Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
È il 1858 e negli USA la febbre razzista e schiavista che ha contagiato gli stati del Sud è altissima: mancano appena due anni alla guerra di secessione. È in questo clima che il tedesco Dott. Schultz (un Christopher Waltz di debordante bravura, capace di dominare la scena per tutto il tempo in cui si trova davanti alla cinepresa), cacciatore di taglie colto e di larghe vedute, baratta la mira dello schiavo Django (Foxx), al quale ha letteralmente tolto le catene (notevole anche il doppio senso del titolo), con la promessa di ritrovargli la moglie (Christopher), finita in chissà quale piantagione e a fare chissà cosa. Di testa in testa, di cadavere in cadavere, i due, con la scusa di voler investire sui lottatori mandingo, arrivano nella magione di Calvin Candie (interpretato dal solito DiCaprio in stato di grazia), presso il quale lavora la donna tanto cercata. Vietato raccontare il finale. Dopo aver chiuso il precedente Bastardi senza gloria mettendo nella bocca di Brad Pitt le parole "credo proprio che questo sarà il mio capolavoro", Tarantino va a un soffio dal bis con un western che parte dalle sue fissazioni cinefile per i b-movies, i poliziotteschi e gli spaghetti western italiani degli anni '60 e '70 e dalla sua enciclopedica cultura filmica, ci infila Franco Nero - che nel 1965 era stato il protagonista nel Django di Sergio Corbucci - in un cammeo, e dà fondo a tutta la voracità di chi padroneggia a totale piacimento la materia cinematografica. Così, mentre l'ennesimo pezzo di controstoria americana viene rivisitato di scena in scena (lo schiavismo, sì, ma anche tutti i suoi effetti satellitari, dal Ku Klux Klan al negro kapò più razzista dei neri, fino al fanatismo fideistico nella scienza positivistica dell'Ottocento), il genio pazzoide di Pulp fiction ci squaderna davanti tutta la sua maestria. Dalla cura per i dettagli scenografici a quella per il linguaggio erudito del medico poliglotta, passando per una colonna sonora che spazia arditamente tra i generi, senza dimenticare i costanti riferimenti al fumetto, le continue iperboli di violenza in costante equilibrio tra hard boiled e blaxploitation, e, ovviamente, l'ironia e le virate comiche dispensate a manciate. Il soffio che tiene questo magnifico buddy movie a distanza infinitesimale dal capolavoro è quello sulle colt che fumano forse con troppa insistenza in un finale al quale si arriva con un minuscolo buco di sceneggiatura.
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