Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Robert Eggers riesce là dove Rob Zombie sbagliava. The Lords of Salem (2012) era un’accozzaglia rock di immagini forti e visionarie senza capo né coda, dove il perturbante lasciava il posto a uno shocking anestetizzato, solo urlato, senza lo stesso gusto per il tessuto tematico e linguistico dei primi due lavori di Zombie.
Eggers invece, sceglie tutta un’altra strada e fa dell’estetica indie la base formale del suo horror di esordio. The Witch è infatti il lungometraggio che segue due corti dal tema favolistico nero come Hansel and Gretel (2007) e The Tell-Tale Heart (2008). L’interesse del regista per il racconto nero classico ed universale la dice lunga sul successo del suo primo film per il cinema. L’universo tematico di una certa letteratura nera che ha creato e rimodellato gli incubi e le paure più ataviche dell’essere umano in epoche in cui l’assenza del mezzo cinematografico faceva della parola l’unico ponte verso l’evocazione, è ancora oggi l’unico universo tematico, ma anche linguistico e formale da cui attingere immagini e moduli narrativi incisivi ed efficaci. Oltre che non databili.
La conferma è questo neohorror – per il quale valgono le stesse considerazioni formali che stanno caratterizzando il neowestern del nuovo secolo – dalla fotografia spenta, autunnale, livida che immerge personaggi, animali e ambienti in uno spaziotempo sì storicizzato, ma che riesce ad essere anche un altrieri indefinito e onirico, un altrove, un non-luogo che è tutti i luoghi dell’anima. Il cronotopo voluto da Eggers e ricreato in modo impeccabile, non tanto per l’aderenza storica dell’iconografia, quanto piuttosto per il gusto estetico, pittorico, con cui il regista restituisce l’atmosfera spettrale di un seicento funestato dalle credenze cristiane, è tanto storico quanto mitologico, saturo di segni del reale quanto di allusioni stregonesche. L’operazione è vincente proprio perché l’orrore messo in scena da Eggers si poggia sui segni del reale dandogli aspetto e significato mitico – il bosco, il raccolto, la capanna, il legno, il fuoco e gli animali: lepri, cani e capre, su cui spicca il capro nero, Black Philip, simbolo diabolico e mezzo per unire trascendenza e terrenale.
L’iconografia di base addizionata all’uso neorealista che ne fa Eggers si scontra palesemente con l’evocazione mitica e simbolica degli elementi narrativi. Il profilmico, mutuato dallo sguardo registico, da realista si trasforma in fantastico, da dramma in horror. I significanti del reale assumono di scena in scena, di fotogramma in fotogramma, più e più significati e la loro lettura può avere più e più interpretazioni. Un’estetica espressionistica che lascia al non-visto, al fuori quadro, la chiave linguistica dell’intera produzione. Proprio in ossequio a questa dicotomia tra reale e fantastico, e ovviamente tra le loro dirette forme di rappresentazione – neorealismo ed espressionismo – Eggers inserta nel suo racconto evocativo stralci di spudorato horror carnale, dal rapimento del neonato alla sua morte, dalla vecchia strega che succhia dalla capra al corvo che becca il seno della madre.
Se tutto questo non bastasse, a far di The With il più politico ed efficace horror sulle streghe dagli anni ’70 ad oggi è il chiaro valore antireligioso che innerva l’intera opera. Nel 1600 era già pratica diffusa nelle società dette civili, ovvero cristiane, cattoliche o protestanti, preservare la consuetudine e il potere acquisito tacciando di stregoneria o in generale di eresia chiunque avesse comportamenti considerati deviati rispetto l’ordine costituito, che ricordiamolo non era laico. La libertà sessuale, per esempio, è sempre stato il terreno preferito dalla chiesa per assoggettare il popolo bue e poterlo comandare, riducendolo a un animale domestico facilmente impressionabile – e al tema sessuale il regista dedica diverse scene coinvolgendo la pubertà del figlio più grande, un’idea di incesto tra fratello e sorella fino all’abuso pedofilo consensuale. La religione dopotutto, qualsiasi religione, compreso l’islam, si fonda sulla superstizione e la menzogna, e da questi comportamenti trae la sua forza e la sua arroganza. Eggers mette in luce la debolissima impalcatura religiosa e la sua strutturazione politica e giuridica proprio introducendo l’inspiegabile all’interno di un orizzonte fortemente realista.
È la protagonista Thomasin che in più riprese ci indirizza verso questo mistero che da evenemenziale si fa esistenziale, giocando ad essere la strega del bosco per poi non esserlo, per poi esserlo di nuovo e infine cercare di esserlo davvero. Sempre Thomasin, la bellissima e intrigante Anya Taylor-Joy, svela l’intenzione politica dell’autore rinfacciando al padre che la sua incapacità a coltivare, a cacciare o a mantenere una famiglia gli fa credere al demonio e alla stregoneria utilizzando la coercizione e la violenza per farsi rispettare. In altre parole, manco fosse l’acqua calda, la debolezza dell’essere umano, la sua ignoranza e la sua povertà gli fanno vedere il male ovunque, nel vicino come nell’immigrato. La sua impotenza, la sua inettitudine, la sua invalidità lo spingono ad adottare metodi militareschi per acquistare la virilità che non possiede. La superstizione a cui si aggrappa per mancanza di strumenti culturali idonei, lo divora e lo rende diavolo, strega, mostro.
Il fondamentalismo religioso, che sia cattolico o musulmano poco importa – poca differenza c’è tra l’abito nero a vita per le vedove del meridione e il burkini, tra il divieto a fornicare tra appartenenti lo stesso sesso e quello a guidare una macchina per una donna islamica, sempre di imposizione religiosa stiamo parlando – è al centro dell’attacco frontale che il regista mette in scena contro l’istituzione religiosa, rappresentata sia dal comitato giuridico che bandisce dal paese la famiglia protagonista, sia il padre, il capofamiglia, anche lui atomo impazzito, incredulo e tenace davanti a segni difformi della sua superstizione.
Eggers attacca quindi il contemporaneo attraverso un racconto classico, per temi e per sviluppo, drammatizzando le pratiche impositive, imbonitrici e oscurantiste di tutte le religioni, nessuna esclusa. Nessuna esclusa. Tantomeno quella musulmana, oggi di moda tra gli antisistema, gli antagonisti sociali e gli alternativi. Incapaci di vedere al di là del proprio naso la loro miopia e piccolezza. Al mondo esiste la coerenza etica e intellettuale in virtù della quale se si contesta una religione, ipotizziamo la cattolica, si deve pure contestare l’altra, mettiamo la mussulmana. Non vogliamo i crocifissi a scuola? Più che giusto. Ma allo stesso modo non possiamo tollerare burqa o burkini. Non sopportiamo chiese, chiesette, associazioni cattoliche etc.? Giusto, ma allora non dovremmo volere nemmeno le moschee. Si chiama coerenza.
Eggers, lungi dal voler dire tutto questo e il contrario di tutto questo con The Witch, applica sicuramente la facoltà di coerenza alla sua opera attraverso il suo contrario, soprattutto sul finale quando, in un ambiguo slancio liberatorio e rivoluzionario, accosta la bella e angelica protagonista tacciata di stregoneria al laido piacere dei diavoli.
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