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This is the End, come il nuovo cinema racconta l'Apocalisse
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Ci sono epoche nella nostra storia in cui la Fine la si è sentita più vicina, non dico prossima, ma possibile, probabile.
Ora, senza scomodare la paura dell’anno 1000 o altri periodi lontanissimi nel tempo, qui di cinema si parla e il cinema esiste da poco più di un secolo.
Se devo pensare quindi a un periodo di estremo terrore che l’umanità ha avuto per la propria fine penso a quello successivo alla Seconda Grande Guerra, con quel mondo uscito malconcio da una santabarbara terribile e piombato in anni di solo apparente tranquillità e forzata ricostruzione.
Guerra Fredda la chiamavano, ma gli animi delle persone erano invece caldi come non mai, e impauriti, forse, come non mai.
E anche il cinema iniziò così a raccontare l’Apocalisse depurandola, nella maggior parte dei casi, dal suo significato originale religioso per renderla molto più umana, molto meno trascendentale. Sì, è vero, magari si nascondeva la paura della bomba atomica travestendola da attacco alieno o da qualcos’altro, ma l’uomo non aveva tanto paura di perdere la propria anima ma un’altra cosa, magari meno profonda e importante per qualcuno ma certamente più concreta, la propria vita.
E adesso ci troviamo in un’altra epoca in cui il cinema sembra avere nuovamente la necessità di raccontare la Fine (o la paura di essa) e stare qui a dire il perchè mi sembra davvero superfluo visto che mai come in questi anni si ha paura della fine di qualsiasi cosa, che sia quella del mese, quella dei valori, quella della propria vita o quella dello stesso Pianeta.
E, come una sineddoche, si sta avvicinando la fine dell’anno, piccola matrioska di una serie infinita, tante piccole fini di una grande Fine che speriamo non avvenga mai, per questo ho deciso di fare questa puntata.
 
(molti titoli sono linkati e rimandano alla recensione estesa)

Credo che siano tre le discrimanti più grandi in questa categoria di film, e sono il “come”, il “quando” e lo stile.
Con il primo mi riferisco alla scelta del regista di come (appunto…) far arrivare l’Apocalisse.

Un attacco nucleare? Un virus zombesco? una catastrofe naturale? un attacco alieno? l’impatto di un asteroide? o magari l’arrivo di qualche mostro distruttore?
Insomma, se vogliamo fare qualche esempio blockbusteriano recente per ogni sottocategoria parleremmo di World War Z per gli zombie, 2012 per i disastri naturali, deii terribili Skyline o World Invasion per l’attacco alieno, del leggermente più datato Armageddon per il disastro “spaziale” e di Godzilla per i monster movie.
Non è che ci si possa muovere molto dalle “modalità” descritte qua sopra, anche se in questi ultimi anni abbiamo comunque avuto film che hanno provato a raccontare la nostra fine in maniera diversa e un pò più originale.
Penso ad esempio all’ottimo I Figli degli Uomini di Cuaron dove l’umanità è condannata a scomparire a causa dell’infertilità globale (film che galleggia quindi tra l’apocalittico e il distopico) o al discreto Doomsday (gran primo tempo, pessimo secondo), in cui abbiamo sì un virus ma che, con buona pace degli zombie, molto più realisticamente si limita ad uccidere gli uomini.

Le maglie sono ancora più strette nella seconda sottocategoria, ossia il “quando”.
Qua c’è poco da fare, esiste solo il Prima, il Durante e il Dopo.
Per “Prima” intendiamo giocoforza l’ “appena prima”, ovvero quel lasso di tempo più o meno lungo che precede l’arrivo dell’Apocalisse, in qualsiasi forma essa si presenti poi.

