Regia di Hiroyuki Okiura vedi scheda film
Un reale pezzo di storia dell'animazione poiché rappresenta il primo grande distacco tra generazioni di animatori all'interno del cinema animato giapponese. Film adulto, riflessivo, a tratti spietato e straziante.
Jin Roh racconta una storia crudele e ideale, in cui lo scontro generazionale tra chi è cresciuto in Giappone durante il dopoguerra e chi, invece, è nato durante il boom economico degli anni Sessanta viene a galla attraverso un universo narrativo distopico e adulto sia in termini di simboli(smi) e significati, sia in termini grafici, dai tratti estetici e caratteriali dei personaggi al setting dell'opera.
Nel mondo scritto da Mamoru Oshii, il Giappone ha perso la Seconda Guerra Mondiale non per mano americana, bensì per mano tedesca. Il disastro nucleare che ha decretato la "grande sconfitta" giapponese è comunque avvenuto e la Germania nazista ha occupato l'arcipelago negli anni successivi la fine dei conflitti. Il passato parallelo creato da Oshii cambia quindi gli attori ma non la sostanza.
Il film è ambientato in una data precisa: il 9 febbraio del 1962. L'agente dell'Unità Speciale della DIME Kazuki Fuse non riesce a sparare ad una giovane terrorista, la quale pochi secondi dopo si fa saltare in aria. Dopo settimane passate in terapia sia fisica che psicologica, Fuse deve fare i conti con una Tokyo che sta rapidamente cambiando in attesa dei giochi olimpici del 1964, i quali faranno decollare il Giappone tra le nuove superpotenze mondiali. Molti sono i poli che si oppongono l'uno all'altro in visione del "miracolo economico" annunciato dall'alto: il potere, le forze dell'ordine, la rincorsa al benessere, l'apertura del Giappone verso il mondo, gli usi e i costumi occidentali si scontrano violentemente contro gruppi antigovernativi, terroristi, manifestanti che lottano perché il Giappone abbia ancora delle radici culturali incontaminate, lavoratori sfruttati e conservatori che vedono sotto i loro occhi una Nazione che giorno dopo giorno sta perdendo la propria identità popolare. Mentre la sceneggiatura di Oshii lascia trasparire l'atmosfera calda e la collera che si respirano nell'aria, la regia di Okiura invece colora il film con tinte fredde e quanto più inespressive. Infatti, dalla messa in scena del lungometraggio si capisce che un altro scontro è in atto, questa volta durante la produzione dell'opera e non all'interno della storia. Mamoru Oshii, ideatore della kerberos saga (di cui Jin Roh è l'ultima grande opera cinematografica), avrebbe voluto girare il suo progetto, e sicuramente il risultato sarebbe stato diverso: più politico e simbolico, meno concentrato sulla storia d'amore tra Fuse e Kei e ancora più spietato di quanto risulti già il film in sé. L'opera, appena dopo la conclusione di Ghost In the Shell nel 1995, era stata pensata come una serie per il mercato home video divisa in sei puntate, un metodo di pubblicazione che il gruppo Headgear di Oshii aveva già adottato per gli spin-off di Patlabor, per l'anime Maroko e per il progetto, mai davvero consluso, Twilight Q. Hiroyuki Okiura, direttore delle animazioni e designer di Patlabor 2: Il Film e Ghost In the Shell, avrebbe dovuto avere in mano la regia di una delle puntate, ma col passare del tempo i vertici di Bandai Visual e Production I.G decisero che Jin Roh doveva essere un lungometraggio animato e che lui sarebbe stato il regista del film. La produzione di Jin Roh dura circa tre anni, fino al 1998, quando l'opera viene presentata in Francia prima che in Giappone.
