Espandi menu
cerca
The Bikeriders

Regia di Jeff Nichols vedi scheda film

Recensioni

L'autore

supadany

supadany

Iscritto dal 26 ottobre 2003 Vai al suo profilo
  • Seguaci 406
  • Post 189
  • Recensioni 5880
  • Playlist 118
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su The Bikeriders

di supadany
6 stelle

Niente è destinato a durare per sempre, almeno non nella sua configurazione iniziale. Ammesso e non concesso di riuscire a creare un nucleo abbastanza resistente e coeso, in grado quindi di superare i primi dossi senza finire precocemente gambe all’aria, tutto quello che si agita al di fuori di questo preposto cerchio magico prima o poi finisce per attaccarlo/intaccarlo, costringendo i suoi tutori/avventori a confrontarsi con pensieri differenti. Arrivati a un bivio del genere, che in funzione delle dimensioni del soggetto principale può ripresentarsi in un numero variabile di volte, le opzioni sono due, ossia rimanere ormeggiati sulle posizioni originali o aprirsi al cambiamento. In entrambi i casi, non esistono risposte a prova di bomba, i rischi non mancano, sia complementari sia speculari, soprattutto nei confronti di chi crede fermamente nel suo (non) progetto, semplicemente perché lo rappresenta nel midollo, assumendo il ruolo di ragione di vita, di unico posto del mondo dove sentirsi compiutamente se stessi, al quale non si può rinunciare, pena il deperimento dell’anima.

Ebbene, The bikeriders è a sua volta una pellicola che crede ciecamente in se stessa, in quello che dice e nel modo in cui lo fa. Per questa ragione, non ha la minima intenzione di scendere a compromessi, istituendo e perseguendo la sua logica - coraggiosa e munifica - con un’immacolata onestà intellettuale, al punto da diventare un ibrido tra finzione e (finto) documentario, ponendolo in una posizione scomoda rispetto al pubblico, soprattutto se si considera che non è certo il film nato per essere visto esclusivamente da chi risiede nella porta accanto, già solo per il fatto di disporre di star impegnative, di grande richiamo.

Stati Uniti, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Mediante la ricostruzione fornita da Kathy (Jodie ComerKilling Eve, The last duel), Danny (Mike FaistChallengers, West Side Story)  rielabora le gesta dei Vandals, un club motociclistico ideato e gestito da Johnny (Tom HardyMad Max: Fury Road, Revenant), che vede nel ribelle e viscerale Benny (Austin Butler - Elvis, Dune: Parte due), divenuto poi il marito di Kathy, il suo alfiere prediletto.

Dopo i primi sussulti, questo gruppo acquisirà negli anni una notevole considerazione tra i motociclisti, dovendo confrontarsi con un mondo in trasformazione e con i pericoli a esso connessi, come personaggi che poco o nulla hanno da spartire con la mentalità originaria, tra i quali un ragazzo sbandato (Toby WallaceBabyteeth, Pistol) deterrà un ruolo cruciale.

 

Jodie Comer, Austin Butler

The Bikeriders (2023): Jodie Comer, Austin Butler

 

Sceneggiato e diretto da Jeff Nichols (Mud, Loving) basandosi sul libro di Danny Lyon che annovera testimonianze e fotografie sul movimento che il film scandaglia in lungo e in largo, The Bikeriders ha fatto parlare di sé soprattutto per la sua travagliata vicenda distributiva, che lo ha visto transitare dalle mani della Disney a quelle della Universal, che lo ha tenuto in naftalina per più di nove mesi (fu presentato al Festival di Telluride nel settembre del 2023).

Alla resa dei conti, ovvero l’uscita in sala, certe tribolazioni/titubanze diventano più comprensibili, in quanto si tratta di un lavoro inusuale, che non ammette concessioni di sorta. Dunque, utilizzando Kathy (interpretata da Jodie Comer, sempre gradevole e piena di vita) come punto di accesso, come ponte tra la gente comune e uno spicchio di mondo in disparte, ripercorre un arco temporale che si snoda tra il ’65 il ’68 e il ’73 adattandosi nello stile, con un’aderenza estetica lodevole, conferita dalla fotografia di Adam Stone (Midnight special, Damsel).

Detto questo, da una parte è un prezioso lavoro,  filologico e disilluso, per via della sua autenticità, per come intende fermamente stare in piedi sulle sue gambe (ad esempio, non richiama nessun successo pregresso/recente, come poteva essere Sons of Anarchy), con tutti gli aneddoti che snocciola, gli stemmi/casacche che sventola, i caratter(acc)i che lo animano e il vocabolario che utilizza, tra confronti e scontri, convinzioni e pose/smorfie.

D’altro canto, certe aspettative e la sua potenziale portata evocativa vengono smorzate/stroncate, un po’ perché sulla strada ci sta meno del minimo indispensabile/preventivabile e gli orizzonti non sono quelli degli sconfinati paesaggi americani bensì quelli ristretti di locali o ritrovi, un po’ in quanto ondeggia a targhe alterne, raccogliendo una ragguardevole mole di materiale, ma sui singoli frangenti scivola via precocemente, anche quando si parla di momenti clou, nei quali l’adrenalina non ha mai il tempo necessario per formarsi.

Tuttavia, tra le righe esce dalla sua specificità e assume una rilevanza ulteriore identificando i traumi generati dalle mutazioni insite nella società moderna, qui americana ma il discorso vale tale e quale a ogni latitudine, con la fine delle utopie e l’avanzata irrefrenabile di germi e scorie che divorano ogni cosa lacerando i tessuti attivi, senza dimenticare la forte/istrionica personalità emanata da Tom Hardy e l’ammaliante presenza di Austin Butler (ormai, è già eleggibile come divo del prossimo futuro), mentre il resto del voluminoso parterre maschile, che raduna attori di rango quali sono Michael Shannon, Boyd Holbrook, Norman Reedus, Karl Glusman e Emory Cohen, ha uno spazio troppo limitato per lasciare segni che non siano estemporanei.

 

Tom Hardy

The Bikeriders (2023): Tom Hardy

 

In conclusione, The bikeriders ha un fascino non convenzionale, che lo esalta e lo penalizza allo stesso tempo, fedele fino alla morte alle sue linee di principio, quantunque l’impasto non sia funzionale a un’ampia ricezione. Con una visione d’insieme ben precisa, che viaggia ad altezza uomo, collezionando citazioni d’obbligo (dichiarate nel caso de Il selvaggio e di Easy rider), tra schegge impazzite e tanta carne viva, usi e costumi, contraddizioni e fascino, spirito di appartenenza (al branco) e divergenze che non trovano un punto di caduta, corsie preferenziali e transizioni superficiali, passando dall’alba al crepuscolo, con la vecchia guardia che non può smentirsi e un ricambio generazionale che non guarda in faccia a nessuno.

Integro e riepilogativo, umile e dispersivo, maturo e pianeggiante, andando – a torto o a ragione - in contromano rispetto alle consuete misure standardizzate.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati