Regia di Mamoru Oshii vedi scheda film
Capolavoro che ha fatto letteralmente scuola e che ha istruito tutti i registi che dal '95 in poi si sono voluti cimentare nel genere action-cyberpunk (in primis le sorelle Wachowski e il loro successo Matrix)
Il film più famoso di Mamoru Oshii è un capolavoro della fantascienza cinematografica moderna. Sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista tecnico, il lungometraggio del 1995, basato sul manga omonimo di Masamune Shirow, negli anni successivi la sua uscita influenzerà in maniera radicale gran parte della cinematografia di genere sci-fi, promuovendo una versione del topic cyberpunk fortemente legata alla filosofia cartesiana. A sbalordire sono, innanzitutto, la regia di Oshii, uno dei più grandi se non il più grande regista d'animazione della storia del cinema, e la sua attenzione verso il dettaglio estetico delle immagini, entrambi elementi fortemente influenzati dalla scuola registica di Andreij Tarkovsky: sequenze statiche, evocative e dall'impronta perennemente introspettiva a prescindere che in campo vi sia un personaggio o semplicemente un ammaliante scenario. Infatti, proprio il focus registico di Oshii in Ghost In the Shell, posto sulle ambientazioni, fatiscenti quanto futuristiche, offre per più di una sequenza la sensazione di trovarsi nello stesso setting di Stalker (1979) proiettato in un futuro nemmeno poi troppo lontano dalla nostra realtà. Avanguardia scientifica e degrado convivono infatti in una Tokyo umida e grigia, avanzata e al tempo stesso dal respiro primordiale.
La metropoli si dirama come un enorme formicaio nel quale i cittadini, alcuni umani o robot, altri cyborg, procedono inesorabili per le strade giorno dopo giorno compiendo i propri doveri, senza avere né il tempo di pensare, né quello di porsi domande circa la propria esistenza. Solo la protagonista, il maggiore Motoko Kusanagi, capo della sezione 9 "crimini informatici" della polizia di Tokyo, sembra soffrire di questo impiccio che rappresenta l'interrogativo filosofico per eccellenza. Per questo motivo, Ghost In the Shell regala alla storia del medium animato uno dei personaggi femminili più curati di sempre e riesce, dal meraviglioso incipit fino all'altrettanto sbalorditivo finale del film, a rendere Kusanagi un cyborg che, malgrado sia ovviamente limitato nell'esprimere emozioni, impressiona per intelligenza, carisma, intraprendenza, bellezza e forza fisica. La trama è un racconto di spionaggio dal sapore tetro - ma non ancora noir come sarà quello del sequel del 2004 - nel quale un criminale misterioso, il "signore dei pupazzi", dà filo da torcere alla protagonista e ai suoi colleghi compiendo azioni di hacking che sconvolgono gli equilibri politici della nuova Tokyo.
Kusanagi sente dentro il suo ghost - il proprio Io, la propria coscienza - l'esigenza di doverlo incontrare non per arrestarlo, bensì per via di una motivazione interiore che la spinge a dubitare della sua stessa volontà e della sua stessa essenza. La protagonista, infatti, vede nell'entità criminale una possibile fonte di inarrivabile saggezza, un oracolo pronto a rispondere alle molte domande esistenziali che la angosciano.
Mamoru Oshii, tramite i personaggi e la sua impeccabile regia, e Kazunori Ito, sceneggiatore tra i più importanti e seminali dell'animazione giapponese, declinano il pensiero cyberpunk, per sua natura distopico e dal retrogusto amaro e mai del tutto gratificante, in una messa in scena cupa, grazie anche alla fotografia di Hisao Shirai (Jin Roh - Uomini e Lupi), e in una visione completamente cinica e disillusa della vita terrena, facendo così superare all'opera il cliché alla Blade Runner del dubbio circa le menti altrui o, detto in gergo epistemologico, dello "scetticismo verso l'introspezione": concetto filosofico che, seguendo il principio cartesiano secondo il quale cogito ergo sum (penso quindi sono), scetticamente pone il dilemma sulla natura pensante e dunque autonoma di ogni mente che non sia quella gestita dalla nostra volontà.
Lo studio di animazione Production I.G crea innovazioni tecniche eccezionali, soprattutto per quanto riguarda il miglioramento grafico della cgi e l'avanzamento della computer grafica implementata nella tecnica d'animazione tradizionale. Il gruppo Headgear, in cui spicca il giovane character designer e futuro regista Hiroyuki Okiura, adotta per la seconda volta, perfezionando gli asset introdotti in Patlabor 2: The Movie (1993), modelli computerizzati e script digitali per realizzare sia alcuni dei fondali, sai l'effettistica speciale del lungometraggio, riuscendo dunque a creare diversi piani d'immagine ibridi tra il 2D e il 3D, presenti per buona parte del film, in una maniera sorprendentemente efficace. Si tratta di un sistema di rendering estremamente innovativo, uno dei primi esempi del tutto riusciti e non solo sperimentali di fusione tra animazione tradizionale e animazione computerizzata. Anche per questo, Ghost In the Shell vanta il maggior numero di scene iconiche e stilisticamente rivoluzionarie della storia dell'animazione orientale. Probabilmente si tratta dunque di uno dei film d'animazione realizzati con più cura nella forma, nonché di una delle opere cinematografiche di fantascienza tecnicamente più riuscite di sempre.
