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Virgin Mountain

Regia di Dagur Kári vedi scheda film

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La recensione su Virgin Mountain

di OGM
7 stelle

Un uomo solo e tutto sbagliato. O forse no. L’errore abita altrove.

La montagna vergine si chiama Fusi. È grande e grosso, ma non ha mai fatto l’amore. Ha fatto solo la guerra. Per finta, per gioco, sul tavolo del soggiorno della sua casa materna, dove passa il tempo libero a simulare la battaglia di El Alamein. Lavora in aeroporto, ma non è mai andato da nessuna parte. Nemmeno in Egitto, e per lui le piramidi sono solo gli arredi posticci di una scenografia. La sua solitudine è stata abbandonata anche dai sogni: dietro la fantasia di una storia solo immaginata, non c’è più la realtà a fare da sostegno. Fusi, a fare progetti, neanche ci prova. Lascia che siano gli altri a scegliere al suo posto. È una posizione imbarazzante, e neppure tanto comoda, però è l’unico modo per inserire un diversivo nella sua vita monotona ed abitudinaria. Il cambiamento è comunque imposto dall’esterno, e stenta ad attecchire. Alla fine si scoprirà chi, tra lui e il resto del mondo, è veramente inadeguato e immaturo. La consuetudine, in fondo, è indice di stabilità e tenacia. La si può finanche considerare come una forma di fedeltà. L’alternativa è, di contro, spavaldamente incerta, incostante, priva di principi, di punti di riferimento. Chi si crede già grande ha smesso di crescere, ha abbandonato la prudenza, non teme l’errore, e, così, non si accorge di essere indifeso di fronte all’imprevisto. Chi ha paura si fa invece avanti un passo alla volta, tastando con cura il terreno; procede con la precisione millimetrica del modellino di un panzer schierato in un deserto di cartapesta. È l’elemento piccolo in una vasta landa, che non offre alcun riparo, ed è pure piena zeppa di nemici. Soprattutto è affollata di gente che non capisce, non vede, è convinta di essere nel giusto e non sa di essere debole ed esposta alla sconfitta. Solo un bambino come Fusi può avere i sensi perfettamente funzionanti, ed una ragione attenta alle cose della vita, sensibile alle minime sfumature degli eventi, non ancora offuscata dai cliché. Quell’omone si muove con la saggia cautela di chi è consapevole di avere molto da imparare. È l’esploratore che indaga e scopre, e che, all’occorrenza, sa cambiare strada, senza con ciò tornare indietro. Il racconto del suo percorso è il tracciato su un tabellone in cui è la sorte del lancio di un dado a determinare il cammino, ma sono le invenzioni del creatore del gioco – i trabocchetti e le lusinghe che affiancano il sentiero - a fornire l’ispirazione, a suggerire le svolte, a stuzzicare la curiosità. Farsi trascinare, e intanto non demordere: la strategia bellica di Fusi è una singolare miscela di remissività e fermezza. Una passività che sfrutta l’energia altrui male indirizzata, per incamerare l’impulso necessario a proseguire  verso direzioni oculatamente vagliate, anche se non del tutto chiare. Dietro l’angolo ci aspetta il pericolo oppure la salvezza. Ma se non ci azzardiamo a guardare, la rivelazione ci sarà per sempre preclusa.  

 

Questo film islandese, dall’estetica soffusa, sottende un segreto tepore che, pudicamente, esita a schiudersi verso l’intimità.   Il realismo,  trattenuto eppure vigile, rimane confinato nell’attesa assorta del futuro, nella tacita preghiera che il domani non sia diverso dall’oggi. L’umanità interpreta la propria miseria con discrezione, riflettendo graziosamente su se stessa, senza autocommiserazione, ma con la pazienza che distingue i forti. La sua invisibile virtù è un piccolo tesoro nascosto, racchiuso dentro l’inferiorità. Un fiore che non sempre riesce a sbocciare. E che a volte è costretto a nascere da solo, lontano dal bosco, fuori dal cespuglio della gioia condivisa.  

 

Gunnar Jónsson

Virgin Mountain (2015): Gunnar Jónsson

 

Gunnar Jónsson

Virgin Mountain (2015): Gunnar Jónsson

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