Okiura, per essere alla sua prima regia, fa un lavoro straordinario. Senza dare troppo conto al soggetto scritto da Oshii e addolcendo certe sequenze, il film che viene alla luce è un vero e proprio cult dell'animazione giapponese. Sotto una pioggia battente, personaggi scritti per far emergere il contorno della storia ed evidenziare la crudeltà delle fazioni in campo (il potere e la ribellione), risultano umani spenti e privi di espressività vivaci, di emozioni accese e di vita pulsante. Tutto il rancore scritto da Oshii viene trasportato da livello sociologico del mondo esterno a livello psicologico, del singolo, del mondo interno ed emotivo. Grazie anche alla fotografia di Hisao Shirai, Jin Roh acquista da dopo l'incipit un valore folkloristico e antropologico diverso da quello che voleva l'autore dell'opera. Nulla del lavoro di Oshii viene stravolto, ma il focus si sposta da un universo macro ad uno molto più piccolo e intimo, forse anche per l'oculatezza di Okiura che non vuole "strafare" alla sua prima regia, visto che - come detto da lui stesso più volte - mentre lavorava al film sentiva tutta la pressione che gli facevano percepire costantemente i produttori.
In quest'ottica divisa, dunque, si sviluppano i cardini concettuali di Jin Roh: Rotkäppchen e il concetto di uomo-cane. Per Oshii, cresciuto durante gli anni della rivolta studentesca, la fiaba di Cappuccetto Rosso serve ad esemplificare l'andamento distruttivo del popolo giapponese, il suo essersi adagiato alla vita spensierata e priva di reale libertà. Nell'opera, infatti, gli individui non agiscono secondo la propria volontà, sono vittime di eventi che non possono gestire e di persone che manipolano costantemente passato, presente e futuro dei personaggi. La prospettiva di Oshii è quindi improntata all'analisi della società giapponese e al rifiuto di un sistema che obbliga le persone a cibarsi del proprio Paese prima che esso le divori a sua volta. La poetica più sociale di Oshii, da questo punto di vista, è rafforzata da una delle sue migliori sceneggiature, la quale, assieme a quelle di Patlabor 2: Il Film e Blood: The Last Vampire, rispecchia in maniera più lampante l'astio dell'artista nei confronti del Giappone colonizzato, reso docile dai potenti e cieco di fronte alla realtà dei fatti, ovvero che la pace e la libertà sono e saranno sempre gigantesche illusioni per ammaliare le masse.
Okiura recupera solo in parte questa chiave di lettura e incorpora i due protagonisti nella fiaba di Charles Perrault, quella originale, nella quale non vi è alcun tipo di lieto fine. Le dimensioni simbolica e morale del film prendono in prestito quelle del racconto Cappuccetto Rosso del 1697, nel quale la protagonista viene mangiata senza poi essere salvata dal cacciatore.
"Qui si vede che le care bimbe, han torto di ascoltare persone non fidate, perché c'è sempre il Lupo che se le può mangiare. Dico il Lupo perché non tutti i lupi son d'una specie..."
(Charles Perrault, Cappuccetto Rosso, 1697)
Il nome del protagonista di Jin Roh, Fuse, è composto dagli ideogrammi "uomo" e "cane". Il nome significa letteralmente ciò che un uomo dice ad un cane per tenerlo sotto il suo controllo: "a cuccia". Il cognome Kazuki, invece, vuol dire "coerente" o "fedele". Il personaggio principale, dunque, rappresenta sia il braccio del potere che obbedisce agli ordini senza fiatare, sia la costante filosofica cartesiana di "essere pensante" per potersi definire reale. Nonostante nel film non siano presenti citazioni o rimandi a René Decartes (molto comuni nei film di Oshii), la natura animalesca di Fuse non lo eleva ad essere umano. "Non siamo uomini vestiti da lupi, siamo lupi vestiti da esseri umani" dice il comandante dell'Unità Speciale, indicando che per esserne membro, una persona deve rinunciare alla propria umanità, diventare parte di un branco che esegue e non ragiona, agisce senza scrupoli. Kazuki Fuse è il Batou che si è arreso alla condizione di essere una proprietà altrui, che non ha capito l'importanza del ghost per potersi definire reale. Jin Roh però non parla di realtà, ma dell'appartenere all'umanità, e come il corpo di Batou appartiene alla sezione nove, quello di Fuse appartiene al governo. Essi sono entrambi schiavi del potere. Uno è lo schiavo costantemente pensante ma troppo impaurito per sbarazzarsi del proprio corpo, mentre l'altro è lo schiavo che pensa solamente nei pochi momenti di dubbio, quegli istanti che gli fanno sembrare la propria vita una vita da essere umano.