Nel capolavoro assoluto di Mamoru Oshii, infatti, sono presenti per più della metà del lungometraggio sequenze evocative di altissimo livello tecnico, estetico e concettuale come "Il dialogo sul motoscafo" - dove è presente l'unico "effetto Vertigo" perfettamente calibrato della storia dell'animazione - e "Il viaggio di ritorno in battello". "Motoko vs Tank", tuttavia, è forse il segmento filmico più importante di tutta l'opera. Esso rappresenta lo scontro diretto tra la protagonista e un carro armato all'interno di una struttura simile a un padiglione per le esposizioni, oppure a una chiesa abbandonata. Il carro armato sta difendendo l'automobile nella quale si trova l'essere con cui il maggiore Kusanagi vuole avere a tutti i costi un contatto, ovvero il famigerato "signore dei pupazzi". Tale sequenza d'azione e di tensione, nella quale si alternano una dopo l'altra autocitazioni simboliche e filosofiche derivate da Angel's Egg, film onirico diretto da Oshii nel 1985 (le raffigurazioni gotiche che si stagliano sul tetto della costruzione, l'albero genealogico che viene inquadrato dalle radici ai rami più esterni), rappresenta stilisticamente la nuova scuola registica del genere action-cyberpunk assieme a un'altra scena iconica del lungometraggio, ovvero lo scontro tra Kusanagi e l'hacker fantoccio che avviene in seguito al pedinamento di inizio film.
Questi due segmenti istruiranno tutti gli artisti della settima arte che dal 1995 in poi vorranno cimentarsi in questa tipologia di cinema sci-fi, in primis le sorelle Wachowski, autrici e registe che proprio grazie a Ghost In the Shell riusciranno a fine anni '90 a produrre il loro più grande successo: Matrix. "Motoko vs Tank", inoltre, rappresenta il vero e proprio climax del lungometraggio; una successione perfetta di inquadrature in cui il corpo della protagonista si disintegra dopo aver sostenuto una prova di forza fisica troppo pesante persino per i suoi muscoli completamente meccanizzati. Un'altra sequenza emblematica di questo capolavoro è quella che più lo ha rappresentato durante questi decenni: "Making of a cyborg" o, più semplicemente, la sequenza che accompagna i titoli di testa. Essa rappresenta ancora oggi sia la massima espressione registica di Mamoru Oshii, sia, nonostante al suo interno sia presente l'unico frame utilizzato due volte nel lungometraggio, una delle migliori prove tecniche mai sostenute dagli studios Production I.G.
La scena si sviluppa infatti attraverso una successione frenetica di fotogrammi, primi piani curati ed evocativi e si presenta perfettamente coordinata con l'andamento delle musiche composte dal polistrumentista Kenji Kawai. "Making of a cyborg" descrive come la protagonista sia stata effettivamente creata. A partire dall'assemblaggio delle componenti meccaniche dello scheletro (idealizzate e rifinite dal mechanical designer Shoji Kawamori), l'elaborazione del corpo continua a svolgersi in vasche di soluzioni chimiche acquose, nelle produzioni delle sue parti organiche e in altri processi, tutti meticolosamente descritti da animazioni ottimizzate in maniera quasi maniacale. A tali segmenti filmici, inoltre, si alternano i titoli di testa del film, nomi e cognomi scritti dagli animatori sia con caratteri occidentali, sia in codice binario, per esaltare fin da subito la natura cibernetica della protagonista. Tutta questa miriade di particolari viene messa in scena in un'atmosfera sospesa e ascetica grazie alla stupenda colonna sonora di Kenji Kawai, collaboratore storico di Oshii che per il gruppo Headgear aveva già scritto le musiche di Patlabor: The Movie (1989) e Patlabor 2: The Movie (1993).
Il componimento incanta lo spettatore e lo introduce nell'universo oscuro e astruso dell'opera attraverso un'affascinante messa contemplativa interpretata da un coro nuziale. Le altre tracce che accompagnano il lungometraggio uniscono sapientemente gli elementi più suggestivi dei generi ambient e new age a sonorità elettroniche, synth, tribali e persino folkloristiche sia giapponesi, attraverso lo stile percussionistico taiko o kumi-daiko, sia bulgare grazie all'atonalità che caratterizza i canti coreutici diretti con precisione dallo stesso Kawai.
daelaranimation.com
Film inserito nei capolavori della storia del cinema animato.
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