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Virgin Mountain

Regia di Dagur Kári vedi scheda film

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La recensione su Virgin Mountain

di Peppe Comune
8 stelle

Fusi (Gunnar Jónsson) è un quarantenne che sembra avere poca voglia di diventare adulto. Lavora come scaricatore di bagagli all’aeroporto ed è appassionato di macchine telecomandate e di modellini in plastico che riproducono scene di battaglie celebri. Vive ancora con la madre (Margrét Helga Jóhannsdóttir), che lo esorta continuamente ad uscire di casa, a frequentare altre persone, a conoscere delle ragazze. Una ragazza in verità la conosce, Hera (Franziska Una Dagsdóttir), una bambina di otto anni da poco venuta ad abitare nel suo palazzo, che si diverte a stare con lui e a fargli un sacco di domande. Uno scossone alla vita monotona di Fusi arriva quando Mörour (Sigurjón Kjartansson), il fidanzato della madre, gli regala dei buoni con i quali andare ad una scuola di ballo dove di danno lezioni in perfetto stile country. Fusi ha poca voglia di andarci, ma è qui che ha l’occasione di conoscere Sjöfn (Ilmur Kristjánsdóttir), una ragazza che gli si rivela molto più problematica del previsto ma che gli regala delle sensazioni mai provate in precedenza.

 

Gunnar Jónsson

Virgin Mountain (2015): Gunnar Jónsson

 

“Virgin Mountain” del regista islandese Dagur Kàri è la storia di un ragazzo buono che è spesso vittima degli equivoci a causa del suo palese disadattamento alla vita che lo circonda. Un film che gioca di sponda coi toni bassi della messinscena e i sentimenti sottomessi del suo protagonista. Un’opera minimalista che tende a volgere lo sguardo oltre le forme congelate che popolano il suo ritratto d’ambiente, dominata dalla figura rotondeggiante di Fusi, un uomo dalla personalità libera e sfuggente, insignificante ed enigmatica allo stesso tempo.

Perché una persona non dovrebbe essere accettata per quella che è ? Perché la timidezza di un uomo deve suscitare derisione piuttosto che umana comprensione ? Perché quelli che vengono ritenuti “atteggiamenti bizzarri”, invece di essere giudicati per la loro originalità, devono per forza di cose essere etichettati come “strani” e quindi sottoposti ad una sorta di correzione coatta ? Perché un ragazzo che mostra evidenti problemi a relazionarsi con gli altri non può vivere in santa pace la sua solitudine volontaria ? Queste sono alcune delle domande più semplici e dirette che può suscitare una figura come Fusi, un ragazzo timido e impacciato, che sarà pure cresciuto più col corpo che con la mente, ma che intanto ha trovato un suo soddisfacente equilibrio in un mondo costruito a misura delle sue passioni, un mondo popolato da sofisticati aggeggi telecomandati e da un accurato modello in plastico che riproduce fedelmente la battaglia di El Alamein in Egitto durante la seconda guerra mondiale. Perché è proprio quando esce da questo mondo che Fusi si trova in totale balia delle onde, con la paura di non essere adeguato al luogo e alla situazione in cui si trova, quando, spinto dalle sollecitazioni di quanti vogliono che lui faccia cose da “quarantenne”, si trova costretto a confrontarsi con cose che non sa o non vuole affrontare. Perché la sensazione chiara che domina il film è l’equivocità di cui viene reso vittima Fusi, il fatto che le sue relazioni umane dipendono molto dalle turbe umorali di chi gli sta accanto, che a prevalere è sempre l’idea che della sua personalità si fanno gli altri. Un’idea alimentata dalla sua personalità solinga e dalla particolarità delle sue “strane” passioni, che portano chiunque lo conosca, o a deriderlo con spudorata crudezza, o a consigliargli di continuo come e più giusto che si comporti. Sarà per questo che una grande passione di Fusi è quella di disporre a piacimento i soldatini sui suoi plastici costruiti in scala, perché finalmente può dominare piuttosto che essere dominato, guardare il mondo dall’alto senza aver paura di alzare lo sguardo. Sarà ancora per questo che scopre di trovarsi particolarmente a suo agio con Hera, perché può rispondere alle sue curiosità da bambina innocente senza provare alcun imbarazzo, rimanendo alla sua stessa altezza.  

Un tratto distintivo che ritorna in tutti i film di Dagur Kàri è quello della fuga (aspetto che lo avvicina alle atmosfere tipiche di Aki Kaurismaki), che non si esprime solo nel desiderio di pensare a luoghi lontani come alla fonte ultima di vitalità da offrire alla propria esistenza, ma anche attraverso un contrasto più o meno percepibile che i suoi personaggi vivono con tutto ciò che li circonda. Un contrasto che gli aliena la possibilità di vivere pacificamente con se stessi (“Nòi Albinòi”), che li incattivisce oltremisura nell’animo (“The Good Heart”), che li rende succubi delle circostanze (“Virgin Mountain”).

L’altrove si insinua come fonte di salvazione quindi (e in “The Good Heart” lo è proprio in senso letterale, visto che in quell’altrove c’è un cuore da trapiantare che aspetta), cosa che in Fusi assume la forma di una dimensione domestica che contiene già in se tutta la voglia di volersi espandere e fuggire via. Prima è la passione per il modellismo che gli insinua il desiderio di conoscere l’Egitto ; poi sono le lezioni di ballo in stile country che accrescono gradualmente in lui il piacere pratico di dare un tocco esotico alla sua grigia esistenza (a cominciare dal cappello da cowboy che pota con sempre più disinvoltura). Una salvazione che Fusi non vuole vivere da solo, ma in compagnia di chi può donargli sentimenti nuovi e sconosciuti e a cui può offrire un po' della sua bonaria adesione alla vita. Fusi è un puro di spirito dotato di un’intelligenza non comune, di lui non si riesce bene a capire se faccia l’ingenuo per scelta o lo sia per necessità, se rispetto alla vita che scorre, si sia volontariamente fatto da parte, o se sia stato messo da parte per manifesta inadeguatezza. Dagur Kàri sembra giocarci con questa ambivalenza di carattere facendoci capire ben poco, la sua regia si attacca alla sua mole tondeggiante mentre lavora laboriosamente, ascolta pigramente i consigli che hanno da dargli tutti quelli che lo conoscono o coltiva la sua anima “fanciullesca”. Solo impercettibilmente riesce a farci cogliere la concretezza di tutta la sua complessa personalità : le recriminazioni lanciate nel vuoto, la rabbia repressa, i desideri inappagati, l’amore che si vuole donare. Sentimenti che esistono in questo bambinone di quarant’anni, che vorrebbe starsene in pace da solo o andarsene altrove in compagnia con chi si ama. Fa lo stesso.

Altro ottimo film dal nord Europa.    

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