Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Wes Anderson esaspera la materia del suo cinema raggiungendo la maniera più pura e alt(erat)a.
Grand Budapest Hotel è ispirata (de)costruzione (arte)fatta e raffinata di una composizione dalle grezze forme di mera fabula, tramutata in lucente lega favolistica e favellata. Elegantissima, curatissima, esplicitamente fintissima e finzionale; oggetto-soggetto che vive e rivive nelle gustose reiterazioni sceniche e narrative, come se un secondo (p)assaggio fosse cosa obbligata ai fini della comprensione del ritratto.
Sequenze e loquele rifratte nell'ottica del déjà vu (esemplari i siparietti a bordo del treno, o le espressioni - ed esplosioni - verbali che hanno per protagonista il concièrge-burattino interpretato da Ralph Fiennes); il testamento della ricca anziana Madame D. (superba Tilda Swinton, nella sua maschera "burtoniana"), fatto una volta poi un'altra poi scomparso e poi ripescata una seconda copia; e la storia stessa, raccontata da un tale che racconta un tale che racconta la sua, di storia: elementi tutti, che non sono mesti banali espedienti bensì rappresentano proprio emblematicamente il pensiero dell'autore.
E che coinvolgono con ritmo crescente lo spettatore nel giocoso disegno creato dal regista-architetto della fantasmagoria.
Disegno che, come di consueto, è costituito da linee e ghirigori dalla bizzarra apparenza caotica concepita e concretizzata in realtà con raro senso geometrico - ai limiti della paranoia - della configurazione estetica. Ma, mai come in questa occasione, i tratti schizzano in un moto parossistico che elevano la struttura a marchingegno ingegnoso le cui leve azionano un universo-luogo filmico immaginifico tanto impossibile quanto sensibilmente e intrinsecamente possibile nelle sue implicazioni e osservazioni sulla realtà. La cui essenza, come è noto, è fatta anche di eventi assurdi, di incontri e incroci con il surreale, di contaminazioni.
E così - mentre gli scenari assumono (sempre più) una dimensione affettata (quasi leziosa) nonché espressionista -, brandelli slapstick, noir-thriller e finanche horror (Willem Dafoe, implacabile killer sanguinario dai canini aguzzi e dai modi da sadico psicopatico pare rivenire direttamente dal set de L'ombra del vampiro), compongono un corpo-frankenstein immerso nell'atmosfera della car(tolinesc)a vecchia Europa (che fu).
Corpo che attraversa, alla maniera wesandersoniana, le varie fasi delle stagioni della vita, ritrovandosi pertanto di volta in volta nel più folle sfrenato delirio comico, alla deriva nel grottesco, negli imprevedibili saliscendi sentimentali, sulle vette della tragedia, avvolto da una coloratissima nube di riflessioni (sulla natura delle cose e del sentire e del sentirsi addosso l'odore di solitudine). Il tutto ravvivato ed esaltato dall'accompagnamento musicale del sodale Alexandre Desplat: invero, molto più di un accompagnamento, perché grazie alla strepitosa varietà dei motivi costiuisce con il componimento di Anderson un unicum di imprescindibile grazia e armonia.
Geniale, nemmeno a dirlo, l'ensemble attoriale (che siano disposti a qualsiasi cosa pur di recitare anche un piccolissimo ruolo con il regista de I Tenenbaum è pressoché certo), tra piccole partecipazioni fulminanti (la già menzionata Tilda Swinton, e Harvey Keitel magnifico capocomico di un manipolo di galeotti evasi), felici sorprese (il giovane co-protagonistaTony Revolori, che ha i geni per questo cinema), e parti principali azzeccate (sia Fiennes che Dafoe, come sopra detto, ma anche Saoirse Ronan e Edward Norton).
Per concludere, una curiosità proprio a proposito del cast: tra i compagni di cella e di fuga di Keitel figura anche un tal Wolf, ossia Karl Markovics, il divertente Stockinger delle prime annate de Il commissario Rex.
http://img2.wikia.nocookie.net/__cb20120506142632/rex/it/images/7/7b/Ernst_Stockinger_-_1.jpg
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