Regia di Mickey Keating vedi scheda film
Mickey Keating rende un evidente omaggio a Roman Polanski e alla sua trilogia dell'appartamento: ma Repulsion, Rosemary's Baby e Le Locataire, aleggiano come ingombrantissime ombre su un thriller psicologico che, nella sua pretenziosità, ne frulla le sinossi e ne scimmiotta le atmosfere risultando inevitabilmente derivativo e inconsistente.
Nella New York City degli anni '70, una ragazza accetta l'impiego come custude di una grande tenuta disabitata, venendo a sapere dalla padrona di casa, al momento dell'ingresso, che sulla stessa circolano storie di fantasmi e voci sinistre, amplificate per via della sorte capitata a colei che in quel ruolo l'ha preceduta, suicidatasi con un tuffo dal balcone: una casa maledetta, insomma, con cui immediatamente la protagonista fa la conoscenza, trovandosi a vagare tra settimini che nascondono catenine con croci rovesciate e corridoi che danno su porte chiuse senza più chiave, ed arrivando a percepire, gradualmente, strani bisbigliii e rumori indistinti; condizionata da un simile concerto di suoni, sensazioni e suggestioni, perde il contatto con la realtà, sprofondando in men che non si dica nel vortice di un delirio paranoico che la rende pericolosa per sé stessa e per gli altri.
C'è sicuramente Roman Polanski tra gli autori preferiti di Mickey Keating. Regista statunitense giovanissimo (classe 1990) ma già prolifico, con Darling, sua quarta fatica, datata 2015, rende un evidente omaggio al maestro polacco e alla sua trilogia dell'appartamento: ma Repulsion, Rosemary's Baby e Le Locataire, aleggiano come ingombrantissime ombre su un thriller psicologico che, nella sua pretenziosità, ne frulla le sinossi e ne scimmiotta le atmosfere, e prova a mutuare dal primo e dal terzo il bianco e nero ed il percorso domestico verso la follia, e dal secondo l'idea di un Male come presenza costante e invisibile, risultando inevitabilmente derivativo e inconsistente.
Utile a donare all'immagine una certa eleganza vintage, oltre che a richiamare l'epoca dei succitati capolavori, la scelta cromatica del bianco e nero si rivela esteticamente vincente, ma si limita a salvare il salvabile, soprattutto laddove Keating (sceneggiatore e produttore oltre che regista, quindi responsabile in toto del fallimento di un'operazione tanto ambiziosa quanto velleitaria) si dimostra incapace di costruire anche solo un minimo di suspence, mancando nell'abilità di suggerire od insinuare pazientemente dubbi in chi guarda, di distillare indizi e dosarli, e preferendo affidare in massima parte la costruzione della paura a scorciatoie di montaggio tipiche del cosiddetto 'new horror', ovvero jump-cut, shock-cut ed effetti strobo assortiti, per una discesa nella follia che appare ripetitiva e trattata superficialmente; il tutto, nel contesto di una narrazione grossolana e reticente che prova a vendere la propria indefinitezza come indecifrabilità.
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