH (Onde)
Il cinema di Eugène Green - personaggio raffinato, intelligente, colto, capace di relazionarsi con il prossimo con naturale propensione al dialogo - è un oggetto alieno scagliato con grazia sul mondo di celluloide. La sua poetica assai personale lo conduce a immaginare, concepire e realizzare universi "altri": di difficile accesso, è però un attimo restarne imbrigliati, pur rimanendo le perplessità su linguaggio e linguistica, su pose e movimenti dei personaggi, sull'essenzialità ossessiva della ricostruzione scenica. Sin dal titolo, Le fils de Joseph enuncia e sfrutta riferimenti biblici per erigere la sua personalissima allegoria sulla paternità. Metafore, simboli, intermezzi apparentemente stranianti (i canti in chiesa), umorismo ricercato: un'esperienza diversa, una visione da fare.
voto: 6,5
DEMON SEED/GENERAZIONE PROTEUS (Cose che verranno)
Tratto da un romanzo di Dean Koontz del 1973, questo non proprio notissimo sci-fi del 1977 interpretato da Julie Christie è più curioso che riuscito. Il tema - la ribellione di un'intelligenza artificiale - è, come sempre, affascinante; per di più la collocazione temporale ne aumenta l'interesse (cosa se ne pensava quarant'anni fa e cosa ne è rimasto). Certo, la pellicola sgranata (decisamente non un effetto voluto come Tarantino per i suoi grindhouse) e i sottotitoli in olandese non hanno agevolato la visione; rimane il film, comunque. Demon Seed fatica ad andare oltre lo spunto, chiudendosi in una soluzione che flirta con gli stilemi dell'horror e rinunciando pertanto a qualsiasi opera di approfondimento e interpretazione della materia (ma dipenderà dalla fonte). Sufficientemente morbosa l'idea del computer che vuole figliare (con la Christie, chiamalo scemo!), chissà cosa ne avrebbe potuto ricavare David Cronenberg!
voto: 5,5
JUAN ZENG ZHE - THE DONOR (Concorso)
Piccola premessa, doverosa: ai titoli di coda, un "signore" in sala ha pensato bene di rendere pubblico il suo preziosissimo dissenso declamando uno sdegnoso "VERGOGNA!". Ora, per quanto mi riguarda, vieterei e punirei severamente qualsiasi manifestazione di sofferenza o protesta o altro (già che gli applausi li tollero a malapena). Niente sentenze, niente ululati o grida o lancio di oggetti: fatelo al bar, a casa vostra, in bagno. Non interessa niente a nessuno della vostra opinione. Grazie.
Il film vincitore del concorso è un ritratto accurato e penetrante di una società - l'iperattiva millenaria Cina - che vede sempre più distanti i rapporti di forza tra i vari ceti. Interrogativi morali alti, sviluppati con forte ma sempre calibrato senso del dramma, narrazione intelligente e credibile, cura sincera dei personaggi e una messa in scena rigorosa fanno di The Donor un'opera da difendere e diffondere.
voto: 8
I FIGLI DELLA NOTTE (Concorso)
A seguito della visione di questo film i sospetti diventano praticamente certezze: ok, se il regista non si fosse chiamato così, glielo avrebbero mai fatto girare? Oibò, I figli della notte è un filmettino senz'anima e senza senso alcuno, un concentrato di brutture e mancanza di ispirazione da togliere il fiato, senz'altro più delle belle location innevate (l'unica cosa da salvare). Il regista accumula spunti - nessuno dei quali minimamente originali - e li lascia in uno stato di abbandono che lascia attoniti (i bulli? il professore ambiguo? il bordello? i suicidi? il rapporto con la madre?): una povertà di scrittura disarmante (emblematico l'inspiegabile cambio di comportamento del protagonista), che si accompagna a scene terrificanti (la fuga sulla neve), a una conduzione generalmente pessima. Da evitare come il peggiore dei collegi per soli maschi (o per sole femmine).
voto: 2
LA MÈCANIQUE DE L'OMBRE (Concorso)
Solidissimo thriller dai palesi richiami ai capisaldi del genere degli anni settanta, La mècanique de l'ombre vive nell'/dell'interpretazione impeccabile del sempre ottimo François Cluzet. Racchiuse nei suoi occhi, nei suoi sguardi, nei suoi gesti, tutte le paure e le incertezze di uno scenario progressivamente più intricato, angosciante, senza scampo. Cedimenti solo nel finale.
voto: 6,5
LES FILS DE JEAN (Festa mobile)
Philippe Lioret (Welcome; Tutti i nostri desideri) è una garanzia. La maniera in cui mette in scena un soggetto che, in mano ad altri genererebbe drammoni sentimentali urlati e leziosi, è da manuale: Les fils de Jean brilla per la cura della storia e dei personaggi, per il controllo e l'intensità della carica emotiva, per la delicatezza del tocco, per la misura nei passaggi più forti, per non cedere in facili tentazioni, mai (chi cerca scene madri o isterismi di sorta volga lo sguardo altrove). Messinscena essenziale, interpretazioni convincenti ed equilibrate, riflessioni non scontate sulla paternità, un finale sincero commovente. Da non perdere.
