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Mr. Brooks

Regia di Bruce A. Evans vedi scheda film

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La recensione su Mr. Brooks

di scapigliato
6 stelle

Il film parte malissimo. Ma poi improvvisamente, senza avvertirti, si sviluppa in qualcosa di strano, qualcosa di difficilmente etichettabile. Racconta troppe storie intrecciandole, eppure tutto rimane piacevolmente liquido, non si solidifica, e questa ne è la forza. Perché “Mr. Brooks” è questo: è l’incubo dell’americano che lascia ai figli il suo DNA malato. Letto per esteso suona come “l’America che lascia in eredità ai suoi cittadini lo sporco che è e che perpetua”. Prodotto dallo stesso Kevin Costner, repubblicano di razza come Clint Eastwood, ma come quest’ultimo non meno umanista dei radicali di sinistra, il film è un collage neanche tanto brusco di più situazioni diverse, a volte anche a sé stanti, che non hanno la pretesa di confezionare il solito thriller dove tutto quadra e torna. Un serial-killer che dà la caccia alla detective Demi Moore che a sua volta dà la caccia al serial-killer Kevin Costner che ha una figlia anch’essa assassina seriale per eredità. Una storia quindi improbabile, facile vittima di incongruenze, cali di tono, e sciatteria narrativa (e il sub-plot del serial-killer che dà la caccia a Demi Moore si poteva appunto evitare). Invece si dimostra un tentativo non banale di portare all’estremo le estreme conseguenze di una storia estrema. Così s’inserisce un fotografo psicopatico che vuole guardare il lavoro seriale di Costner, e un’anima nera impersonata da William Hurt che duetta e duella con Kevin Costner di cui ne è l’ombra. Sorprendentemente il film, ad un passo dal baratro, non si suicida lanciandosi nel vuoto dell’inconsistenza, bensì fa del suo estremismo lo specchio deforme con cui ri-vedere la storia raccontata. Così appare più facile sorprendersi del ruolo di Costner, poco adatto a queste parti, e a seguirne i passi e decifrarne le conversazioni con l’altro da sé mentre fuori diventa notte. Il film infatti è molto oscuro. Quasi totalmente annerito e rabbuiato dall’animo nero di un Paese che è irrimediabilmente impazzito, deformato, atomizzato, sdoppiato. Se però il film sorprende in questa direzione, non dice nulla dal punto di vista espressivo. Niente nella forma, a parte la scelta della predominanza delle zone buie e notturne per la maggior parte della messa in scena, riscontra la frammentazione dell’Io che la pellicola suggerisce come male incurabile americano oggi. La regia è assente. É di maniera. É commissionata. Esaltano solo due scene su tutte: la sparatoria tra Demi Moore e il serial-killer che la vuole morta, e quella pure-gore della forbice, con tanto di luci ad intermittenza. La prima è una bellissima sparatoria come non se ne vedevano da anni. Forse troppo breve, ma secca, amplificata, essenziale, montata con ritmo e senso plastico che si vede poi anche nella messa in scena minimalista ma efficace. La seconda è una scena con tanto sangue che zampilla, arrivata improvvisa senza un minimo di preavviso, e questo è un particolare piacevole. Il film termina sull’orazione continua di Kevin Costner. Una preghiera che “l’uomo del giorno dopo” eleva a formula espiatrice e in cui è segretamente taciuto, credo, il fine ultimo del film. Il fatto che Kevin Costner resti pressocchè inespressivo per tutto il film, sbucando da zone in ombra come un’anima prava, e che poi riesca ad avere sprazzi di follia contenuta, non lo fanno però l’interprete giusto per questo ruolo. Se fosse stato più folle, e non una mediazione tra la sua parte sana e quella malata, forse avrebbe inciso di più. Resta un mistero perché Costner sia il miglior regista classico americano dopo Eastwood e l’attore che non ne imbrocca più una giusta. Infatti, se “Mr. Brooks” è un film che merita di essere valutato con interesse enigmistico, visto che va decifrato, lo ammetto, con un po’ di clemenza, è comunque un film che nella carriera contemporanea di Costner non dice nulla. Certo è apprezzabile l’idea di interpretare un serial-killer, ma “Mr. Brooks” non è un normalissimo psycho-movie, è tutto concentrato sul tormento interiore di lui e l’indagine di lei, è piuttosto una discesa oscura e riuscita verso l’eredità malata dell’America post-11 settembre.

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