Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Interessante, non banale, essenziale ulteriore tassello sulla mitologia stregonesca: in bilico tra capolavori (Suspiria) e capolavori incompresi (La notte dei dannati)...
Se l'inizio ricorda, con tutti i suoi limiti e difetti, l'insopportabile The village (opera di M. Night Shyamalan ovvero il novello Ed Wood degli anni 2000), fortunatamente bisogna ammettere che il talentuoso regista Robert Eggers rettifica il tiro e realizza un drammone circonvicino all'horror solo in chiusa (5 minuti su 90) che si basa su una ricostruzione attendibile e, purtroppo, realistica del (non troppo) lontano XVII Secolo: dove in una fattoria una numerosa famiglia (padre, madre e cinque tra figli e figlie) vive lontano dal lume della ragione. E in questo tanto di cappello per la notevole messa in scena, perfetta allegoria del tenore etico e morale che domina una micro-società come quella qui rappresentata del nucleo familiare. Le ambientazioni spettrali nei boschi notturni, sovrastati da una immensa e inquietante Luna piena, si accostano a cieli pomeridiani ben poco solari, plumbei e gravosi di imminenti temporali. Il film procede sui binari del verosimile, si basa su ricostruzioni storiche molto ben riproposte al punto di utilizzare dialoghi estratti da antichi documenti dell'epoca, con processi e verbali stilati ai danni delle "streghe". E qui, nel rispetto delle sventurate vittime di tanto orrore cagionato dal "sonno della ragione", per citare un altro capolavoro in odor di sortilegi sinistri ed epifanie di malefiche asservite al Demonio, ricordiamo che "La sfortuna non è data dagli specchi incrinati, ma dai cervelli incrinati".
Ecco dunque che The witch si mantiene su questi binari: sempre in bilico tra razionalità e irrazionalità, tra luce (poca) e ombra (tanta), tra fede e eresia, tra superstizione e tradizione. E si muove benissimo, grazie ad un cast baciato dall'ispirazione (divina?), e da una ricostruzione scenografica che sembra essere ripresa dall'altrettanto leggendario "cronovisore" di Padre Ernetti per quanto simile a quel che doveva essere all'epoca (e così restiamo anche in tema di mitologie in seno al cristianesimo). Ma il sovrappiù, il picco di genialità, quello che eleva il prodotto per lanciarlo nell'Olimpo dei grandi (ovvero film appena usciti e già cult) è quel finale che non si rifà a titoli nobili come quello dell'Argento citato ma anzi, si sporca evocando il fetido, laido e corrosivo (nell'animo e nel corpo) aspetto fantastico già visto ne La notte dei dannati (Filippo Maria Ratti, 1972)...
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