Regia di Mark Hartley vedi scheda film
Remake di un classico, fedele nel testo anche se più prosaico e banale nella realizzazione. Indebolito dall'uso eccessivo della tecnologia che vampirizza gli effetti speciali e le scene di dialogo -mentale via computer e/o chat- con Patrick. Sicuramente da vedere, almeno per quanti hanno apprezzato l'originale.
L'infermiera Kathy (Sharni Vinson), per lasciarsi alle spalle una relazione affettiva finita male, sceglie di dedicarsi al lavoro facendosi assumere nella clinica Roget. L'ambiente è particolarmente tetro, infatti si tratta di un ex monastero, convertito in clinica riservata a pazienti in coma. Qui Kathy resta impressionata dalla severità della capo infermiera Cassidy (Rachel Griffiths), figlia del dottor Roget (Charles Dance), e dalle brutali tecniche di studio perpetrate dal rettore -senza consenso dei pazienti- anche tramite elettroshock. In particolare Kathy comincia a credere che uno dei degenti, Patrick (Jackson Gallagher), in realtà sia consapevole di quanto accade nella clinica.
Dopo la regia di una lunga serie di cortometraggi e documentari, Mark Hartley debutta (purtroppo senza riscontro) in regia siglando la direzione di un remake molto difficile, data l'aura di culto che gravita attorno all'originale diretto da Richard Franklin nel 1978. Dopo un seguito apocrifo, a firma di Mario Landi (Patrick vive ancora, 1980), il soggetto torna nella patria di origine, in Australia, per una nuova trasposizione nel testo a firma di Justin King.
L'autore sceglie di ripercorrere quasi pedissequamente la trama del capostipite inserendo modiche varianti, tipo l'insistita spiegazione delle condizioni di Patrick, fatte risalire ad un trauma infantile dovuto alla facilità di una madre che -anziché prendersi cura del figlio- preferisce fare il bagno nuda con il primo uomo che capita. E proprio queste inopportune variazioni, sommate ad una necessità carnale (tanto più implausibile per un comatoso, privo di sensibilità tattile) di Patrick -si pensi al mantra: "Patrick vuole la sua sega"- abbassano il livello del film, fino a fargli sfiorare, complice anche l'abuso di CGI e tecnologia digitale, il più pericoloso limite del trash.
Per fortuna l'ottima fotografia, appaiata alla professionale colonna sonora di Pino Donaggio, valorizza ogni sequenza, aiutando il regista a mantenere alto il livello di messa in scena. A conti fatti questa rilettura di un classico svolge il suo ruolo di divertissement puro, soprattutto se confrontato con il film italiano di Landi, con il quale ha più punti di condivisione: se non è qui presente un'attenzione morbosa al nudo femminile, resta però forte e costante una eversiva dose di violenza, talvolta così estrema da slittare -involontariamente- nella parodia.
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