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Venezia 2014 - Giorno 4: Cuori, grandi navi e Belluscone
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Quarto sfortunatissimo giorno di proiezioni veneziane. Nonostante la giornata sia segnata dall’arrivo nelle nostre file del soldato Alan Smithee, il livello dei film in concorso comincia a farsi basso in maniera preoccupante. Le due proiezioni stampa del mattino, Tre cuori di Benoit Jacquot e Manglehorn di David Gordon Green hanno smorzato ogni entusiasmo sin dalle prime scene.

Il lavoro di Jacquot si rivela infatti essere un polpettone dalle intenzioni strappalacrime, che cede al già visto e al risaputo sia a livello di narrazione sia a livello di messa in scena. Decisamente dieci passi indietro rispetto ai suoi lavori precedenti, Jacquot si affida ai suoi attori per destare interesse ma finisce per essere travolto dalla solita interpretazione nevrotica della Gainsbourg e dalla buffonaggine implica che Benoit Poelvoorde si porta appresso qualunque sia il ruolo che interpreti. Qui, la recensione.

 

Mentre lo scorso anno ha visto l'aprrezzamento per il suo Joe, quest’anno David Gordon Green non può sperare di vedersi riconoscere qualche merito che ne accentui ancora di più l’egocentrismo. Pretenzioso come pochi, Manglehorn lascia allo spettatore il compito di costruirsi la trama e il passato del protagonista principale, un fabbro misantropo e scontroso che non riesce a metter da parte un amore mai più ricambiato risalente a 40 anni prima. Più che il racconto delle tribolazioni di un uomo che deve fare i conti con se stesso e con le chiavi di quei segreti che difficilmente si apriranno, Manglehorn è solo un altro inutile espediente per permettere a Al Pacino di gigioneggiare e di farla da padrone sulla scena, a discapito di Holly Hunter e Chris Messina. Unica nota positiva è forse la presenza come attore di Harmony Korine, in scena con un personaggio talmente fuori luogo da risultare simpatico. Qui, la recensione.

 

 

A proposito della mattinata, abbiamo avuto modo di testare quale sia l’impatto del passaggio delle grandi navi nel Canal Grande. In una sola mattina, nell’’arco di poco meno di mezz’ora, mentre con il vaporetto percorrevamo il tratto di mare che separa la fermata Zattere dal Lido, ci siamo imbattuti in due differenti giganti acquatici, entrambi in movimento e dalle dimensioni di Godzilla. Senza entrare nel merito della faccenda o degli apporti economici che queste apportano alla città, si rimane senza parole nel vedere uno spettacolo che non ha eguali in nessuna altra parte del mondo, con potrebbe avere conseguenze non di poco conto per i piccoli mezzi di navigazione. Sfido ognuno di voi a passare a due metri da questi mostri su un vaporetto per non sentire un vuoto allo stomaco e percepire l’odore della paura mista a schifo di chiunque vi circondi.

 

 

Mentre il mattino ci ha visti tutti e tre impegnati a seguire gli stessi titoli, il pomeriggio e il resto della serata sono stati caratterizzati da scelte molto diverse: Alan Smithee ha optato per l’americano Heaven Knows What dei fratelli Josh e Benny Safdie (recensione) e These Are the Rules di Ognjen Svilicic (recensione), EightAndHalf per Metamorphoses di Christophe Honoré (recensione nei prossimi giorni) e il sottoscritto per Short Skin di Duccio Charini, prossimamente in sala per Good Films. Il film di prima serata Loin des hommes di David Oelhoffen, in concorso e tratto da una storia breve di Albert Camus, ha riunito per un attimo le nostre strade prima che The Boxtrolls (animazione Laika con la regia di Anthony Stacchi e Graham Annable), qui recensito, e Belluscone di Franco Maresco ci dividessero nuovamente (recensione). Mentre di Short Skin vi parlerò nei prossimi giorni (vi annuncio che si tratta a pieno titolo di un film del "c...o", dal momento che parla di un adolescente affetto da fimosi), Loin des Hommes è il titolo che, secondo il mio modesto parere, potrebbe aspirare al Leone d'Oro. Leggete la recensione e capirete perché.

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Tre domande a Benoit Jacquot

Da dove nasce la sceneggiatura di Tre cuori?

Come sempre, quando scrivo una sceneggiatura originale, lo spunto è un insieme di desideri diversi: dopo aver realizzato un certo numero di film in costume, era importante per me fare un film contemporaneo, un film che si svolgesse ai giorni nostri e nella nostra società. E, dopo aver abbondantemente centrato tutti i miei ultimi lungometraggi su protagoniste femminili, avevo bisogno di occuparmi di un personaggio maschile, non fosse altro che per verificare la mia capacità di ritrarlo. Il mio cinema è prevalentemente legato alle figure femminili e avevo il desiderio di mettermi alla prova su un terreno diverso.

