Regia di Yuriy Norshteyn vedi scheda film
Probabilmente il miglior film d'animazione della storia del cinema.
Il Racconto dei Racconti è un'opera dal valore artistico incommensurabile, che sfrutta la tecnica del film animato per comunicare associazioni libere di idee altrimenti non esprimibili. Per goderne la visione bisogna necessariamente comprendere il significato di "pensiero analogico", ovvero di una successione di eventi concepiti come in un processo onirico. Il capolavoro assoluto non solo di Yuriy Norshteyn ma dell'animazione mondiale è un mediometraggio (29 minuti circa) di una suggestione sia concettuale sia visiva di cui, nell'intera storia del genere, si avvale solamente un altro film: Angel's Egg di Mamoru Oshii del 1985.
Esplicare l'essenza de Il Racconto dei Racconti è un'impresa che deve introdurre necessariamente il parallelismo che corre tra quest'opera e Lo Specchio di Andrej Tarkovskij, capolavoro realizzato nel 1974. Entrambi i film sono prima di tutto di natura intimamente autobiografica, dei viaggi attraverso le rievocazioni mnemoniche infantili degli autori; sono poetici e non seguono uno sviluppo dell'intreccio logico-cronologico; sono legati agli elementi del fuoco e dell'acqua. Sia nell'opera di Norshteyn che in quella di Tarkovskij la casa d'infanzia, la raccolta delle patate, il toro e gli uccelli costituiscono importanti topos narrativi. Inoltre, entrambi i capolavori sono accompagnati perlopiù dalle musiche di Johann Sebastian Bach (BWV 853 ne Il Racconto dei Racconti; Coro n.1 della Passione Secondo San Giovanni, BWV 245 e Corale per Organo ne Lo Specchio), anche se nel film di Norshteyn ha un ruolo essenziale anche la musica popolare. Nel mediometraggio, il cinema di Andrej Tarkovskij è presente anche in singole sequenze. Le mele che dall'albero cadono sulla neve bianca e soffice, il bambino che mangia seduto su un ramo mentre gli uccelli lo circondano sono riferimenti piuttosto espliciti a L'Infanzia di Ivan del 1962. L'inquadratura dei pesci che nuotano nell'acqua sotto le foglie non è solo un riferimento al quadro Pesce nella laguna fogliata con riflessi d'alberi di Mauritius Cornelius Escher, bensì è analoga a quella presente in Stalker del 1979. Quest'ultimo, tuttavia, potrebbe non essere un rimando ma una curiosa coincidenza siccome le opere sono contemporanee.
Le simbologie e le arti che costituiscono Il Racconto dei Racconti sono ricercate a partire da passi biblici (Cantico dei Cantici), dalla poesia di Hikmet e Basho, dalla pittura di Escher, Bruegel, Picasso, Van Gogh, Bosch e, più degli altri, Chagall.
Proprio Chagall, anche lui ebreo russo, rappresenta le fondamenta stilistiche del Norshteyn ormai maturo: animatore-artigiano che negli anni si è sempre più distaccato dalla tecnica del découpage animato propria di Ivan Ivanov-Vano, suo maestro e, insieme a Norshteyn, il più importante esponente del cinema d'animazione russo. Dalle opere visionarie di Marc Chagall, Norshteyn trova il modo di estraniare la propria arte dalla fisica terrena. Ne Il Racconto dei Racconti la forza di gravità è in parte abolita, gli oggetti risplendono di luce propria, lo spazio è distorto e gli ambienti sono sfocati come in un sogno che si sta materializzando. Il processo di astrazione che subisce l'animazione di Norshteyn durante la sua breve carriera (cubista in 25 Ottobre: Il Primo Giorno, iconografica ne La Battaglia di Kerzhenets, découpage bidimensionale ne La Volpe e La Lepre, découpage astratto da L'airone e La Gru in poi) ne opacizza le ambientazioni, rendendo così le atmosfere sospese in un limbo tra favola e manifestazioni inconsce.
Anche i personaggi del film appaiono simbolici e con significati caratterizzanti che ben si radicano nella tradizione russa a cui Norshteyn appartiene, ovvero quella agricola.
Ninna nanna,
ninna oh,
bimbo mio non far rumor,
o il lupetto arriverà,
fra le zampe ti terrà,
in fondo al bosco ti porterà,
e tra i cespugli ti poserà.