Jin Roh è considerato l'ultimo kolossal analogico del cinema d'animazione giapponese. Quando la direzione del progetto fu affidata a Okiura, il giovane animatore pose delle condizioni che, se non fossero state rispettate, lo avrebbero portato ad abbandonare subito la regia del lungometraggio. Le condizioni erano che il film dovesse raccontare la storia di un uomo e una donna e che essa non fosse tratta da un capitolo del manga di Oshii Kenro Densetsu (La Leggenda dei Cani-Lupo, 1988), fumetto che delinea l'universo distopico della kerberos saga. Okiura mise subito in chiaro, quindi, che la sua prima esperienza come regista doveva trattare un soggetto ex-novo, non un racconto riciclato. La sua posizione così ferma e decisa fece capire ad Oshii che aveva la stoffa per diventare un regista, benché l'ideatore di Jin Roh, anche all'uscita del film nelle sale cinematografiche, avesse un senso di frustrazione dentro sé, sfogato in un'intervista visibile nei contenuti speciali del dvd, per non aver potuto sviluppare l'opera a modo suo. Il distacco maggiore che si percepisce rispecchia, infatti, il divario generazionale che porta Jin Roh ad essere un film creato su basi scritte da un uomo appartenente alla "generazione limite" (1955-1965), quando il Giappone, appena uscito dall'occupazione statunitense, stava cercando di rialzarsi e ricucire le ferite causate dalla Seconda Guerra Mondiale, e poi animato e diretto da uno staff di persone nate dopo le olimpiadi di Tokyo, ovvero durante il boom economico. Secondo Oshii, chi non ha visto e vissuto il Giappone prima che diventasse il Paese che è oggi, non può capire fino in fondo l'importanza degli ideali, della lotta per far sentire la propria voce, dell'essere intellettualmente anarchici. Okiura sicuramente ha creato un film dall'impatto emotivo notevole, anche grazie alle meravigliose musiche di Hajime Mizoguchi (marito della compositrice Yoko Kanno), dal gusto estetico originale e interessante, ma non è riuscito a trasmettere il dramma nazionale scritto da Oshii, ridimensionandolo a dramma umano e, perciò, perdendo parte della cornice concettuale con cui erano state impostate l'opera scritta e l'intera kerberos saga.
Grazie a sovrapposizioni di lastre per la colorazione dei disegni e dei fondali, Jin Roh acquista tinte tenui e opache, tendenti all'ocra e al seppia. Lo staff cerca, dunque, di sviluppare la narrazione all'interno di un'atmosfera nella quale gli anni Sessanta non vengono solamente percepiti ma proiettati letteralmente su uno schermo dell'epoca. Il character design di Okiura dona importanza ai volti, agli sguardi, alle rughe dei personaggi, donando loro quell'aspetto dal target seinen che prima aveva contraddistinto Patlabor 2: Il Film e Ghost In the Shell e dopo avrebbe caratterizzato il secondo film del regista: Una Lettera per Momo.
Jin Roh è un reale pezzo di storia dell'animazione poiché rappresenta il primo grande distacco tra generazioni di animatori all'interno del cinema animato giapponese. La fine degli anni Novanta è stato uno degli ultimi periodi d'oro per l'animazione orientale, il quale si è protratto lungo il primo decennio degli anni Duemila con opere dello Studio Ghibli, Production I.G, Madhouse e Studio 4° ed è culminato nel 2013 con i testamenti artistici di Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
Sperando che Hiroyuki Okiura torni presto con un altro film, concludo la recensione. Grazie per l'attenzione.
Film inserito nei capolavori del cinema animato (come capo d'opera).
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