Regia di Baran bo Odar vedi scheda film
C’è modo e modo di tacere. A volte lo si fa squarciando il silenzio senza fare rumore, con una fuorviante allusione, un messaggio in codice fatto apposta per essere frainteso. La verità ama le vie traverse, è una sua istintiva tecnica di autodifesa. Spesso può rimanere intatta solo se quasi nessuno la sa. Un principio che è il terreno ideale per un giallo senza spiegazione. Non è semplicemente un mistero irrisolto, è un caso di cui sfugge la logica. Impossibile capire come affrontarlo. Gli inquirenti procedono a tentoni, cercando di riportarlo ai collaudati schemi del crimine ispirato dalla follia. Ma non ne possono cogliere il pensiero lucido e originale che l’ha generato. Inedito è il collegamento tra l’inizio e la fine, un legame che unisce due delitti apparentemente identici, separati da un intervallo di ventitré anni, ed apparentemente riconducibili alla perversa volontà di un maniaco. Due ragazzine uccise, nello stesso campo, nello stesso giorno del mese di luglio, mentre erano in giro con la bicicletta. La replica, a distanza di tanto tempo, di un assassinio rimasto senza colpevole. Noi spettatori sappiamo chi è stato, ma ciò non basta a capire il signficato complessivo della storia. Le sue due estremità si tengono, in un modo che non possiamo immaginare. Quell’anello mancante è il vuoto intorno a cui ruota una vicenda che grida i suoi perché in mezzo all’ansia e al dolore dei genitori delle vittime, un’angoscia ineffabile che si mescola con il senso d’impotenza e le allucinate iniziative di un vecchio poliziotto troppo saggio ed un giovane investigatore troppo sensibile e visionario, perché toccato a sua volta dal lutto, a causa delle recente morte per cancro di sua moglie. Si vorrebbe esplodere, ma le circostanze impongono di stare calmi. Occorre conservare la stessa tranquillità dell’omicida, per non scoprire i propri punti deboli. Ogni esitazione o intemperanza è un punto a suo favore. Bisogna dimostrare di non avere paura del buio, l’elemento che gli è più congeniale, e nel quale ama nascondersi. Lui sta lì, muto, ad aspettare, mentre noi, da questa parte della cortina impenetrabile del suo segreto, siamo costretti a soffrire, eppure ci tocca comunque andare avanti. Non tutti ci riescono ugualmente bene. Errori, eccessi, omissioni, aberrazioni continuano ad affiorare, incontenibili, dall’anonima superficie del contegno di rito e del rigore protocollare. La pazzia riga il quadro con la lama della sua creatività votata ad un caotico sadismo, che semina la pace solo per attivare i sensi di colpa e cancellare le tracce dei suoi crimini. Un criceto muore di fame. Un’auto finisce in un fiume. Un’altalena smette finalmente di cigolare. I giorni passano e la luce, gradatamente si spegne, prima quella della serenità, poi quella della speranza, infine quella della ragione. E il diavolo rimane, incolume e vincente, in fondo ad una strada che nessun umano, in condizioni normali, si arrischierebbe mai a percorrere. Das letzte Schweigen è l’ombra scomposta di un’avventura incompiuta, che si arrende prematuramente di fronte ad un’evidenza convenzionale, senza osare andare oltre, verso l’inconcepibile, ciò che si ritiene inesistente perché non dà segno di sé. Almeno non alla gente comune. Bisogna, infatti, avere l’anima scarnificata per sentirsi spirare addosso, da lontano, il beffardo refolo con cui esso malignamente, si rivela: un alito gelido che sfiora la pelle bagnata dal pianto, trasformando il brivido nel concitato stridio di una poesia incompresa e ribelle.
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