 

È una cosa che non faceva dai tempi di Sade...

Sì, ma anche allora Daniel Auteuil si era subito reso conto ero interessato tanto al suo personaggio quanto a quello interpretato da Isild Le Besco. E si era messo il cuore in pace, in senso positivo: lacosa lo stimolava ancora di più!

 

Torniamo alla genesi di Tre cuori.

Avevo voglia di girare una storia ambientata in provincia, in una città di medie dimensioni dal sapore un po' meridionale. La provincia francese è un contesto propizio per sviluppare un tema melodrammatico. E io volevo appunto interessarmi a un uomo alle prese con un amore nascosto. Tre cuori è una storia di cuore in senso letterale: mi piaceva l'idea di vedere il protagonista alle prese con una sofferenza fisica dovuta a un problema cardiaco. Era l'occasione di mostrare il cuore in quanto organo.

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Tre domande a David Gordon Green

Caratterizzato dal suo eccentrico marchio di fabbrica, Manglehorn è in primo luogo il ritratto di uomo misantropo e fuori dal comune che ha fatto della solitudine un must. A interpretarlo è Al Pacino: è stato semplice convincerlo?

Assolutamente no. Io e Al ci siamo conosciuti nel 2012 grazie alla preparazione di uno spot commerciale che prevedeva la mia regia e la sua interpretazione. In quell’occasione, Pacino cambiò idea e non realizzammo la pubblicità. Ci siamo promessi però di fare qualcosa insieme prima o poi e Manglehorn è il mantenimento di quella promessa.

 

Della vita passata del protagonista però si sa poco. Vuole descrivercela lei.

Con Paul Logan, sceneggiatore del film e mio amico di vecchia data, abbiamo immaginato che nascondesse un passato criminale, qualcosa che a un certo punto lo ha portato a ritirarsi e a volere che ogni indizio rimanesse chiuso sotto chiave in una cassaforte. Ovviamente, le scelte lavorative hanno avuto ripercussioni sulla sua vita privata e sulle relazioni con chi lo circonda. In particolar modo, il lavoro gli è costato l’amore di Clara, la donna che più di ogni altra lui ha amato e a cui continua a scrivere lettere che non otterranno risposte. A parte le lettere, però, non cercate altri indizi nel film: non ne troverete. Tutto questo fa parte dei brainstorming che si fanno prima di cominciare a girare.

 

A proposito delle lettere che scrive a Clara e che ritornano inevitabilmente indietro, come mai la cassetta di posta è circondata da api e dal loro alveare?

La presenza delle api e del loro alveare suggerisce come qualcosa di dolce (il miele, ad esempio) possa trasformarsi in qualcosa di molto pericoloso (la puntura delle api). Sono dunque come le spine di un roseto: la cassetta potrebbe prima o poi portare qualche bella notizia oppure qualche disastrosa comunicazione.

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Tre domande a David Oelhoffen

Per Loin des hommes ha scelto di adattare L’Hote, una breve storia di tredici pagine scritta da Albert Camus. Da dove nasce tale decisione?

Fin dalla prima volta che l’ho letta, ho immaginato la storia di Camus come una sorta di western, non convenzionale ambientato negli sconfinati paesaggi delle highlands africane. Del resto, i codici e i temi appartengono al genere: ci sono colonizzatori e colonizzati, un prigioniero da scortare, trame che degenerano in spirali di violenze e l’inevitabile scontro di due culture ed etiche differenti.

 

Adattare 13 pagine però non è semplice e avrà richiesto un grande lavoro.

Adattando la storia per il cinema, ho dovuto allargare i personaggi e approfondire le loro interiorità, apportando grande densità anche emotiva allo sviluppo narrativo. Non a caso, per mia scelta, la storia si svolge nel contesto algerino, dove ho potuto approfondire le conseguenze che la guerra comporta ai miei due protagonisti, il cui legame si evolve in maniera differente da come lo ha raccontato Camus.

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Le musiche del film portano la firma di Nick Cave e Warren Ellis.

Nick e Warren hanno cercato di seguire sin dall’inizio il flusso del racconto, creando una colonna sonora originale che gradualmente passa da toni dark ad atmosfere più melodiche, sottolineando come l’aspetto intimo della vicenda abbia la meglio sull’istinto di sopravvivenza.

 

 

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