Regia di Lucrecia Martel vedi scheda film
Nell'Argentina coloniale, Diego de Zama cerca di conciliare le sue personali frustrazioni e il suo ruolo di funzionario spagnolo in attesa di trasferimento vivendo giorno per giorno l'incarico in terra indigena. La sua vita è legata a doppio filo a quella della popolazione autoctona, avendo lui un figlio da una indios; ma nel tentativo di farsi portatore, insieme al resto degli occupatori spagnoli, di una certa integrità civilizzata, in contrasto alle (affascinanti) modalità indigene di vita, Zama si fa più che altro portatore di un'immensa contraddizione. Per raccontare questa contraddizione Lucrecia Martel sceglie un registro vario e complesso, pluristratificato, in cui un caos silenzioso fra volti reali e volti onirici si ripercuote su inquadrature complicate e prospettiche, a più piani focali: sembra che ciò che viene dall'inconscio turbato di Zama sia destinato al fuorifuoco. I bordi delle cose separano il campo e fanno convivere close-up di volti e distanti paesaggi in una gerarchia compositiva-figurale completamente stravolta.
Dopo una prima confusionaria mezz'ora, si capisce che Zama è un film di fantasmi, di nomi senza volto, di ellissi azzardate e di risvolti imprevedibili. Il lento disfacimento del corpo e dell'animo di Diego è scandito da un sonoro sincopato strabiliante, che introduce ai suoi inquietanti momenti di trance, alternando rumori assordanti e lunghi fischi così conturbanti da dare tutt'altra valenza ai silenzi.
Zama di Lucrecia Martel entra a pieno titolo nella categoria di film "coloniali" le cui massime espressioni sono state di recente i film del filippino Lav Diaz, con cui Zama condivide il carattere onirico e riflessivo: anche qui nel fondocampo stanno splendide e floride ambientazioni macchiate dal male della Storia. Ma la Martel è molto più allusiva, e conficca pugni nello stomaco non con gli shock, ma come al ralenti, in modo dunque ancora più crudele. Dopo che i tentativi di eleganza degli spagnoli falliscono (la bella interpretazione di Lola Duenas), alla fine la Martel mette in bocca a Diego de Zama il grande regalo che fa allo spettatore con questo film: non illudere, meglio un colpo duro immediatamente assestato piuttosto che una lenta agonizzante bugia.
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