Penultimo giorno di proiezioni stampa per il Festival di Venezia 2015. A grandi linee, i giochi sono oramai fatti: mancano all’appello solo tre titoli in concorso, di cui uno italiano. Oggi è il turno degli ultimi due stranieri in concorso, chiamati a scompigliare quelle carte che danno per vincitori assodati uno tra Sokurov e Skolimowski.
Ad aprire le danze in mattinata è Remember di Atom Egoyan. Remember è la storia di Zev, il quale scopre che la guardia nazista che ha assassinato la sua famiglia circa settant’anni prima vive in America sotto falsa identità. Nonostante le evidenti difficoltà, Zev intraprende una missione per farsi giustizia, un atto a lungo rimandato, con le proprie mani tremanti. Ne scaturisce un viaggio attraverso il continente dalle conseguenze sorprendenti. Commenta il regista: «Questa è una delle ultime storie che, ai giorni nostri, si possono raccontare sul capitolo più buio della nostra storia. Remember riguarda i sopravvissuti, sia vittime che carnefici. Il contesto è quello del bisogno di vendetta, ma la narrazione riguarda un trauma inaspettato e gli effetti che questo ha sulla vita del protagonista. Zev è uno scrigno di storia, e il fatto che stia perdendo la memoria è affascinante. È ancora responsabile delle sue azioni? Che cosa significa essere responsabili? Che cosa significa cercare giustizia? Nell’ultimo anno sono stati scoperti molti ex nazisti. Sono ancora dei mostri? Lo sono sempre stati? Sono queste le domande che spero il film riesca a far sorgere. Non ci sono risposte semplici. Questo è ciò che definisce la nostra umanità». Per chi volesse saperne di più sull’opera, prossimamente distribuita nelle nostre sale da Bim, rimandiamo all’extra presente nella scheda a esso dedicata.
Partecipare alle conferenze stampa del festival di Venezia è un’esperienza che ogni cinefilo dovrebbe fare prima o poi nella vita. Non tanto per quanto concerne il dibattito che accompagna la presentazione dei film e le domande a cui registi, attori e produttori, si sottopongono. L’aspetto più interessante è dato dalla giungla di individui che si incontrano tra gli spalti dei giornalisti. Casta surreale che si crede depositaria di verità assolute, quella del giornalista a Venezia è una figura spesso surreale e grottesca, a cui prima o poi qualcuno dovrebbe dedicare un film satirico. Si, perché tra gli spalti infoiati od orgasmici, è possibile vedere chi approfitta delle conferenze per disegnare caricature nei propri notes, chi per rifarsi il trucco e chi è lì semplicemente per star seduto e riposarsi. Stupisce poi anche l’abitudine di non lasciar nemmeno terminare le conferenze per fiondarsi davanti a registi e attori alla ricerca di una foto, di un selfie o di un autografo. Nei casi più assurdi, vedasi con De Palma ieri, si arriva anche a determinare in anticipo l’uscita del cast a causa dell’impossibilità di gestore la situazione.
Jake Paltrow, Brian De Palma, Noah Baumbach
Il secondo titolo del concorso odierno è invece Behemoth di Liang Zhao, documentario sui lavoratori della Mongolia che al Lido arriva monco dell’installazione sullo stesso tema che il regista e artista visivo porta in giro per il mondo da un paio di mesi. Spiega il regista cinese: «Sotto il sole, la celestiale bellezza delle distese erbose sarà presto consumata dalla polvere delle miniere. Tra le ceneri e il frastuono causati dalle pesanti attività minerarie, i pascoli si riducono e ai pastori non resta che partire. Al chiaro di luna le miniere di ferro sono illuminate a giorno. I lavoratori che azionano le trivelle devono rimanere svegli. È una dura lotta, contro le macchine e contro se stessi. Nel frattempo, i minatori sono occupati a riempire di carbone i camion. Con indosso una maschera di polvere, diventano creature simili a fantasmi. Un’infinita coda di autocarri trasporterà i minerali di ferro e di carbone alla fonderia, dove è intrappolata un’altra folla di anime che brucia all’inferno. All’ospedale, il tempo si accumula, sospeso nelle mani dei minatori. Dopo decenni passati a respirare la polvere di carbone, la morte è dietro l’angolo, e loro vivono un’esistenza da purgatorio. Ma alla fine non ci sarà nessun paradiso.
Il comportamento umano si contraddistingue per follia e assurdità. Non siamo mai riusciti a liberarci dall’avidità e dall’arroganza, così il viaggio a spirale della civiltà si viene a riempire di deviazioni e regressioni. Sembra di essere posseduti da una forza mostruosa e invincibile, invece siamo noi a creare questa bestia invisibile. È la nostra volontà; siamo al tempo stesso vittime e carnefici. Nella Divina Commedia, Dante attraversa in sogno l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. In Behemoth mi sono ispirato a Dante e ho descritto un’enorme catena industriale, in cui i colori rosso, grigio e blu rappresentano rispettivamente i tre regni danteschi. Attraverso lo sguardo contemplativo del film, analizzo le condizioni di vita dei lavoratori e l’insensato sviluppo urbano. È la mia meditazione critica sulla civiltà moderna, in cui si accumula ricchezza mentre l’uomo perisce».
Tra gli altri titoli della giornata vi sono anche La calle de la amargura di Arturo Ripstein, I ricordi del fiume dei fratelli De Serio, A Copy of My Mind di Joko Anwar, Free in Deed di Jake Mahaffy e Bagnoli Jungle di Antonio Capuano, titolo di chiusura (fuori concorso) della Settimana della Critica.
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