voto: 7,5
BATTLE ROYALE (Cose che verranno)
Siamo dinanzi a un'autentica pietra miliare della fantascienza distopica. Che sia stato bellamente saccheggiato da tristi figuri per le loro inutili e sciocche produzioni da catena di montaggio per young adult (Hunger Games) è giusto un riconoscimento, l'ennesimo. Iperviolento ed eccessivo, ironico e iconico, caricaturale e durissimo, Battle Royale, traboccante scene forti e sospensioni nel grottesco più esilarante, riflette a suo modo sulle storture e sui vizi della società moderna, sul ruolo dei giovani e quello degli adulti. Avendo, come totem, l'impagabile, immarcescibile Beat Takeshi. Da gustare più e più volte.
voto: 9
LAVENDER (After Hours)
Ecco il thriller-horror "gotico" di cui non si sentiva il bisogno. Ultraderivativo e convenzionale fino alla noia, ha come scopo unico quello di affastellare come non ci fosse un domani né un altroieri stereotipi e colpi di scena (intuibili, ma tant'è) fino alla rivelazione finale. Che, arrivati lì, non interessa minimamente a nessuno. Evitabile (come una casa infestata di idioti).
voto: 3
TURN LEFT TURN RIGHT (Concorso)
Senz'altro il film più ostico da affrontare. Suddiviso in dodici capitoli - dei quali alcuni di puro "stacco", tra sonorità tipiche cambogiane e discutibili performance danzereccie -, Turn Left Turn Right fa della sua rappresentazione antinarrativa (ma anche del suo limitato minutaggio ...) un punto di forza e di partenza per la costruzione sia del testo (il rapporto tra figlia e padre in fin di vita) che dei contenuti (il pensiero è rivolto alla società e alla storia della Cambogia). Visivamente interessante e musicalmente straniante, è opera che va letta e vista oltre la superficie.
voto: 7
LES DERNIERS PARISIENS (Concorso)
Pigalle, Parigi. Un bar e due fratelli di etnia magrebina, di cui uno appena uscito di prigione. Premesse (e promesse) di un componimento tosto, aspro, che non fa sconti né facili concessioni. Non solo i legami familiari ma anche l'ambiente criminoso e l'impossibilità di uscire da certi confini: se le tematiche di Les derniers parisiens possiedono carica vibrante, altrettanto lo sono la regia - vigorosa, concreta - e la direzione degli attori. Bravi i due protagonisti, con la splendida Mélanie Laurent a fare da collante. Il (lieto) finale sorprende.
voto: 7
RESTER VERTICAL (Festa mobile)
Da Alain Guiraudie, regista del celebrato Lo sconosciuto del lago, un racconto denso e stratificato, non di agevole lettura e approccio, che mette al centro un individuo alla perenne ricerca di sé, del proprio ruolo nel mondo, della propria sessualità e degli eventi e le avversità che ne contraddistinguono l'esistenza. Sceneggiatura coraggiosa, corposa e rappresentazione che sa osare, senza scadere nel sensazionalismo o nella pretestuosità. Contiene la sequenza più umana, profonda e sincera vista in tutto il festival (il "particolare" suicidio assistito, mentre i Pink Floyd in accompagnamento diegetico, sparati ad alto volume, ne espandono intensità e vibrazioni), soggetta inevitabilmente a discussioni e controversie (hey, un Disney in sala lo si trova sempre!). Peccato soltanto per la chiusa, protratta evidentemente per esplicitare il senso del titolo (che si era capito benissimo): un minuto di meno e avremmo avuto un'inquadratura altamente simbolica, perfetta.
voto: 7,5
DAGUERROTYPE (Onde)
Dal regista cult Kiyoshi Kurosawa (del quale conoscevo solo Doppelganger) il film più bello del festival e tra i migliori dell'anno. Prima produzione europea per l'autore giapponese, Daguerrotype (ma quanto suona magnificamente bene il titolo originale, Le Secret de la chambre noire?) è una storia evocativa e struggente di pulsioni angosciose e ossessioni brucianti, di apparizioni fantasmatiche e donne ritornanti che sarebbe piaciuta a Edgar Allan Poe. Film che, come un dagherrotipo, cattura l'anima dei personaggi fissandola su pellicola per farne uno studio complesso e vivo, pirandelliano, umanissimo, sulle immagini, su come queste riflettano la (una) realtà mistificandola, alterandola, trascendendola. Commovente e coinvolgente, regia di altissimo livello (stupefacente la sequenza della caduta dalle scale, tra le altre), atmosfere avvolgenti e ambigue, portata teorica notevole, interpretazioni sublimi (di Tahar Rahim, Constance Rousseau, Olivier Gourmet): da vedere e rivedere, studiare e immergercisi.
Voto. 9
SAFE NEIGHBORHOOD (After Hours)
Mettiamola così: se foste un quasi tredicenne infoiato con una cotta per la sexy bionda babysitter e, siccome siete un tantino disturbati, l'avete immobilizzata per farle chissà cosa, quale sarebbe esattamente la primissima azione da compiere? Già, vederla nuda, tipo. Ok, chiaro: le canzoncine e l'atmosfera natalizia, il target di riferimento, la distribuzione eccetera sono una risposta più che sufficiente. E allora accontentiamoci pure delle battutine sceme, dei siparietti da sitcom, del gore una tantum, della storiella che procede spedita tra colpi di scena e situazioni posticce che rivelano una scrittura ridotta ai mini termini. Disinnescato, con un colpo di coda che il regista riterrà geniale ed invece è patetico, l'unico punto a favore (ovvero il trionfo del cattivo). Ma per favore. Dimenticabile.
Voto: 3
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