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Venezia 2016: Giorno 2 - Cianfrance, Villeneuve, Wenders e Murray
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La prima giornata di proiezioni ufficiali di #Venezia73 si preannuncia ricca di titoli che rispecchiano il mood di quest’anno che vede registi di vecchia leva confrontarsi con i nomi della nuova generazione di cineasti. Se da un lato portabandiera della tradizione potrebbe essere considerato ad honorem Wim Wenders, dall’altro lato si confrontano i nuovi “maestri” Cianfrance e Villeneuve e la scoperta Christopher Murray.

Ma procediamo con ordine.

 

Primo film della giornata è La luce sugli oceani di Dereck Cianfrance. La luce sugli oceani racconta come negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, in un posto sperduto dell'Australia, Tom Sherbourne, un veterano traumatizzato, si dedichi al suo nuovo lavoro di guardiano del faro e abbia intenzione di rimanere da solo, almeno fino a quando non incontra Isabel Graysmark, una giovane donna in lutto per aver perso due fratelli nel conflitto. Nonostante gli ostacoli, il loro amore fiorisce e ben presto i due si sposano. Pieni di passione e sentimento, cercano di mettere sù famiglia ma il destino ha in serbo per loro altri piani. Poi, una notte, una misteriosa barca porta a terra un uomo morto e una neonata, scatenando una catena di decisioni che porteranno nella vita dei due devastanti conseguenze.

Con la direzione della fotografia di Adam Arkapaw, le scenografie di Karen Murphy, i costumi di Erin Benach e le musiche composte da Alexandre Desplat, La luce sugli oceani è la trasposizione dell'omonimo romanzo di M.L. Stedman, che dopo essere stato pubblicato nel 2012 ha riscosso un enorme successo internazionale per il suo racconto tanto bello quanto straziante su una coppia chiamata a fare i conti con un destino avverso e con la realizzazione dei loro combattuti sogni tra la durezza della realtà e le conseguenze di difficili scelte. Amore, dilemmi morali e scelte impossibili si fondono in La luce sugli oceani per dare corpo a questioni (moderne) su cosa è giusto e cosa è sbagliato, sugli effetti della guerra e della pace, sulle meraviglie dei rapporti umani e sui pericoli dei segreti, nonostante le vicende prendano le fila da situazioni quasi archetipiche: una fuga in un'isola sperduta, una storia d'amore che si scontra con le costrizioni della società, una neonata trovata in riva al mare e una donna che piange la scomparsa del marito e della figlia.

Non è un caso che la dualità della storia si rifletta anche nella località in cui è ambientata: Janus Rock, un'isola chiamata così in onore del dio bifronte romano Giano. Come Giano, i personaggi di Tom e Isabel si muovono costantemente tra due poli: tra un passato tormentato dalla distruzione della guerra e un futuro che immaginano insieme; tra il nascondersi dalle tenebre del mondo e l'inseguire lo sfarfallio della luce; tra il fare ciò che al momento sembra giusto e il vedere cosa è giusto veramente.

 

Tema decisamente diverso è quello affrontato da Denis Villeneuve con il thriller fantascientifico Arrival. Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sul nostro pianeta, per le susseguenti investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall’esperta linguista Louise Banks (Amy Adams). Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una Guerra globale, Banks e il suo gruppo affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte – e per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana.

“Sognavo di fare un film di fantascienza già dall’età di dieci anni - spiega il regista Denis Villeneuve, che si è letteralmente innamorato del breve racconto sui cui si basa Arrival, ‘Story of Your Life’ di Ted Chiang - credo che questo genere possieda il potenziale ed i mezzi per esplorare la nostra realtà in modo molto dinamico”.

“Dopo essere stato contattato per la prima volta da Dan Levine e Dan Cohen per la realizzazione del film - dice Chiang - mi fecero arrivare un DVD del film di Denis, Incendies (2010), così che potessi farmi un’idea di quello che avevano in mente. Questo ha giocato un ruolo importante nella mia decisione di farmi coinvolgere nel progetto. Se mi avessero mandato una copia di un film di fantascienza convenzionale di Hollywood, probabilmente li avrei ignorati. Solo qualche anno dopo, Denis venne scritturato per dirigere il film ma era lui il regista che avevano in mente già dall’inizio”. Villeneuve si è avvicinato ad Arrival in modo diverso per una certa serie di motivi. Sebbene pensasse che ‘Story of Your Life’ era un “materiale fantastico”, semplicemente non aveva tempo per scrivere la sceneggiatura perché si trovava impegnato con le riprese di Prisoners (2013). “Non avevo tempo per scrivere una sceneggiatura - dice Villeneuve - e, ad essere onesti, non sapevo neanche affrontare quel racconto breve perché è molto intellettuale, in modo forte e bellissimo, ma da un punto di vista del dramma era un po’ difficile da articolare perché parla di processi particolari”.

