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Godzilla

Regia di Gareth Edwards vedi scheda film

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La recensione su Godzilla

di ROTOTOM
7 stelle

locandina

Godzilla (2014): locandina

Quando 2 anni fa incontrai Shinya Tsukamoto durante l’Asian Film Festival di Reggio Emilia, finita l’intervista  a sorpresa gli misi di fronte sul tavolo un piccolo pupazzo di Godzilla. Originale giapponese, se esiste ancora qualcosa di originale. Con stupore. un brivido e un fremito attraversarono il viso del grande regista giapponese che lo guardò con distacco. Gli chiesi cosa rappresentasse per lui, la figura di Gojira. E la risposta fu semplice: guerra. Un simbolo di guerra.

Gli dissi che secondo una interpretazione  tutta nostra, occidentale, la figura di Godzilla era invece un simbolo di pace. Un feticcio della catarsi del popolo giapponese nei confronti dell’olocausto nucleare. Sconfiggendo Godzilla il popolo giapponese si liberava dall’incubo dell’atomica e poi successivamente, lo stesso mondo veniva protetto da altri mostri proprio da Godzilla stesso….
L’interprete filtrò le parole di Tsukamoto e mi disse: sei ottimista.

Da quel giorno di 2 anni fa, ricordando con affetto la disponibilità e l’intelligenza del padre del cyberpunk, guardo con sospetto il mostro Godzilla. Il sospetto che il senso ultimo della sua esistenza esistenza – perché esiste, eccome Godzilla, in quanto entrato nell’immaginario collettivo -   sia stata attribuita ai giapponesi da un atavico senso di colpa tutto occidentale mi aveva sempre solleticato la fantasia. Con l’incontro con Tsukamoto ne avevo avuto la conferma.

Poco importa che poi effettivamente nella serie infinita di film il dinosauro nato dalle radiazioni nucleari sia diventato un  difensore dell’umanità.  In effetti sempre guerra è.


Guardo con sospetto Godzilla proprio per questo motivo, perché ogni film ora mi sembra falso. Mi sembra un biopic, edulcorato e banalizzato, di una realtà pìù grande e complessa di ciò che viene mostrata. E’ storia che i giapponesi si appassionarono a King Kong rieditato negli USA nel 1952 e poi a Il risveglio del dinosauro del 1953 che in Giappone ebbe un grande successo. Il loro Godzilla era un simbolo di guerra e un inno all’innocenza perduta della natura, contaminata da un olocausto nucleare che avrebbe cambiato il destino per sempre. Non a caso, in America, il film  Godzilla del 1954 era stato proiettato solo nel circuito cinematografico della comunità giapponese. Il film venne poi rimontato due anni dopo, rigirato in alcune scene e rimontato con un inserto di Raymond Burr che ne cambiava parzialmente il senso. Il titolo era Godzilla, il re dei mostri!

 

scena

Godzilla (2014): scena

 

 

Questa sensazione dislocante mi ha toccato anche in questa ennesima riproposizione del grande Gojira. Film autoriale, cupo, non banale in effetti. Un film che non è un disaster movie tout court ma che deve sottostare alle impietose leggi di Hollywood per rendersi appetibile al grande pubblico pro-pocorn.

Ha però degli indiscutibili pregi. Il regista Gareth Edwards è quello di Monsters, piccolo film a bassissimo budget che ha fatto gridare al miracolo per aver montato una storia di mostri spaziali senza praticamente farli vedere. Il gioco del vedo non vedo è stato portato dal regista anche in questo film. Godzilla non è il personaggio principale, almeno nella prima parte del film. Si intuisce la sua esistenza e anche quando si palesa la sua possenza è sempre travisata dagli effetti speciali sulla ricerca della verosimiglianza piuttosto che rincorrere l’iperrealismo. A vantaggio del regista ci sono momenti visivi di grandissima potenza e bellezza (su tutti il cielo plumbeo solcato dai parà striati di rosso), pause d’autore nella meccanica dell’action.

La storia non è (così) banale. Godzilla in effetti non è ne’ buono ne’ cattivo. E’ un essere vivente che come tutti gli esseri viventi rispetta un equilibrio  più antico della terra stessa e risorge solo per mantenere vivo questo sacro equilibrio naturale quando l’uomo inopinatamente risveglia un supermostro alato. Equilibrio che l’uomo ha dimenticato. Ecco il sottotesto ecologico e monito all’umanità del quale Godzilla si erge come simbolo ma che in me ha risuonato come una nota falsa.

I nemici sono un paio di mostri preistorici che si nutrono di radiazioni, la  corporatura li accomuna ad altri Kaiju della Toho come Kamacuras, Rodan e soprattuto Mothra (il nome Mothra viene intravisto in una bacheca) .  Il mostro, ribattezzato  M.U.T.O. (Massive Unidentified Terrestrial Organism) è invincibile e spietato come può essere un animale di cento metri d’altezza che necessita di evolversi e riprodursi come natura impone alla faccia dell’ossessiva mania di sopravvivenza dell’essere umano. L’uomo è piccolo e non conta. L’altro sottotesto: siamo solo animaletti un po’ più evoluti alla mercé della grandiosità della natura e soggiogati ai suoi misteri. Ma questo significato profondo è asperso come zucchero a velo, impalpabile, sopra tutta la storia.

Le dolenti note arrivano dalle immancabili minchiate hollywoodiane in materia di intreccio che prevede:  il sacrificio dell’eroe (Bryan Cranston) che tutto sapeva ma che tutti credevano matto; l’eroismo del figlio (Aaron Taylor-Johnson) dell’eroe che nonostante tenti continuamente di immolarsi alla creatura una sceneggiatura connivente lo salva al di fuori di ogni logica; la solita storia d’amore e la famiglia (Elizabeth Olsen con inerte e paffuto bambinello) come cellula fondamentale della società in grave pericolo; visto che il film è di diretta emanazione (radioattiva) da una storia tutta giapponese ecco cacciato in scena il grande Ken Watanabe assunto per palesarsi costantemente con l’espressione in modalità “attonita”.

Ken Watanabe

Godzilla (2014): Ken Watanabe


Ma è comprensibile, visto il costo dell’operazione non era possibile una radicalità da film di genere. Nonostante questo Godzilla rimane un ottimo film d’azione, girato molto bene che non annoia e in più di una parte sorprende con idee che nei blockbuster hollywoodiani molto spesso latitano.

Mi rimane solo quel dubbio, nel cervelletto. Mi piacerebbe sentire Shinya Tsukamoto per sentire che ne pensa di questa trasposizione americana del loro simbolo di Guerra. E non è detto che non lo faccia.

 

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