Regia di Gareth Edwards vedi scheda film
Immagin(ar)I dal futuro. Con tutto quello che sta accadendo – o anche solo preconfigurando in fase embrionale – oggigiorno, il domani, vicino o lontano che sia, non promette nulla di particolarmente piacevole, che incoraggi a guardare in avanti con fiducia. Certo, le incognite sono numerose e gli snodi da scegliere/imboccare sono talmente distinti e discordanti, dirimenti e consequenziali, da non consentire previsioni con un grado di attendibilità soddisfacente.
Insomma, ci sono tanti motivi per essere giustamente preoccupati, ancorché quanto troverà effettivo compimento potrebbe essere - in buona sostanza - assai diverso da quanto ci è dato supporre al momento con i parziali/incompiuti strumenti di cui disponiamo.
Con The Creator, Gareth Edwards rimescola sapientemente le carte in tavola partendo da presupposti/movimenti già in atto, confermandosi tra i principali registi/alfieri a cui affidarsi per godere di una fantascienza moderna e adulta, cosciente e propositiva, dalla specifica e travolgente componente emotiva, che impugna e modella cavalli di battaglia del genere fornendo uno spettacolo che non si accontenta di vivacchiare, che va oltre le ordinarie, precotte e inamovibili consegne.
Nel 2070 il mondo è spaccato in due con da una parte gli Stati Uniti, che hanno bandito ogni forma di intelligenza artificiale, e dall’altra la Nuova Asia, dove gli umani condividono la vita di ogni giorno con i robot.
Per scovare e annientare Nirmata, che gli americani identificano come la più pericolosa forma artificiale, tramite il Nomad, una base che presidia il cielo dotata di una letale potenza di fuoco, il colonnello Howell (Allison Janney – Tonya, Mom) richiama in servizio Joshua (John David Washington – BlacKkKlansman, Tenet), un brillante militare che cinque anni prima aveva perso sua moglie Maya (Gemma Chan – Eternals, Lasciali parlare) durante una missione sotto copertura.
Sul campo, la situazione non evolve come auspicato dalle autorità statunitensi e Joshua s’imbatte in Alfie (Madeleine Yuna Voyles), una bambina speciale che potrebbe determinare le sorti del conflitto una volta per tutte.
Oltre a capire che le cose non stanno affatto come gli erano state illustrate, Joshua incontra Harun (Ken Watanabe – L’ultimo samurai, Tokyo Vice), una sua vecchia conoscenza, stringe uno stretto rapporto con Alfie e cerca con tutte le sue energie di bloccare lo spargimento di sangue che sta flagellando l’umanità.
Dopo due direzioni che gli hanno consentito di acquisire copiosi e giustificati consensi, Gareth Edwards si libera dei vincoli che limitavano la portata del suo operato, nonostante sia Rogue one: A Star Wars story sia Godzilla possedessero dei segni evidenti che li smarcavano – e non di poco - dalle galassie di riferimento, avendo i mezzi necessari per non porsi quei limiti espositivi con cui aveva dovuto fare i conti nel suo pur pregevole esordio (Monsters).
Scritto dal regista britannico a braccetto con Chris Weitz (About a boy, La bussola d’oro), The Creator mostra muscoli e cervello, cuore e visione, affrancandosi dalla concorrenza, spesso deficitaria e arrendevole, in virtù di una configurazione quanto mai eclettica e sterminata.
Dal punto di vista della science fiction vanta richiami plurimi, dai robot ormai progrediti e umani (District 9), desiderosi di essere accettati, che vanno in netta controtendenza rispetto a quanto enunciato da Terminator, ai molteplici marchingegni tecnici che riempiono la scena (Star Wars), con scenari notturni che sembrano fuoriuscire da Blade Runner e che si contrappongono, scardinando la nomenclatura maggioritaria, a quelli diurni che invece riaccendono la memoria sulla guerra in Vietnam (quei campi falcidiati dai bombardamenti che ricordano, tra gli altri, Platoon e Vittime di guerra).
Contestualmente, The Creator si muove sul trittico passato – presente - futuro, rispettivamente con gli errori già fatti e che non hanno portato nessun insegnamento, l’incapacità di direzionare il tragitto, cercando di instaurare un dialogo costruttivo, e una congiuntura ormai compromessa, nella quale la forza rimasta risiede nella disperata e strenua resistenza.
Questa rigogliosa conformazione, che già evidenzia - a chiare lettere - l’azione di una lanterna magica decisamente luminosa, immagazzina ed eroga campanelli d’allarme e acerrime divisioni, la consolidata difficoltà di accettarsi vicendevolmente, di coesistere senza pestarsi i piedi, di trovare dei ragionevoli compromessi, e il vigore delle pulsioni sentimentali, di quei rapporti che spingono il cuore ad andare oltre a qualsiasi ostacolo, anche quando parrebbe invalicabile.
Un materiale pantagruelico e trasversale, che va a definire un percorso fortemente identitario, con associazioni immediate e variegate, che avanza a viso aperto e di buona lena, tra nemici giurati (vedi oggi le schermaglie tra Stati Uniti e Cina) e armi di distruzione/distrazione (di massa), realtà che divergono dalle apparenze, seguendo formule deterministiche (luoghi e autorità determinano il pensiero predominante), e priorità individuali, che creano uno scarto fondamentale, che cercano un varco per scardinare un sistema fallato.
Infine, questa ricchezza di conoscenze teoriche e pratiche, che guardano alla forma (la fotografia di notevole caratura e compattezza di Greg Fraiser (Zero dark thirty, The Batman) conferisce un’impeccabile continuità filologica) ma anche alla sostanza, staziona sempre nel centro del ciclone, a costo di ripiegare in soluzioni frettolose, correggendo il tiro senza stare a guardare il pelo nell’uovo, con concessioni della logica a favore dell’ardore, dovendo anche accantonare alcune potenzialità, dei contatti che reclamavano spazio, alimentando una trance agonistica che, nelle ottime porzioni d’azione, travalica con innata energia ogni interferenza.
A conti fatti, The Creator mette a terra una miniera d’oro che inneggia alla convivenza, alla pace e alla libertà, una road map che deve – e vuole - fare delle scelte, tutte quelle che ritiene idonee, con modalità d’ingaggio e un prontuario genetico mai casuali. Non sarà un esempio di precisione e completezza ma non finisce imbottigliato nell’imbuto delle banalità, unisce l’utile al dilettevole, con un malleabile e appassionato John David Washington, uno spirito propositivo che supera/sbaraglia/crivella quegli standard obsoleti che altrove spadroneggiano indisturbati, ad esempio nella definizione di buoni e cattivi (quando mai succede?), con un attracco/forcing finale – sicuramente tirato per le lunghe - che chiude, facendo la voce grossa, il cerchio di un diagramma vibrante, eterogeneo e intensivo.
Tra attrazioni e significati, collettori principali e dettagli mancanti, questioni in rilievo e confini traslati, contrappunti e allunghi, vantaggi e rovesci della medaglia impressi da qualsivoglia novità, minacce incrociate e prese di coscienza, la violenza che produce odio e le ragioni di vita, abitudini conclamate e reazioni scaturite da contatti diretti, il lume della ragione e la crudeltà de confronti bellici.
Fecondo e incombente, avvincente e toccante.
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