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Django Unchained

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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Gangs 87

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La recensione su Django Unchained

di Gangs 87
8 stelle

Domenica. Tardo pomeriggio. Giornata uggiosa ma non fredda. Sala maggiore di un multisala di città. Gremita. L’attesa è finita, ci siamo, si abbassano le luci e sembra che il cuore smetta di pulsare. Due trailer e poi via con i titoli d’apertura rosso sangue in puro stile western, con tanto di colonna sonora di Bacalov in sottofondo che scandisce i passi a tempo di schiavi in catene che marciano in fila tra cui spicca lui: Django Freeman. Poi cala la notte e si accende una luce, quella del dottor Schultz che apre le danze e le catene donando libertà materiale ma non morale, quella arriverà alla fine, forse. Scorre tutto in modo molto veloce e divertente, la sala ride e riflette, si rilassano tutti e non fanno caso nemmeno al sangue che scorre a fiumi. Si rilassano tutti ma non io, che mi concentro e scruto volti e sguardi degli attori che si susseguono sullo schermo e, devo dirlo, sono bravi nel non essere se stessi. Bravo Jamie Foxx, pur essendo stimatrice di Django-Franco-Nero non mi aspettavo davvero potesse piacermi tanto: sottovalutato. Bravo Christoph Waltz, l’ho accusato di un Golden Globe immeritato (a prescindere, solo perché l’aveva tolto a chi so io) e di un Oscar-nomination evitabile: non ha avuto nulla che non strameritava. Bravo Don Johnson, cameo irrinunciabile. Bravi tutti ma io aspettavo lui e fremevo per vederlo: Calvin J. Candie. Quando è arrivato l’agognato momento e lui è comparso, di spalle e seduto, con quell’ormai noto completo bordeaux e il capello lungo e le mani anellate, non ho potuto trattenere un sorriso di compiacimento che mi è rimasto sul volto fino alla (sua) fine. Leo DiCaprio è immenso. Spaventoso. La sala rideva fino a un attimo prima della sua entrata in scena, un attimo dopo la sala si è zittita e un alone di tensione aleggiava tra noi. Nemmeno un brusio, nemmeno un sospiro. Attori e spettatori pendevano dalle sue labbra, tremavano alle sue urla e sobbalzavano ai suoi colpi. La paura fendeva l’aria che piano piano diventava pesante fino ad essere irrespirabile nella scena del teschio, in quel monologo che bastava ad assegnargli quell'Oscar tanto agognato. E invece niente, nemmeno la nomination. Ci ha messo la faccia, ci ha perso il sangue, ci ha lasciato l’anima e lui si è guadagnato nient’altro (?) che un posto ancora più in alto sul podio degli attori con la “A” maiuscola. Calvin J. Candie giganteggia per mano di un DiCaprio camaleontico e sublime che resta in scena troppo poco ma che comunque rimane memorabile. Ho adorato Leo e Samuel Lee Jackson, l’unico a tener testa ad un attore (Leo) che riesce ad essere troppo nel poco. I loro duetti sono stupendi, magistrali, sono duetti di attori con il cinema che gli scorre nelle vene. Peccato per quel “troppo poco” di sopra. Tutti bravi, Tarantino compreso anche se si lascia prendere la mano e prosegue con un film per mezz’ora in più del necessario concedendo a Django quella “vendetta” insapore che sarebbe stato meglio lasciare incompiuta, almeno per ora. Nota dolente, oltre alla lunghezza eccessiva e ingiustificata e al poco spazio lasciato a Leo, c’è il doppiaggio italiano che pur trovando in me una cultrice di esso, deve concedermi la licenza di rimprovero per un lavoro incompiuto che non rende giustizia allo sforzo eccellente che l’intero cast ha compiuto su accenti e lingue usati e che danno ai personaggi spessore e carattere. Tutto il resto è in stile Tarantino, uno stile inimitabile pulp-splatter.

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