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Crepuscolo di gloria

Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film

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La recensione su Crepuscolo di gloria

di steno79
9 stelle

Josef von Sternberg è un regista americano che ha finito per essere identificato come "il regista della Dietrich", e sicuramente lo è stato perché i sette film realizzati insieme costituiscono una delle più lunghe e fra le migliori collaborazioni artistiche fra un regista e un'attrice/musa, ma andrebbe riscoperto anche per i film che non vedono presente la diva tedesca, fra cui notevoli alcuni suoi film muti, in particolare il capolavoro "The docks of New York" e questo "The last command" che risulta ugualmente opera di eccellente spessore artistico.

È un film ambientato principalmente in Russia, come sarà anche "L'imperatrice Caterina", ma qui legato alla contingenza della Rivoluzione bolscevica del 1917 e l'abbattimento del potere dello Zar, qui rappresentato dal generale Sergius Alexander, brillante stratega militare che però non può impedire l'attuazione delle manovre dei rivoluzionari e sarà costretto ad emigrare ad Hollywood, dove farà la comparsa in un film ispirato alla sua stessa figura. Opera girata agli sgoccioli della stagione del cinema muto con notevole maestria tecnica da uno Sternberg ormai completamente padrone del mezzo, "Crepuscolo di gloria" è un melodramma che tenta di rielaborare una pagina storica allora di forte attualità, poiché erano passati appena una decina di anni dai fatti della Rivoluzione Russa, e lo fa con un'invenzione narrativa e figurativa che ancora oggi stupisce per la sua libertà e la ricchezza dello stile, sia nelle scene di massa che lo fanno spesso sembrare un kolossal ante-litteram, sia nei movimenti di macchina e in particolare nelle bellissime carrellate.

Emil Jannings è come sempre bravissimo nel caratterizzare un personaggio, qui aristocratico, che si trova di fronte a cambiamenti repentini e deve accettare una sorta di degradazione, come già ne "L'ultima risata" e come sarà nell'"Angelo azzurro", di cui qui anticipa in maniera incredibilmente fedele alcune espressioni e un gioco mimico sia nell'esultanza che poi nella dolorosa sconfitta. Al suo fianco una Evelyn Brent più che adeguata nella parte della rivoluzionaria doppiogiochista e un William Powell pre-Uomo ombra particolarmente azzeccato nelle scene finali in cui fa il regista e mostra di avere una certa comprensione umana verso lo sfortunato generale. Vincitore del primo Oscar per il miglior attore a Jannings, il film ha avuto varie accoglienze da parte della critica (ad esempio Giovanni Buttafava nel suo pregevole Castoro sul regista gli fa accuse piuttosto pesanti), ma al giorno d'oggi prevalgono nettamente gli ammiratori e molti sono entusiasti. Il barocchismo della messa in scena già è evidente, ma ancora non spinto al delirio come in certi film del ciclo Dietrich, più sobrio e probabilmente più efficace, accompagnato da una storia che non ha paura di mettere in gioco emozioni forti e che lascia trapelare un giudizio piuttosto disincantato sulla congerie umana e politica che portò all'avvento della Repubblica socialista in Russia.

Voto 9/10

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