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Sukiyaki Western Django

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sukiyaki Western Django

di port cros
7 stelle

Il divertissement-omaggio, eccessivo, ironico ed a tratti folle, di Takashi Miike allo spaghetti-western ed al citazionismo tarantiniano si risolve un'operazione cinefila non perfetta, ma gustosa e godibile nella sua scanzonata vitalità.

 

 

Omaggio del regista giapponese Takashi Miike allo spaghetti western, che diviene pertanto sukiyaki-western , è costruito su riferimenti ovvii a Per un Pugno di Dollari, con il pistolero che giunge in un villaggio lacerato dalla faida tra due clan rivali (ma d'altronde Leone l'aveva copiato da Yojimbo di Kurosawa, quindi per il tema è un ritorno a casa) e al Django di Sergio Corbucci (la mitragliatrice occultata nella cassa da morto). Addirittura prima dei titoli di coda veniamo informati che il bambino sopravvissuto da grande si trasferirà in Italia dove diventerà noto col nome di Django (in una citazione che è puramente metacinematografica perché il personaggio di Django interpretato da Franco Nero non era certamente giapponese, ma neppure italiano, bensì yankee doc). Per non parlare della colonna sonora morriconiana al 100%.

Riferimenti vengono poi presi a piene mani principalmente da Kill Bill, con la figura della donna vendicatrice e il duello sotto la neve, e in generale dall'immaginario del Vate dei riferimenti leoniani, Quentin Tarantino, che ancora doveva girare il suo Django Unchained del 2012, e che qui partecipa come attore in un cameo, nell'incipit e più avanti invecchiato (da un trucco atroce, non si può tacere).

 

 

Il film è un divertissement-omaggio eccessivo, ironico ed a tratti folle, che non tiene certamente conto di alcuna verosimiglianza storica, ambientato in un Giappone immaginario che assomiglia troppo al West americano (c'è pure un incongruo sceriffo bipolare con tanto di stella), né si fa spaventare dal rischio del kitsch. Ma, e questo è il suo maggior pregio, è soprattutto un'occasione per consentire al regista di dare sfogo senza freni al suo notevole estro visivo, fin dall'incipit in cui i personaggi si muovono di fronte ad un fondale volutamente artificioso dove il sangue schizza sul cielo di cartapesta, e poi con i suoi colori sgargianti e le trovate ad effetto come il freeze frame sul salto dalla finestra sul cavallo, fino al duello finale sotto la neve katana contro pistola (puro tarantinismo).

 

 

Almeno all'inizio il film avvince anche nella sceneggiatura, e diverte coi personaggi speculari dei due crudeli capi-clan avversari (l'elegante-algido leader dei bianchi contro il sanguigno capo dei rossi, rozzo ma comunque appassionato delle tragedie di Shakespeare al punto da volersi far chiamare Enrico), forse anche per i citati riferimenti a storie già note ed apprezzate. Tuttavia verso la metà e nella sezione finale si ingarbuglia in una trama che diventa confusionaria e meno credibile (perché la Bloody Benten non si era vendicata quando le hanno ammazzato il figlio?), mentre le sparatorie finiscono per diventare ripetitive, riprendendosi solo col duello finale sotto la neve. Anche il personaggio di Tarantino assume una valenza più citazionista che altro, risultando poco funzionale allo sviluppo della trama.

 

Si tratta comunque di un'operazione cinefila assolutamente godibile e immaginifica nella sua folle e scanzonata vitalità.

 

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