“Ciò che amo del racconto è il fatto che contiene diverse sfaccettature -  spiega Villeneuve - quella che mi ha toccato di più è il contatto con la morte di qualcuno. Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete? Quale sarebbe il vostro rapporto con la vita, l’amore, la famiglia gli amici e la vostra società? Essere maggiormente in relazione con la morte, in modo intimo con la natura della vita e le sue   sfumature, ci farebbe diventare più umili. L’umanità adesso ha bisogno di questa umiltà. Ci troviamo in una era in cui regna il narcisismo. Siamo ad un punto in cui siamo pericolosamente scollegati alla natura. Questo è ciò che il racconto breve ha significato per me - un modo per tornare ad avere un rapporto con la morte, la natura e il mistero della vita”.

 

Wim Wenders torna invece a trasporre per il cinema un’opera dello scrittore Peter Handke, Les beaux jours d'Aranjuez: un bel giorno d’estate, un giardino, una terrazza, una donna e un uomo sotto gli alberi, con una dolce brezza estiva. In lontananza, nella vasta pianura, la silhouette di Parigi. Comincia una conversazione: domande e risposte tra la donna e l’uomo. Riguardano le esperienze sessuali, l’infanzia, i ricordi, l’essenza dell’estate e le differenze tra uomini e donne, riguardano la prospettiva femminile e la percezione maschile. Sullo sfondo, nella casa che si apre sulla terrazza, sulla donna e sull’uomo: lo scrittore, nell’atto di immaginare questo dialogo e di scriverlo. O forse è il contrario? Forse sono i due personaggi, lì in fondo, che gli dicono cosa mettere sulla carta: un lungo e definitivo dialogo tra un uomo e una donna?

Sottolinea Wenders: “Les beaux jours d’Aranjuez mette in scena un dramma di un amico di lunga data, Peter Handke. Il sottotitolo è Un dialogo estivo. Raramente è stata messa in evidenza in modo così chiaro la natura della differenza tra uomini e donne e quanto essi divergano per aspirazioni, aspettative e visione del passato. E come, nonostante ciò (o a causa di ciò) il dialogo diventi tanto accattivante. È un duello, un gioco a domande e risposte. La condizione fondamentale: onestà incondizionata. Gli attori Sophie Semin e Reda Kateb conducono questo commovente dialogo in maniera stupefacente, mentre gli alberi intorno a loro, la vista sulla pianura dell’Ile-de-France verso Parigi all’orizzonte, diventano lo sfondo di questo dramma intimo e inquietante”.

Reda Kateb, Sophie Semin

Les beaux jours d'Aranjuez (2016): Reda Kateb, Sophie Semin

 

Il quarto titolo del concorso è infine El Cristo ciego del cileno Christopher Murray. La storia ruota intorno a Michael, che è convinto di aver avuto una visione divina nel deserto. I vicini non gli credono e lo considerano folle. Una sera un suo amico d’infanzia subisce un incidente in un lontano villaggio. Michael abbandona ogni cosa per intraprendere a piedi nudi un pellegrinaggio nel deserto con l’intento di guarire l’amico mediante un miracolo: sarà un viaggio che attraverserà la disperazione di una società bisognosa di fede. Come annota Murray: El Cristo ciego è un film su come la fede sia un modo per sopravvivere in un contesto ad alto rischio sociale. La storia di Michael ha luogo nel deserto del nord del Cile, la zona più religiosa del paese e in un posto con una drammatica realtà sociale, in cui le multinazionali hanno provveduto a sfruttare le risorse minerarie e a privare la gente di tutto ciò che meritavano. Per capire meglio i conflitti in vigore, tutti i personaggi del film è gente della zona che condivide la propria storia e ritrae se stessa. In tal modo, si ha una rappresentazione di forte verità. L’unico professionista è Michael Silva, ma anch’egli è natio di quella regione e ha uno stretto legame con la fede, come il pellegrino che ritrae.

Per me, El Cristo ciego è una storia singolare su un giovane che cerca di affrontare la dura realtà ricorrendo all’uso del miracolo e sul modo in cui le comunità trovano uno scopo al suo viaggio. Senza professare nessuna particolare religione, l’ho realizzato perché sono convinto che solo ponderando la fede si possano superare i conflitti sociali che hanno da sempre storicamente fatto da piaga per il mio paese e la mia società, formando deserti che hanno segnato la nostra umanità”.

Michael Silva

El Cristo ciego (2016): Michael Silva

 

Oltre ai film in concorso, una miriade sono i film che giornalmente vengono proiettati al Lido. Per rendere più agevole la vostra lettura, raggrupperemo le recensioni del giorno prima e i post "Diario di bordo" nel nostro daily. Sotto trovate le recensioni dei film visionati ieri:

La La Land - Recensione di Spaggy

La luce sugli oceani - Recensione di Maghella

La luce sugli oceani - Recensione di EightAndHalf

L'estate addosso - Recensione di Supadany

Quit Staring at my Plate - Recensione di Alan Smithee

The War Show - Recensione di EightAndHalf

The Net - Recensione di Yume

Appuntamento per la sposa - Recensione di Spaggy

I Called Him Morgan - Recensione di EightAndHalf

Caffè - Recensione di Alan Smithee

Hounds of Love - Recensione di Supadany

Hearstone - Recensione di Alan Smithee.

 

Diario di Bordo a Venezia: Giorno 1 di Maghella

 

 

 

 

 

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