Regia di Ali F. Mostafa vedi scheda film
Road movie interessante, sia per la confezione ricca e curata, sia per lo scenario e i personaggi insoliti. Tre ragazzi musulmani, Omar, Ramy e Jay, seppur di nazionalità diverse (un siriano, un egiziano e un ragazzo originario dell’Irlanda) vivono a Dubai godendosi una certa ricchezza e spensieratezza. C’è chi come Ramy vive con la mamma e sogna una carriera di giornalista e blogger, mettendo in piedi nel frattempo improbabili commenti sulla primavera araba, chi fa il DJ e chi è alle prese con un figlio che di lì a poco nascerà.
Inizio straniante: uno si aspetta un film diverso, magari povero dal punto di vista delle ambientazioni e si trova davanti una Las Vegas mediorientale, lusso sfrenato, donne vestite all’occidentale, macchinoni, gioielli e tre ragazzi che hanno nomignoli occidentali e dell’occidentale hanno tutto: i vestiti, una certa libertà di fare e di dire (anche volgarità: a tratti sembra di essere davanti a un remake arabo di Una notte da leoni). Se poi ci si mette anche un viaggio dai contorni surreali per mezzo Medio Oriente, intervallato da incontri paradossali e situazioni maldestre (come l’investimento accidentale di un cammello), il film pare tanto strizzare l’occhio al pubblico occidentale presentandoci una narrazione, delle svolte e dei personaggi sicuramente già visti ma forse poco verosimili in un contesto certamente variegato come il mondo arabo ma dagli usi e costumi diversi da quello occidentale. Anzi, a un certo punto viene persino il dubbio di trovarsi di fronte a una sorta di film di propaganda, una vetrina di un mondo che si vorrebbe esportare e vendere all’estero. È un dubbio fugato nel prosieguo della narrazione.
Il regista Ali F Mostafa, anche sceneggiatore e interprete del film, nato a Londra da madre britannica e padre di Dubai, e con alle spalle una serie tv, un altro lungometraggio più un certo numero di corti, dirige con efficacia e buon senso dello spettacolo una storia che parte in territorio da commedia pura non priva di una certa comicità greve per trasformarsi in qualcosa d’altro. Nel viaggio che affronteranno i tre protagonisti e che li porteranno ad attraversare tra gli altri Giordania, la Siria maciullata dalla guerra civile e il Libano che porta ancora i segni di tante guerre del passato, il registro del film vira notevolmente e il viaggio di tre ragazzi un po’ ingenui si trasforma in un viaggio metaforico sulla perdita dell’innocenza di un’intera nazione araba, divisa in tante fazioni, perennemente in conflitto.
Pur senza grande profondità, Mustafa riesce a raccontare la guerra e le sue contraddizioni dolorose, talvolta mantenendo una felice registro comico grottesco (come nell’incontro con l’esercito siriano lealista sospettoso sulla vera identità dei tre). Soprattutto il regista chiude la propria storia con una bella e intensa sequenza davanti alla tomba dell’amico libanese e cristiano che in sintesi pone la vera questione del film, che inizia dai lustrini e tocca con mano l’orrore della guerra: vale sempre ripartire dall’uomo e dal suo desiderio di libertà e pienezza come ci ricorda sui titoli di coda un’altra sequenza pregnante, un ultimo dell’anno festeggiato in discoteca dove conta più che il divertimento, l’essere insieme e l’essere soprattutto liberi.
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