Il Durante è l’Apocalisse stessa ovviamente. Qua troviamo praticamente tutti i film considerati “catastrofici”, ossia quelle pellicole che per prima istanza hanno la volontà di mostrare la distruzione del pianeta o, ad esempio nei film zombeschi o pandemici, la distruzione degli uomini. Se vogliamo essere cattivelli in questa sottocategoria troviamo quasi tutto il cinema apocalittico hollywoodiano, recente e non, che ha sempre (avuto) bisogno di mostrare più che può, fare spettacolo.
A partire dai cult di genere Independence Day, The Day after tomorrow e del sopracitato Armageddon il cinema mainstream americano ha quasi sempre preferito raccontare la catastrofe usando più effetti speciali (ora visivi) possibli anzichè soffermarsi sull’Uomo e sulle dinamiche che lo muovono in condizioni così critiche.
Per questo il momento che trovo più interessante è quello del Dopo, architrave del famoso filone post-apocalittico, quando ormai il disastro è già avvenuto. e, in maniera più o meno spettacolare, si racconta di come l’uomo sopravviva nelle macerie, reali e metaforiche che siano.
In questa categoria ho amato follemente The Road, film (quasi) senza speranza in cui l’umanità prova ad andare avanti solo per amore della vita, senza quasi avere prospettive. Film malinconico, terribile, secondo me sottovalutato. Trovo molto più devastante un’umanità che ha perso tutto e non ha più speranze rispetto a quella che sta per affrontare una catastrofe che l’annienterà. A volte sopravvivere è peggio di morire.
Ovviamente l’appena prima, il durante e il dopo molte volte sono presenti nello stesso film, magari non tutti e 3 insieme, ma a coppie (l’appena prima-durante e il durante-dopo).
Curioso il caso del recentissimo These Final Hours, piccolo film australiano in cui l’appena prima e il durante (scusate per la ripetitività di questa terminologia ma lo faccio per capirsi) sussistono contemporaneamente visto che la Terra sta per essere spazzata via continente dopo continente, e l’Australia sarà l’ultima della lista. La fine è quindi già in corso ma per gli australiani ci sono ancora 12 ore di vita senza alcuna possibilità di salvezza, il resto del Mondo è già scomparso nel fuoco. Qualcuno decide di fare una mega festa finale dove bere, sballarsi, far sesso e divertirsi brindando alla Morte. Ma c’è ancora qualcuno che in queste 12 ore scoprirà sentimenti mai provati prima.
A volte poi il Dopo è lontanissimo nel tempo, decenni o centinaia di anni dopo, come nel terribile After Earth (marchetta per Will Smith e figlio) o nell’ottimo e originalissimo Snowpiercer, in cui l’umanità sopravvissuta ad una glaciazione vive tutta in un unico treno che fa il giro del mondo, un treno diviso in classi, il Creatore nella locomotiva, la feccia nell’ultimo vagone.
Prima di affrontare l’ultima macrodistinzione, quella riguardo lo stile, volevo ricordare tre piccolissimi film italiani che in qualche modo, senza praticamente avere una lira, raccontano più o meno direttamente la fine del mondo.
Sono L’Arrivo di Wang dei Fratelli Manetti, L’ultimo Terrestre, opera prima del fumettista Gipi, e La notte eterna del coniglio, un piccolo film tutto ambientato in un bunker anti-atomico.
Mentre il secondo, quello di Gipi, è un’opera profondamente umana, tenerissima (ma che sa anche raccontare la crudeltà degli uomini) e che parla della fine più in maniera umana e metaforica che altro, gli altri due sono soggetti che, a mio parere, gli Americani dovrebbero fare a botte per accaparrarseli. Unità di luogo, unità di tempo, unità d’azione, ovvero come la mancanza di mezzi costringe i registi ad affidarsi ad Aristotele.
Ma ce ne fossero di idee così.
Voglio anche citare il sottovalutatissimo Facciamola Finita, una commedia passata come grezza, pecoreccia e banalotta ma che io ho trovato al contrario geniale, intelligentissima, pungente e addirittura più profonda di quello che si possa pensare.

Ed eccoci così allo stile, categoria che in realtà si muove trasversalmente alle due già affrontate visto che qualsiasi scelta fai di soggetto e sceneggiatura, poi sempre uno stile dovrai dare.Sì, perchè una volta scelto il come far finire il mondo, una volta scelto che momento mostrare, c’è anche da scegliere come mostrarlo.

Ed è qui che si inserisce, accanto al catastrofico et similia, il filone dell’apocalittico esistenziale, umano, ovvero quello che cerca di staccarsi dal metodo fracassone e spettacolare.
E così a fianco di Godzilla ci può essere anche un Monsters, ossia un film di mostri giganti che tiene questi ultimi sullo sfondo, preferendo dare spazio a una coppia di uomini, lui e lei, che lottano per la loro sopravvivenza. Quasi incredibile il fatto che questi due film abbiano lo stesso regista…
E così accanto ad Io sono Leggenda, 28 giorni dopo o qualsiasi altro film con virus o pandemie, c’è anche il piccolo Carriers, pellicola quasi essenziale, scarna, profondamente umana, che si limita a seguire on the road un piccolo gruppetto di amici non ancora contagiati che va alla ricerca della cura e della speranza.
E così accanto ad Armageddon c’è il superbo Melancholia, un trattato trierano sul mal di vivere che ha in quel pianeta che si avvicina al nostro per distruggerlo la metafora della morte individuale e collettiva, il reificarsi della depressione cosmica dalla sua protagonista, Justine.
E Melancholia riesce anche in un paradosso. E’ il film che mostra meno dell’Apocalisse ma è quello che subirà quella più devastante, quella definitiva.
Quella che dietro di lei lascia solo uno schermo nero.

 

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