Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Le decisioni, soprattutto quando sono talmente rilevanti/dirimenti da riuscire a voltare una pagina importante/invadente senza ammettere la possibilità di fare nemmeno un passo indietro, comportano sia piacevoli vantaggi sia dolorosi boomerang. Da un lato, si avverano finalmente dei desideri fortemente voluti/perseguiti, dall’altro delle rinunce sono da mettere in conto. Comunque sia, non tutti i cordoni ombelicali si possono tranciare di netto senza che si verifichino dei riverberi, pronti a riaffiorare anche dopo che tanta acqua è passata sotto i ponti, mettendo in discussione le conquiste effettuatee creando delle condizioni emotive di ardua gestione.
Con Emilia Perez, Jacques Audiard compie una sorta di miracolo imprevisto (dato il soggetto che, sulla carta, pareva essere ad alto rischio) e imprevedibile (non si crogiola mai sugli allori), imbastendo e sviluppando un dispositivo multipolare e sui generis, abitato e attraversato da molteplici temi, stili e personaggi in evoluzione, tutti elementi che non finiscono mai di susseguirsi, accavallarsi e rinnovarsi. Un’opera poliedrica e infiammabile, tutt’altro che esente da impurità, così come estranea alle comuni convenzioni (anche di genere), eppure in grado di sprigionare un’incredibile onda d’urto, dimenandosi - senza concedersi tregua - tra un cuore che palpita, una testa che cerca soluzioni, e una pancia che non fa troppi calcoli.
Stanca di un lavoro da avvocato che non le regala la minima soddisfazione, Rita (Zoe Saldana – Avatar, Guardiani della galassia) accetta un’offerta pervenutale dal potente boss di un cartello messicano della droga, che ha bisogno di lei per rifarsi una vita nuova di zecca, nella fattispecie cambiando sesso, recidendo qualsiasi legame con il passato, famiglia compresa, per ultimo simulando la sua morte.
Grazie al lavoro del dottor Wasseman (Mark Ivanir – Away, Babylon Berlin), nasce Emilia Perez (Karla Sofia Gascon – Uomini e altri inconvenienti), che dopo quattro anni decide di riallacciare i contatti con Rita e soprattutto con Jessi (Selena Gomez – Only murders in the building, Spring breakers), la sua ex moglie, e i figli, ai quali si presenta come cugina del defunto.
Da questo momento, Rita ed Emilia collaborano presso un’associazione con il compito di ritrovare quei cadaveri che lo stesso boss ha a suo tempo seppellito, con quest’ultima che intanto abbraccia anche l’amore grazie a Epifania (Adriana Paz – Il movente, El comediante), mentre Jessi coltiva una relazione, di vecchia data, con Gustavo (Edgar Ramirez – Gold, Liberaci dal male).
Questo nuovo equilibrio si rivela essere inevitabilmente instabile, destinato ad avere una breve durata.
In prima fila – con The Brutalist – nella lunga stagione dei premi, con già un doppio riconoscimento conseguito a Cannes e un ottimo risultato ai Golden Globe, Emilia Perez vede lo stimato – e non facilmente classificabile - Jacques Audiard esprimersi all’ennesima potenza, inglobando parecchie caratteristiche associabili a quanto realizzato in precedenza, tra soglie del dolore che vengono tastate/testate/superate (Un sapore di ruggine e ossa) e confini da spostare verso orizzonti sconosciuti (I fratelli Sisters), tra la rivista applicazione di codici collaudati (Dheepan – Una nuova vita) e un occhio privilegiato per quelle minoranze che vengono solitamente ignorate/scavalcate (Sulle mie labbra), tra movimenti proposti con munifica libertà/confidenza (Parigi, 13Arr.) e parabole di innata potenza (Il profeta).
Segnatamente, fregiandosi della consolidata collaborazione di Thomas Bidegain, i due lavorano insieme dai tempi de Il profeta, Jacques Audiard scandisce transizioni ripetute e portentose, esplorative ed espansive, a partire dalla trasformazione della protagonista per poi non accontentarsi mai, con corpi e anime in sostenuto tumulto, centrifugando il melodramma con il noir, il sentimentale con il sociale, con perfino scampoli che sembrano fuoriuscire da una soap opera.
Un complesso abbastanza articolato, tanto sensibile quanto sfacciato, da far saltare il banco delle consuetudini, che non presta particolari attenzioni alle virgole suggerite dalla forma e che individua nella componente del musical un vettore, fondamentale e proficuo, per amplificare le voci che lo contraddistinguono e agitano.
Mediante questo azzardato strumento – e non solo – tocca picchi di ragguardevole intensità, una valvola di sfogo – intrepida e vigorosa - che amplifica i sentimenti e le funzioni/priorità in atto, veicolando violenza e dolcezza, insofferenze e redenzioni, rimpianti e opportunità, volontà e ostruzioni, per un flusso di incontenibile energia, che consente di uscire con temerarietà dagli schemi prefissati.
Per ultimo, emergono personaggi graffiati e graffianti, con una voglia matta di uscire dalle loro caselle, di mettersi in gioco – preferendo il contropiede - e infine a nudo. Condizioni che richiedono necessariamente una pronta risposta delle interpreti, che arriva con assidua costanza, senza battere ciglio. Così, Karla Sofia Gascon riscrive la storia e Zoe Saldana si prende con merito la ribalta, mettendo in mostra un temperamento e un trasporto che al massimo si sono solamente intravisti nel resto della sua carriera, mentre Adriana Paz sfrutta - come meglio non potrebbe e con un rendimento significativo - i pochi momenti che ha a disposizione e Selena Gomez sfoggia un’inattesa e scintillante maturità, con un ruolo impegnativo al quale regala una notevole e profonda produttività.
In conclusione, Emilia Perez è un film in perpetuo aggiornamento, che non ha niente di canonico, sostanzialmente radicale e spiazzante, al quale qualsiasi etichetta non può che risultare stringente, dalla banda di oscillazione particolarmente ampia, che aggiunge e toglie, regala e nega, gettando di continuo il cuore oltre l’ostacolo. Con dilemmi morali che fanno tremare i polsi, gabbie dorate e una voglia matta di sconfinare, tra pulsioni individuali e dramma collettivi, corazze da infrangere e vulnerabilità da scartavetrare, aurore impareggiabili e spaccature profonde, cambi di carreggiata e ricchezze d’impulsi, senza trascurare il fondamentale apporto della parte musicata, tra i trascinanti brani composti da Camille e le sonorità di Clément Ducol.
Tempestivo e tempestoso, trasformista e travolgente.
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