Il lupetto protagonista, figura folkloristica incarnante lo spirito contadino russo, viene introdotto da questa filastrocca all'inizio del mediometraggio. Esso rappresenta, inoltre, la creatura mitologica slava protettrice della casa e dell'unità familiare, che nella tradizione russa viene denominata domovoj. Come decanta la filastrocca, il lupetto di Norshteyn ruba una poesia alla fine dell'opera e, cercando di portarla nel bosco, viene quasi investito dalle macchine che imperversano nelle strade, simboli della modernità che vuole far soccombere la società contadina. All'arrivo nel bosco, la poesia si trasforma in un bambino in fasce. Questa analogia accomuna l'opera d'arte al bambino perché entrambi sono parto dell'uomo; creazioni concepite in principio come emozione generatrice e, dunque, purezza sacrale.
La figura del toro, invece, rappresenta il mondo contadino, una realtà a cui Norshteyn è profondamente legato e che lentamente sta scomparendo in favore del progresso e dell'avanzare della società moderna. Il personaggio del toro è perciò costantemente triste mentre gioca con una bambina (l'infanzia del regista), la quale instancabilmente cerca di ravvivare la bestia senza riuscirci. Tali simbolismi compaiono nella miglior sequenza del film, la quale raffigura una famiglia e un viandante che si accingono a consumare il pranzo. Successivamente, il viaggiatore ospitato a tavola saluta e ringrazia del cibo prima di rimettersi in cammino. Questa scena rispecchia l'autenticità della manualità di Norsheyn e delle sue composizioni; delinea in maniera definita una poetica che qui ritrova - come ne Il riccio nella nebbia - la sua sublimazione più spontanea, una sensibilità che traspare in ogni particolare. La complessità, qui mascherata da racconto lineare, si rifugia nella successione di ricordi e collegamenti inconsci del regista creando la summa dell'arte norshteyniana.
Altri personaggi enigmatici sono un ubriaco e una madre seduti su una panchina, il già citato bambino che mangia la mela e lo spettro di un soldato. Queste figure non sono simboliche ma, a detta del regista, sono suoi ricordi rievocati senza alcun pretesto allegorico. Solo il fantasma del soldato vuole rispecchiare un significato ben preciso, ovvero il costante rimando di Norshteyn ai soldati russi morti durante la Seconda guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale per il popolo russo è qualcosa di fortemente rappresentativo. Essa è per loro la “Grande Guerra Patriottica”, l'ultima occasione in cui la Nazione si è sentita davvero unita e si è sacrificata senza remore per vincere un nemico comune. Norshteyn narra la guerra attraverso immagini poetiche che non danno spazio al melodramma: la partenza dei soldati che devono lasciare le famiglie, i treni carichi di uomini che partono verso il fronte, i bagliori notturni delle esplosioni che si intravedono all'orizzonte, i fuochi d'artificio che ne decretano la vittoria e la fine tanto attesa, le comunicazioni che annunciano la morte dei soldati eroicamente caduti. Il racconto bellico emoziona grazie alla grandiosa capacità di Norshteyn di saper rendere ogni sequenza melanconica e mai melensa. Il regista, sempre attento e nel pieno rispetto dei propri sentimenti, inscena le situazioni più toccanti attraverso particolari che ne esaltano i caratteri umani e puramente espressivi. Il ballo, in questo caso il tango, unisce, nelle scene di addio e in quelle di riunione, le coppie prima che gli uomini partano verso il fronte e, alla fine della guerra, quelle sopravvissute al conflitto. Il brano Bruciati al sole utilizzato durante queste sequenze è un tango popolare degli anni Trenta del XX secolo.
L'ultimo elemento che compare in questo capolavoro assoluto è un lampione alla fine del film. Mentre il sole tramonta, un palo della luce comincia ad illuminare la strada, come se nella visione della realtà pessimistica e nostalgica di Norshteyn vi fosse comunque un barlume di speranza. Nell'uomo, e perciò nei suoi artefatti come il lampione, esistono ancora principi che potrebbero riportarlo all'autenticità della società contadina, più povera ma più disillusa. Assieme al palo della luce, ad illuminare la strada sono anche i fantasmi dei soldati morti al fronte, che per il regista rappresentano il vero cardine morale a cui rivolgersi in segno di riconoscenza.
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